Le solenni Quarantore del 2008:

L’Eucarestia, scuola dei discepoli di Gesù

Miei Cari,
Mentre si avvicinano i giorni della solenne esposizione annuale del SS Sacramento in preparazione alla festa dell’Immacolata, avverto la necessità di soffermarmi con voi sull’Eucarestia che edifica la Comunità, convinti come siamo che “l’Eucarestia fa la Chiesa”. Gesù è il Signore! Lo sguardo del cuore e della fede sul crocefisso risorto è ciò che da duemila anni fonda e alimenta la speranza del popolo cristiano. È questo il cuore della nostra vita e il centro della nostra comunità. Non sono le nostre opere a sostenerci, ma l’amore gratuito con cui Dio ci ha rigenerati in Cristo e con cui attraverso lo Spirito, continua a darci vita.
L’esperienza viva del Risorto è costituita dall’Eucarestia, centro propulsore che immette nel nostro tempo la gratuità di Dio che si dona a noi per tutti, per un servizio ai poveri perché un’Eucarestia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata. Non si può essere Chiesa senza l’Eucarestia; un’autentica Comunità ecclesiale che voglia vivere la comunione, pone al centro l’Eucarestia, e da essa assume forma, criterio e stile di vita: l’Eucarestia è la vita, ed è la scuola dei discepoli di Gesù.
L’Eucarestia è un memoriale attraverso il quale Cristo stesso si rende presente. “Memoriale” equivale a ricordare, celebrare, comunicare quanto Dio ha fatto per il suo popolo in un determinato momento della sua storia e si fa presente anche oggi come allora per dargli forza e sostegno. Il “Memoriale” è il punto d’incontro tra il ricordo di Dio e il ricordo dell’uomo. Quando la Chiesa fa memoria celebrando l’Eucarestia, scopre che Dio è il più puntuale a quell’appuntamento: si sta già ricordando di lei, cioè sta già intervenendo per i bisogni concreti di quella comunità. Attraverso il memoriale che va dal passaggio dalla pasqua ebraica a quella cristiana, Gesù, che desidera ardentemente mangiare la Pasqua con i suoi, si offre al Padre, concretizza la sua lode e il suo rendimento di grazie. Quindi dà da mangiare il suo corpo e da bere il suo sangue, perché siamo in comunione con il suo sacrificio. Egli comanda che d’ora in poi ciò lo facciano in memoria di lui. Vivremo profondamente e fruttuosamente l’eucarestia solo se risponderemo a questo invito di Gesù, non accontentandoci di una ripetizione rituale, ma attraverso celebrazioni che siano piene della nostra vita. Allora le nostre eucarestie potranno diventare spazio e tempo dentro cui il nostro Dio che viene potrà continuare a far nuove tutte le cose. Siano questi i pensieri sui quali dobbiamo tornare durante i prossimi giorni delle Quarantore perché la nostra Comunità diventi sempre più discepola del Signore. A cominciare dal nuovo Anno Liturgico che si apre dinanzi a noi.


Cordialmente
Don Vincenzo




Al Vescovo don Gino e agli Amici
della Comunità Parrocchiale
l’augurio cordiale di un S. Natale
e un Sereno Anno 2009


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Lunedì, 22 dicembre 2008 - ore 19,30
Narrazione della nascita del Redentore, recitata da un cantastorie errante, a cura del Gruppo Animazione “Lapecheronza” e della “Pro Loco”.

Vero uomo, senza sconti

“Però rispondimi da uomo, non da prete”. Chi m’interpellava così era al massimo della prostrazione per la morte di un caro giovane amico, il quarto in pochi mesi! “Ma io sono uno, sai, uno solo…” mi è venuto istintivo rispondere, alludendo al fatto che mi sento insieme uomo, cristiano e prete, senza cesure e saparatezze: quando parlo con gli amici, predico dall’ambone o sto al tavolo di lavoro. Al di là di limiti e sbagli che non voglio certo beatificare, un traguardo importante perseguito - grazie anche a numerosi stimoli formativi della mia chiesa diocesana - è
l’unificazione della persona, a partire dal dono della vita, del battesimo, della vocazione al ministero. “Sono uno solo”: non a fette, no a part-time. Il fondamento di tutto questo lo trovo guardando a Gesù, che in sé unifica - per un “miracolo” grande, un mistero sorprendente - la vita del Figlio di Dio e la carne umana. Intendendo la realtà della nostra concretezza, fatta anche di debolezza e quotidianità “normale”: “Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo” insegna la Gaudium et Spes in un passo semplice e meraviglioso. Gesù, l’uomo nuovo, è il prototipo del cristiano che cresce affidandosi al Padre, cercando la sua volontà, amando i fratelli, donandosi totalmente per il Regno.
Guardando al Natale ormai in vista chiediamo al Padre di prendere sul serio l’incarnazione del Figlio, guardando - al di là della “magia” della festa - proprio alla sua carne reale, alla vita quotidiana fatta di relazioni, lavoro, progetti… E domandiamo il dono di vivere e crescere anche noi il più possibile “unificati”, in modo tale che la vita si possa effettivamente richiamare alla fede, senza sconti né zone franche: cristiani nella gioia e nel dolore, in chiesa e al lavoro, in famiglia e nel divertimento…
Lo sguardo materno di Maria ci accompagni e incoraggi, vigili su di noi e guidi il nostro cammino verso un’altra Betlemme di festa e di pace.


C. C.

IL NATALE, VITTORIA DELLA VITA


Diciamo la verità: un po’ ci siamo assuefatti alle ricorrenze. Le diamo per scontate. O le desensibilizziamo: il sentimentalismo non si addice agli adulti, c’è la cruda realtà con cui fare i conti un giorno dopo l’altro. O le odiamo perché ci rivelano il livello di aridità a cui siamo giunti per non avere coltivato lo spirito, la mente, il cuore in modo adeguato. È uno dei paradossi a cui assistiamo: diete, sport, fitness, centri estetici, tutto per il corpo e niente per la parte interiore, là dove si sperimenta la vita o la morte. Siamo nel vortice di una cultura narcisistica di massa che ottunde le menti, rende ciechi e sordi, egoisti e cinici. Ed ecco affacciarsi quella penosa sensazione di vuoto, che si tenta di riempire con droghe, alcol, sesso, eccetera. Senza valori spirituali niente ha più valore. La vita spirituale, così, è più reale delle realtà che viviamo, dà loro un senso, un fondamento, radici profonde.
La preghiera – sento dire - è romanticismo; la novena del Natale e la nenia a Gesù Bambino sono espressioni patetiche di un mondo che non ci appartiene più, lacere tradizioni appartenute ai nostri nonni. Manifestazioni lontane di un popolo di sempliciotti. Eppure l’aridità ci assedia da vicino, anzi da dentro, ed il progresso non può arrestarla. Neppure un pingue conto in banca o l’ennesimo viaggio di piacere o l’ennesimo tradimento può fare molto. La felicità non sa che farsene di tanto denaro, è allergica al molto (qualcuno ha scritto che il diavolo è amico di ogni esagerazione). Lo spirito viene sollevato dai viaggi, fare nuove esperienze è utile e buono, la mente si apre e riceve nuovi stimoli, ma i chilometri percorsi ed i luoghi visitati leniscono il dolore dell’anima senza guarirne le ferite profonde. Soltanto lo Spirito Santo, che è l’amore del Padre e del Figlio, può far sgorgare fiumi di acqua viva, sanare le ferite, sottrarre terreno al deserto interiore, dissetare.
Per lo Spirito, infatti, viviamo e siamo. Ma c’è una condizione da soddisfare: che crediamo che quel bambino che è nato da Maria in una capanna, fuori città, al freddo e al gelo, è il Figlio di Dio, l’Atteso, il Messia.
Da quella nascita apprendiamo una lezione: l’umiltà e la povertà sono gli indicatori della salute dello spirito. Sono le virtù prime. Un cristiano non può che essere umile e riconoscersi povero, bisognoso di ricevere tutto, cioè la vita ed il suo senso, dal suo Creatore. Se le ricchezze materiali fossero state il lasciapassare per la vita eterna, di certo Gesù sarebbe nato in una magione lussuosa, vezzeggiato da stuoli di servitori, e ci avrebbe invitato ad accumulare e ad infischiarcene degli altri. Proprio la novità che i poveri sono la preoccupazione di Dio, in un mondo monopolizzato dai potenti e dai ricchi, ci fa comprendere che egli è veramente Dio. Non una invenzione umana, giacché nessun uomo avrebbe potuto inventarsi una religione per i poveri in un mondo dominato dai ricchi.
C’è ancora una speranza di festa, di letizia, per chi è adulto? O deve rassegnarsi a tirare la vita alla men peggio, a barcamenarsi fra il lavoro e la famiglia, la salute che vacilla e le preoccupazioni quotidiane? Può il Natale essere ancora santo? Direi di sì, purché si accolga lo Spirito di Dio. È come una brezza leggera; è la grazia che purifica; è l’acqua che irriga e disseta; è il fuoco che arde il peccato del mondo. È il sangue di Cristo che, trasfuso in noi con l’Eucaristia, ci libera dall’anemia dell’egoismo, restituendoci ad una vita piena, eterna per la sua qualità.


S. B.

LA RIVOLUZIONE OLANDESE

Alcuni sostenevano che il consumo delle droghe sarebbe diminuito se fosse stato liberalizzato, quindi depenalizzato. Altro risultato che si sarebbe raggiunto, sempre secondo questi autorevoli teorici (che oggi tacciano): sottrarre alla malavita organizzata il traffico e lo spaccio. Ma le cose sono andate diversamente, com’era logico attendersi. La strategia dei cartelli della droga è consistita e consiste nel vendere minidosi di cocaina a 8, 10 euro. Il mercato si è allargato a dismisura, anche i ragazzi possono accedervi facilmente con le loro “paghette”, e l’Italia è fra le prime nazioni in Europa per consumo di cocaina. Altra castroneria: hashish e marijuana non sono droghe, è erba che fa bene al corpo e alla mente. Lo spinello è un toccasana per il cervello. L’ho sentito ripetere da un giovane ruvese dell’età di circa trent’anni, che diceva di amare a dismisura gli animali, la natura e S. Francesco d’Assisi, ma non la Chiesa ed i preti. Amando la natura, quindi, non poteva esimersi dall’amare anche i prodotti della terra, fra cui la marijuana. Ironie a parte, è noto che il paradiso dei drogati e dei sessuomani è l’Olanda, dove però le cose stanno cambiando radicalmente. In senso positivo. In direzione della tutela della vita e del suo valore. È di qualche giorno fa la notizia, che certa stampa di sinistra ha dato con malcelato disappunto, che il governo olandese “progetta di mettere al bando hashish e marijuana e, con esse, i locali più celebri dei Paesi Bassi”. Chiudono, insomma, i cosiddetti coffee shop (ma il caffé non c’entrava niente) mentre sono stati “drasticamente” ridimensionati i quartieri a luci rosse. “Olanda 2008, lo spirito della nazione più liberale d’Europa pian piano sta svanendo”, sostiene sempre la stampa di sinistra. Spirito liberale? O spirito letale? L’Olanda viene invasa da frotte di giovani “fumatori” di spinelli. E il commercio di droghe è nelle mani della mafia marocchina, che fattura miliardi di euro sulla pelle dei giovani. Una misura, quella adottata dall’Olanda, che sconfessa apertamente i fautori di una politica “liberale” che, come tutto dimostra, più che emancipare rende schiavi e foraggia il crimine.


Salvatore Bernocco

Il popolo che camminava nelle tenebre vide una gran luce


Non la luce d’un giorno, su cui incombe la notte. Non la luce che fumiga incerta e il
primo vento spegne. Isaia vide, 700 e più anni prima, “una Gran Luce”, l’epifania del Verbo di Dio fatto uomo. “Era la luce vera che illumina ogni uomo che viene al mondo”, dirà Giovanni evangelista, ponendo un nuovo sigillo alla profezia di Isaia.
Se vogliamo completare il quadro del Natale ed entrare nel suo mistero, aggiungeremo che il Bambino di Betlemme entra nella nostra storia per redimerla dall’antico peccato.
Era un peccato che pesava, lo avvertivano non solo i figli d’Israele che attendevano la salvezza dal Messia promesso, ma era una sensazione presente anche nell’anima pagana dei latini, dei greci, nelle altre civiltà gravitanti intorno al Mediterraneo e oltre.
Non a caso, Luca evangelista pone la nascita di Gesù “nella pienezza dei tempi”, quando era al top l’attesa, la speranza, la voglia di salvezza. Era tempo favorevole anche sul piano storico. Augusto imperatore, dopo la battaglia di Munda del 30 a.C., aveva inaugurato la “Pax Romana”, tacevano le armi e le popolazioni, comprese quelle della Palestina, godevano giorni tranquilli.
Potremmo sottolineare altri elementi che danno le coordinate storiche della nascita di Gesù, come il viaggio di Giuseppe e Maria a Betlemme in obbedienza all’editto sul censimento della popolazione.
Non erano poi tanti all’epoca sulla faccia della terra: 250 milioni in tutto, stando alle più accreditate stime moderne. Ma erano nelle tenebre. Alle tenebre ci si può anche abituare, perfino preferirle alla Luce. E tuttavia, senza Gesù, Dio tra noi, quale mondo sarebbe il nostro oggi? Il peccato ce l’abbiamo, ma abbiamo la grazia della redenzione per vincerlo. Luce sta per grazia, e grazia sta per salvezza: salvezza interiore, che rinnova la nostra umanità peccatrice e la fa santa.
Il Natale torna sempre più come festa di luce. Anzi come orgia di luci. Scintillano le vetrine, traboccano le cose di cui possiamo fare a meno. Il consumismo celebra nel
Natale il suo trionfo.
Cosa dire? Ripeteremo l’esortazione solita? Certo. Esorteremo ad andare contromano verso il Bambin Gesù. Ci muoveremo controcorrente, sgomitando con l’andazzo festaiolo e le sciatte pastorellerie. È inevitabile farlo, per giungere alla Luce,
quella vera che duemila anni fa ha rischiarato gli orizzonti e resta il solo rimedio al buio del cammino.

Auguri, Don Vincenzo!

1969 - 7 Dicembre - 2008

“Se andaste a confessarvi alla santa Vergine o a un angelo, vi assolverebbero? No. Vi darebbero il Corpo e il Sangue di Gesù? No. La santa Vergine non può far scendere il suo divin Figlio nella santa ostia. Anche duecento angeli non vi potrebbero assolvere. Un sacerdote, per quanto semplice sia, lo può fare, egli può dirvi: “Va in pace, ti perdono”. Che cosa grande è il sacerdote!”. Sono parole di san Giovanni Maria Vianney, meglio conosciuto come il santo Curato d’Ars, che nel 1929 fu proclamato da Pio XI patrono di tutti i parroci di Roma e del mondo (nel 1959 Papa Giovanni XXIII, nel centenario della sua morte, promulgherà l’enciclica “Sacerdotii nostri primordia”). Nella felice ricorrenza del 39° anniversario di sacerdozio del nostro amato Don Vincenzo, che cade il 7 dicembre, gli vogliamo dedicare questo pensiero del Curato d’Ars sulla importanza della figura del sacerdote, spesse volte misconosciuta, con l’augurio di proseguire, con l’amabilità che lo contraddistingue, a dare il Cristo, il Suo amore ed il Suo perdono alla Comunità per molti anni ancora.


Il Consiglio Pastorale Parrocchiale

“RICORDANDO MONS. LUIGI ERRIQUEZ”



Mons. Luigi Erriquez, Vicario Generale della Arcidiocesi di Otranto e quindi Vicario emerito, parroco per ben 58 anni della parrocchia di Depressa, paese natale del nostro Vescovo don Gino, spirato alla bella età di 95 anni, il 7 dicembre 1997. Saranno in molti a domandarsi chi fosse costui, riecheggiando il rovello di Don Abbondio, di manzoniana memoria, a proposito di Carneade. Chi era quindi costui? Un Carneade qualsiasi? Un illustre sconosciuto? Un uomo, un parroco come tanti altri? Assolutamente no. Già qualche tempo addietro Don Vincenzo mi aveva parlato della fulgida ed esemplare figura di questo parroco, tratteggiata in un volume omaggiatogli
da mons. Paolo Ricciardi, cosicché, quando mi ha porto il testo “Ricordando Mons. Luigi Erriquez”, curato dal nostro Vescovo Mons. Martella, la memoria non mi ha tratto in inganno.
Mons. Martella gli è devoto, se così può dirsi; si è formato alla scuola di questo sacerdote, che egli descrive come un “allenatore” di parroci, un “bonificatore” spirituale, un uomo “che aveva l’abitudine di trattenersi per lunghe ore della giornata in chiesa, seduto all’ultimo banco, con il breviario e la corona del rosario”. Pastore attento e zelante, maestro illuminato, punto di riferimento e guida sicura, Mons. Erriquez rappresenta la figura ideale del sacerdote e del parroco, che deve essere autorevole e paterno, un educatore capace di richiamare ciascuno alle proprie responsabilità di cristiano. La toccante testimonianza di Mons. Martella, a cui si aggiungono, fra le altre, quelle degli Arcivescovi Cacucci e Musarò, del regista salentino Edoardo Winspeare, ci induce a riflettere sulla penuria di uomini così, di uomini di carattere, austeri e dolci nel contempo, che trafficano i loro talenti ed operano per il bene delle anime.


S. B.

Nel Mese

Una porzione significativa della nostra Comunità si ritrovò il 1° novembre all’altare della Madonna in Pompei per la conclusione del mese del rosario a Lei
dedicato. Ci portammo poi a Scafati per ammirare un originalissimo presepe allestito in quella città. Facemmo poi memoria dei Defunti e ci portammo al Cimitero per celebrare l’Eucarestia presso la Cappella di S. Rocco. Proseguì la catechesi per i ragazzi e la verifica sulla programmazione che prevede ora i momenti forti della novena dell’Immacolata e del Natale inseriti nel tempo liturgico di Avvento. I sussidi audiovisivi, intanto, si sono arricchiti di altri DVD sul Natale e alcune parabole di Gesù. Anche nei giorni di assenza del parroco, ad Assisi per gli Esercizi
Spirituali, si sono tenuti incontri e riunioni a vari livelli mentre la riunione dei genitori avverrà nel mese di dicembre, come pure l’incontro di catechesi per il Gruppo Famiglia viene sostituito da quello col Vescovo don Gino il 30 novembre. Molto
sentito e partecipato il triduo in onore di Cristo Re che abbiamo festeggiato la domenica 23 con l’adorazione comunitaria cui è seguito l’atto di Consacrazione al S. Cuore e la solenne Benedizione Eucaristica. Il giorno 29, con la partecipazione dei fanciulli e della Comunità al completo si è dato inizio alla novena dell’Immacolata.



Luca

Sofferenza e morte: “Morire è stare con Cristo”




La malattia è una misteriosa
scala. Si può scendere o salire.
Ma chi crede, sa di salire
e ha come ringhiera
la sua stessa fede.
Soffrire senza credere,
è morire di sete
vicino ad una sorgente.

B. Pascal








Miei Cari,
la solennità di tutti i Santi e soprattutto la giornata commemorativa dei Defunti mi orientano ad alcune riflessioni che volentieri vi propongo mentre diamo inizio al mese di novembre.
Prendo lo spunto da alcune tra le mie letture che a volte trovo leggendo alcuni giornali che facilmente vengono cestinati da menti eccelse. Queste le riflessioni da proporvi: Il Salmo 22 è una delle grandi preghiere di sempre sul mistero della sofferenza e della morte. Il versetto di apertura, “Dio mio … perché mi hai abbandonato?”, fu l’ultimo grido di Gesù al Padre prima di reclinare il capo. La preghiera di questo Salmo esprime con immagini dense e vigorose l’abbandono dell’uomo nella sofferenza. È il momento in cui tutto diventa buio e incomprensibile, mentre il dolore irrompe impetuoso. In realtà non si tratta propriamente dell’assenza di Dio, ma dell’incapacità dell’uomo di dare il consenso alla volontà divina, in circostanze nelle quali la fede è messa alla prova dei fatti. La logica di Dio si scontra con quella dell’uomo che spesso non sa qual è il suo bene. Si obietterà: desiderare di vivere non è un bene? Nemmeno Cristo morente sapeva porre le domande al Padre dei cieli? Certo che sapeva. Il paradosso è che il Padre non interruppe il corso naturale del dolore né la morte. Va ricordato però che S. Marco e S. Matteo, pongono sul labbro di Cristo il grido del Salmo 22 (peraltro recitato interamente) per far risaltare l’estrema amarezza dell’agonia. S. Luca e S. Giovanni, al contrario, evidenziano soltanto la più perfetta adesione di volontà: “Padre, nelle tue mani affido lo spirito mio”. Il dolore è un mistero, ma un
mistero necessario alla nostra crescita. Il pagano Annéo Seneca (I sec. d.C.) riteneva infelice chi nella vita non ha conosciuto l’infelicità. Come porsi davanti alla sofferenza e alla morte? È l’interrogativo che non possiamo non porci questi giorni. Per il poeta Giovanni Pascoli la morte appariva “assai dolce” specialmente nella speranza di ricongiungersi ai suoi “cari morti”. Un atteggiamento di pacata serenità. Il cristiano sente il dolore come prezioso alleato per purificarsi e innalzarsi a quella vita senza confini dove non c’è pianto, né lamenti. La più coerente definizione della morte è in S. Paolo: “Morire è stare con Cristo”. Egli asserisce: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la nudità…? Ma in tutte queste cose noi siamo vincitori in virtù di colui che ci ha amati” (Rm. 8,35-37).
Un anno fa si spegneva don Oreste Benzi, il prete del sorriso che ha lasciato odore di santità sulle strade della notte, dalla prima pagina sollevando centinaia di ragazze dalla schiavitù.
Morendo, raccomandò di evitare manifestazioni di lutto. La gente capì che quel prete era morto in rigorosa coerenza con la sua fede.
Sono questi, miei Cari, i pensieri sui quali mi sono soffermato in questi giorni e che fraternamente ho voluto parteciparVi.

Cordialmente
Don Vincenzo

S. Rocco: il filo refe del cristianesimo e della pietà popolare nell’antica diocesi di Ruvo


Se, molto vaghe sono le notizie circa la venerazione di S. Cleto che la ininterrotta tradizione ruvese annovera come primo vescovo della città e poi terzo Papa, ancora più vaghe sono quelle riguardanti il culto di S. Biagio, divenuto Patrono di Ruvo durante la dominazione bizantina in Puglia. ma – si saquei culti che si sovrappongono non mettono radici solide anche se trattasi di “santi Ausiliari“ come S. Biagio invocato nei mali della gola cui, la secolarizzazione attuale non dà significato alcuno, se non ridotto a piccole frange di devoti che ancora ricorrono a Lui nei mali di gola. Per cui le devozioni allo stesso S. Antonio o S. Cleto o a S. Biagio e addirittura la devozione mariana come quella alla nostra Madonna delle Grazie, vengono superate, ad esempio da quella a S. Pio da Petralcina.
Il filo refe della pietà popolare divenne più marcato in Ruvo intorno agli inizi del’500 e l’egemonia di Venezia fu veicolo della diffusione del culto a S. Rocco nelle città marinare dell’Adriatico ma anche in quelle dell’entroterra come la nostra città. Lo stesso culto a S. Sebastiano invocato nel contagio della pestilenza e affrescato nel transetto della nostra cattedrale, dovette cedere il posto a quello di S. Rocco se nel 1503 si costruiva addirittura una chiesa in suo onore dalla città
che lo elesse suo particolare Protettore. Diventò anche Patrono Minore di Ruvo e il Papa Gregorio XVI indulgenziò il Sodalizio di S. Rocco nel 1576. Al santo di Montpellier fu non solo dedicata la chiesa nella principale Piazza Castello ma fu commissionata nel’700 una statua lignea al Brudaglio, scultore andriese; un secolo dopo la decimazione della città avvenuta nel 1656 a motivo di una terribile pestilenza nell’intera provincia barese, il Capitolo dei canonici della cattedrale non pensò una seconda volta a graduatorie tra i santi, compreso S. Biagio se per propiziarsi S. Rocco, commissionò nel 1793 al grande scultore napoletano Giuseppe Sammartino la stupenda statua d’argento unico esemplare in Diocesi, che veniva gelosamente conservata in alcune case di privati, vicine agli stessi Capitolari e addirittura – per proteggerlamurata volta per volta e riesposta al culto per le grandi feste di settembre che arrivavano a superare la stessa festa dell’Ottavario del Corpus Domini. Così lo stupendo simulacro argenteo non subì la sorte delle meravigliose statue di S. Riccardo e la Madonna dei Miracoli in Andria, del busto di S. Sabino in Canosa e perfino la statua di S. Cataldo a Taranto rubata negli anni ottanta. Delle feste di settembre parla lo storico di Corato P. Cosma Lojodice descrivendo un episodio del 1882 tra ruvesi e coratini.
Come descrive la devozione Massone Roberto A. sulla sua Monografia di Ruvo di Puglia: “Indicibili sono le spese che le confraternite religiose, dette congreghe, sopportano per luminarie, spari, apparati, musiche, ecc. Se Napoli ha S. Gennaro, Ruvo ha un santo di non minore importanza, il quale è S. Rocco. S. Rocco, fra le altre cose, è incaricato di far cadere la pioggia quando Domineddio, irritato...”.
Di nessun’altra festa cittadina si conserva addirittura documentazione fotografica dell’800, come per quella di S. Rocco. Né va dimenticato che per tale circostanza - e solo per essa- veniva recitato un componimento sacro- drammatico “La protezione nel voto e Ruvo liberata del contagio per intercessione di S. Rocco”.


Vincenzo Pellegrini

INTERNET e i Bambini

Il 35% dei bambini italiani usa quotidianamente la rete Internet. Una navigazione rischiosa, imprevedibile. I piccoli entrano già a 7-8 anni in contatto col computer
per vedere i Dvd, per fare giochi interattivi, non certo per navigare su Internet.. Poi passano all’uso della rete per trovare siti di interesse ludico o per ricerche scolastiche.
E’ a quel punto che i pericoli di “incontri insidiosi” diventano probabili. Si richiedono controlli tecnologici, ma poiché Internet non può essere bloccato, compete alla famiglia accompagnare i ragazzi nell’uso di un mezzo molto più rischioso della tivù. Ma anche la famiglia ha bisogno di essere guidata in questo compito. Nei siti da loro gestiti, i providers debbono fornire una serie di informazioni per un uso consapevole della rete. Per esempio, debbono spiegare dove si
possono trovare filtri per impedire ai minori l’accesso a siti illeciti. Si chiama “navigazione differenziata”. Il tenore di queste considerazioni lascia l’amaro in bocca ai genitori, che per lo più ne sanno meno dei figli sulle diavolerie del computer. Morale della favola: chi ha il computer in casa ha l’obbligo morale di conoscere sempre meglio il mezzo che i figli usano.


G. S.

Intervento al Sinodo sulla Parola di Dio

Iniziazione per i lontani nelle parrocchie
Francisco Josè Gòmez - Arguello Wirtz
Co-Fondatore del Cammino Neocatecumenale

Sono riconoscente al Papa per l’invito a partecipare a questo Sinodo, e soprattutto
siamo profondamente grati per l’approvazione definitiva dello statuto del Cammino neocatecumenale, che lo riconosce come frutto del Concilio, lo definisce come una modalità di attuazione diocesana dell’iniziazione cristiana e dell’educazione permanente della fede, lo dota di personalità giuridica pubblica, e lo offre ai vescovi come uno strumento al servizio della loro missione di evangelizzazione.
L’annuncio del kerygma: che Dio ha risuscitato dalla morte Gesù e lo ha costituito Kyrios, perché si possa annunciare a tutti gli uomini la conversione e la vita eterna: Dio c’è l’ha fatto vivere e sperimentare con grande sorpresa e meraviglia in mezzo ai poveri delle baracche di Palomeras Altas in Madrid, dove abbiamo scoperto il tripode sul quale si basa la vita cristiana: parola di Dio, liturgia e comunità.
Nelle catechesi iniziali i neocatecumeni ascoltano la predicazione del kerygma e ricevono le chiavi ermeneutiche necessarie per l’ascolto della Parola: vedere in Gesù
Cristo il centro e il compimento delle Scritture e mettere i fatti della propria vita
sotto la luce della Sua Parola.
Quest’iniziazione alla Scrittura viene sigillata in una celebrazione della Parola, in
cui i partecipanti ricevono la Bibbia dalle mani del vescovo, garante della sua autentica interpretazione. Iniziano così un cammino di riscoperta della fede alla luce della Parola che illumina la propria storia come storia di salvezza.
Il Cammino neocatecumenale, ora approvato definitivamente dalla Santa Sede, è così uno strumento offerto ai pastori della Chiesa per l’attuazione della nuova evangelizzazione, che apre un cammino di iniziazione cristiana per i lontani nelle parrocchie.


da L’Osservatore Romano

Il tratto finale, poi lo splendore

Bar della stazione, in attesa del treno. L’anziano signore, molto distinto, ordina caffè e brioche e poi, con lentezza e precisione, estrae una scatolina e trae due pasticche.
L’età che avanza domanda anche questo, ho subito pensato: la salute va gestita con cura e molte attenzioni. Ricordando gli ultimi mesi di vita del papà, un puzzle di medicinali da assumere in orari prescritti, senza “scampo”: per fortuna c’era mamma a vigilare…
Il tramonto della vita è una fase, più o meno lunga, che a molte persone è concesso di gestire con una certa libertà di movimenti e varietà di scelte personali: nessuno ama invecchiare (e ancora meno sentirsi dire vecchio o essere considerato inutile), ma senza dubbio molti oggi godono di possibilità un tempo impensabili.
E in ogni caso, comunque sia stata la vita, l’ultimo tratto sarà il più impegnativo: come lo sprint finale in una gara di corsa, come il sentiero più scosceso prima del rifugio alpino… Per questo ci viene raccomandata dal Signore e dall’esperienza della chiesa la vigilanza. Ricordo l’impressione che in me, giovane prete, faceva una frase del vescovo Franceschi: “Pregate per me il Signore, che mi conservi fedele”. Il vescovo che chiedeva per sé la perseveranza! Era un uomo sapiente, e poi ha passato la prova decisiva esemplarmente, con la viva luce della fede.
Non va però dimenticato che oltre il tratto finale c’è un traguardo d’incredibile bellezza e sorprendente meraviglia. Per quanto sia difficile l’erta conclusiva, qualunque sia la prova da attraversare, “le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi”. La parola della rivelazione ci dà questa speranza grande, non possiamo far finta di niente, non ha senso trascurarla o sottacerla!
A noi spetta allungare lo sguardo oltre l’oggi - talvolta pesante e duro - e affidarci alla promessa che poggia sugli insegnamenti di Gesù. Anzi, sulla sua risurrezione, principio di vita nuova, felice, eterna.


Cesare Contarini

“Dalle buone scuole e dalle buone strade si conoscono i buoni governi”

É quanto recita un proverbio italiano. Lo condivido in pieno. Anzi, direi che la strada maestra per svuotare le carceri consiste nell’avere scuole dove si insegni ai giovani l’arte del benvivere, dove si impartisca la buona educazione, dove la cultura non sia solo erudizione inutile e spocchiosa, ma sapere legato all’esperienza e diretto all’inclusione nel mondo del lavoro. Una scuola nozionistica che non impartisca insegnamenti è semplicemente inutile, ragion per cui non posso che essere d’accordo con chi, pensando alle università italiane, sostiene che sfornino inutili e costosi corsi ad uso e consumo dei docenti (e del familismo di casta) piuttosto che degli studenti. Se in molte università si promuove la sistemazione di figli e parenti invece che la bontà degli studi, è bene che si attacchino con estremo rigore privilegi e sprechi, accompagnando garbatamente alla porta baroni e burocrati che si sono pasciuti col denaro pubblico. Costoro fanno parte, insieme alla vasta schiera di capi, capetti e dirigenti superflui, di quella che Leonardo Sciascia definì la “classe digerente”, autentico scandalo italiano, amplificato dall’anomalia per cui nessuno è mai responsabile fino in fondo delle sue malefatte ed è chiamato a rifondere il maltolto. Una nazione che non coltivi il culto della responsabilità è facilmente preda di bande di predatori, pubbliche e private, e qualcosa dovrebbe suggerire la circostanza, non fortuita per l’appunto, che solo in Italia, che conta circa 55 milioni di abitanti, allignino ben tre organizzazioni malavitose (mafia, camorra, ndrangheta) che controllano intere aree ed attività economiche e finanziarie. L’unica attività che non interessa ai signori del malaffare è la scuola, perché essa è fucina di pensiero, di cultura, di saperi, di legalità. Abilita al rispetto di sé e dell’altro, non all’uso delle armi. La scuola di ogni ordine e grado è un argine al dilagare della violenza.
Orbene, le domande da porsi in questo bailamme italiano sono le seguenti: la riforma Gelmini migliora la scuola o la deprime? È una riforma o una storpiatura dell’esistente? Il maestro unico è una conquista o un tuffo nel passato? Sarebbe
deprecabile se alla base del decreto Gelmini ci fosse soltanto l’obiettivo di tagliare risorse e quindi posti di lavoro, creando una nuova categoria di disoccupati professionalizzati. Gli sprechi ci sono, sono tanti, e probabilmente è uno spreco anche corrispondere emolumenti da favola ad una moltitudine di politici, consiglieri, consulenti e portaborse (il ministro Brunetta dovrebbe installare i tornelli anche all’ingresso di Montecitorio e Palazzo Madama). Un vero disegno riformatore non tiene conto solo degli aspetti economici, che pure sono importanti, ma risponde alla domanda di cultura e di nuove professionalità che sale dal Paese, dalle sue articolazioni economiche e culturali. In un contesto globalizzato quale è quello in cui viviamo, i ritocchi di facciata servono a poco, ciò che conta è la sostanza della proposta e le sue concrete prospettive. Una scuola ed una università all’altezza dei tempi postulano una seria razionalizzazione delle risorse, l’eliminazione delle caste e che si ritorni a studiare sul serio. Quando avevo qualche anno in meno anch’io ho scioperato. Mi ricordo che mettemmo a subbuglio l’istituto tecnico per ragionieri di Corato per un mese intero. Le nostre richieste erano sacrosante, e forse gli studenti che oggi scioperano sono anch’essi convinti di scioperare per una giusta causa. Sono in buona fede? Chissà! Il dubbio sorge spontaneo quando ci si accorge che una parte politica si appropria o sponsorizza le manifestazioni studentesche. I giovani forse non se ne avvedono, ma la protesta ed il disagio possono essere facilmente strumentalizzati per fini che niente hanno a che vedere con la scuola. Del resto, rammento spesso a me stesso, memore dei recenti
raduni romani, che chi oggi si oppone a tutto e sostiene che gli italiani sono migliori di chi li governa, ieri era al governo del Paese (non in Papuasia) e porta la responsabilità di essere rimasto a guardare. Anche ieri gli italiani erano migliori della classe politica che li governava. Per concludere con un certo rammarico che, in qualche misura, lo saranno anche in futuro, sempre.

Salvatore Bernocco

Leggi, molto lentamente!

Il giorno più bello? Quello d'oggi.
L'handicap più grande? La paura.
La cosa più facile? Sbagliarsi.
Il difetto più grande? L'egoismo.
Il più grande errore? Trascurare.
La distrazione più sana? Il lavoro.
La più grande gioia? Donarsi a gli altri.
La peggiore bancarotta? Lo scoraggiamento.
Gli insegnanti migliori? I bambini.
Il più basso dei sentimenti? La gelosia.
Il regalo più bello? Il perdono.
La conoscenza più importante? Dio.
La cosa più bella del mondo? L'amore verso Dio e i fratelli.



“La campana,
col suo tocco,
è il segno insostituibile
di richiamo.
La sua nota
ricorda il tempo
che inesorabilmente scorre
ed invita tutti
ad unirci in Cristo
nella gioia e nel dolore.”

Nel Mese

Con rinnovato entusiasmo abbiamo dato inizio alla pratica del mese mariano che quest’anno ha assunto una particolare connotazione per la celebrazione del Sinodo sulla”Parola di Dio” che è stata al centro di tutto il mese del Rosario che - come non mai - ha visto la partecipazione di tanti fedeli della zona nord della città. Dopo la celebrazione del “Mandato” ai catechisti che quest’anno assumono particolare rilievo per alcuni sussidi audiovisivi complementari. Abbiamo intanto voluto ricordare il M° Cantatore nell’anniversario della sua scomparsa e molto proficui sono stati i vari incontri con i responsabili dei vari settori della pastorale. Assai partecipata la conversazione sui temi della famiglia condotta dal Prof. Biagio Pellegrini preside del Liceo scientifico; anche i vari e diversificati interventi hanno arricchito la discussione che, ne siamo certi, porteranno frutti. L’adorazione
mensile animata dal Gruppo eucaristico parrocchiale e da quello di P. Pio hanno coronato l’intero mese di ottobre, mentre la solenne Eucarestia del 31 ottobre ha costituito il momento bello di conclusione del mese del Rosario.

Luca



Foto: Pompei 1° Novembre - Pellegrinaggio al Santuario della Madonna del Rosario
(un gruppo di partecipanti)

Ottobre - Sinodo dei Vescovi su: La Parola di Dio

Miei Cari,
un’assemblea di Vescovi, presieduta dal Papa (Sinodo) si terrà dal 5 al 26 ottobre in Vaticano. Questo il tema che sarà affrontato: “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa” e se non una sfida, costituirà un progetto concreto per la evangelizzazione.
Ci si chiederà: Come, oggi, viene diffusa e recepita la Parola di Dio da parte dei fedeli. Rischiosa - afferma il Cardinale Martini - diventerebbe una evangelizzazione intellettuale e astratta, cioè che si fermasse solo a un livello di cultura che io posso farmi della Parola rivelata. A tale approfondimento si è pervenuti provvidenzialmente in seguito alla Costituzione del Concilio Vaticano II “Dei Verbum” che ha rivelato la crescita delle comunità ecclesiali sul lavoro di gruppo e l’accentuata sensibilità verso il tema della Parola di Dio, eredità portata avanti, appunto dal Concilio Vaticano ultimo.
Come tante iniziative della Chiesa, c’è il timore che anche la riflessione della Parola di Dio interessi il tessuto ecclesiale in modo trasversale, ossia, mentre la fiducia e l’importanza di quanto proclamato dalla Sacra Scrittura sono decisamente elevate, la frequentazione della Bibbia è molto saltuaria: folle affamate della Parola ma non adeguatamente e sufficientemente sfamate per la spirituale sopravvivenza.
Singolare l’iniziativa collaterale del progetto “La Bibbia giorno e notte”: tutta la Sacra Scrittura cioè sarà letta in televisione dal 5 ottobre fino al giorno 11. Lo stesso Benedetto XVI leggerà il primo libro, quello del Genesi. Nella nostra Comunità Parrocchiale: anche noi seguiremo il Sinodo da vicino, e costantemente vi terrò informati. Il mese del Rosario, come sempre partecipato tantissimo nella nostra Comunità e che raccoglie soprattutto la zona nord di Ruvo, diventerà momento e luogo privilegiato per l’approfondimento della Prima Lettura del Lezionario feriale e festivo, dato che sul Vangelo si è normalmente soliti soffermarsi maggiormente durante le celebrazioni. Ogni sera sarà intronizzato in mezzo all’assemblea il Libro della Parola di Dio e venerata per poi recitare il Rosario biblico. Viene di chiederci quanto è stato fatto in questi anni a riguardo. Certo, è necessario un maggiore accostamento. Se i nostri incontri sul Vangelo la “lectio divina”, formativi hanno preso le mosse dalla Parola di Dio, se un forte incremento
all’approfondimento è stato dato da diversi anni a questa parte con la presenza in Comunità del Cammino Neo-Catecumenale, vorremo maggiormente impegnarci a riprendere tra le nostre mani il Libro Sacro e memori dell’assioma “accipe librum et devora illum” (prendi il Libro e divoralo), imparentarci di più con la Parola di Dio perché di fatto diventi "lampada ai nostri passi".

Cordialmente, Don vincenzo

“Vivere la trasformazione fino in fondo”


Le indicazioni pastorali del nostro vescovo Mons. Luigi Martella per l’anno
2008-2009, “La relazione educativa fonte della speranza”, detta le coordinate
essenziali per un progetto educativo, fondato sulla pedagogia cristiana, che sani
la scissione fra mente e cuore.


È tutta incentrata sulla Parola e la pedagogia di Dio l’ultima lettera pastorale per l’anno 2008-2009 di Mons.Luigi Martella, La relazione educativa fonte della speranza, con cui il Vescovo pone all’attenzione generale l’emergenza educativa che costituisce una delle emergenze sociali più evidenti e foriere di non poche preoccupazioni. Sulla scia delle linee pastorali 2007-2009 pubblicate lo scorso anno, l’educazione costituirà l’impegno della Chiesa diocesana, all’unisono con gli auspici di Benedetto XVI, che è tornato a stigmatizzare la portata diseducativa di certa informazione e che sollecita ad invertire la rotta.
L’obiettivo fondamentale consiste “nel promuovere quanto è necessario per la crescita integrale della persona umana” in un contesto profondamente mutato e mutevole, segnato purtroppo da una deriva relativistica che emargina Dio e rende trascendente ciò che è effimero. Le mode al posto di Dio, in altri termini, fermo restando che siamo chiamati ad amare e vivere questo tempo di trasformazioni fino in fondo, perché Dio ama sempre l’uomo, non si è ritirato a vita privata, continua ad educarlo attraverso la Chiesa, la cui opera è “illuminata, sollecitata e sostenuta dallo Spirito Santo”. Questo ancoraggio allo Spirito Santo comporta la necessità di
mettersi in ascolto della Parola per produrre un cambiamento radicale di stile di vita, non soltanto annunci e scoop teologici. Mons. Martella del resto ci rammenta che il messaggio cristiano non è solo informativo, ma è performativo, cioè “è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita” (Spe salvi, n. 2). È quanto sosteneva anche Bonhoeffer, il teologo martire sotto Hitler: “Colui che è chiamato a credere deve uscire dalla propria situazione e mettersi a seguire Cristo.” “Vivere è educarsi, ed educarsi è vivere”, ricordava Renato Dell’Andro, allievo di Moro, richiamandosi all’insegnamento di Giovanni Modugno, esimio pedagogo e Servo di Dio. È così: l’educazione è un processo che dura una vita intera. Le basi educative vanno date subito (in questo consiste il compito degli educatori, in primis della famiglia), ma devono essere coltivate con pazienza e nel rispetto della libertà e dei tempi di ognuno. Non cresciamo tutti allo stesso modo, e tutti dobbiamo continuamente rimetterci in discussione per trovare modalità migliori e più appaganti di essere e di vivere. Anche la Chiesa cammina con l’uomo. Pur detenendo la Verità che è il Cristo, anch’essa è chiamata a recidere i rami secchi, ad abbracciare nuove e più impegnative sfide, ad educarsi e conformarsi sempre meglio al Cristo, a sprigionarne lo Spirito di verità e di vita.
Come viene intesa oggi la Chiesa? Che ne è della bellezza e della gioia nelle nostre comunità cristiane? E della pace, che è misura di gioia, serenità interiore, propensione al servizio? Se Pietro, come spesso ci ricorda Don Vincenzo, sanava soltanto con la sua ombra, forse dovremmo interpellarci sulle nostre ombre che oscurano la Luce piuttosto che essere oasi, riparo, ristoro.


Salvatore Bernocco

28 Ottobre: 50 anni or sono Giovanni XXIII

Celebriamo l’anno cinquantesimo della prima benedizione di Giovanni XXIII dalla loggia centrale della Basilica Vaticana. Chi è e di dove viene? Chiesero in molti. Era il patriarca di Venezia Angelo Giuseppe Roncalli, nato a Sotto il Monte, villaggio pedemontano della Bergamasca. Aveva trascorso 15 anni di sacerdozio nella sua diocesi (1905-1920) prima di iniziare a Roma il servizio diretto della Santa Sede (1920-1925), proseguito nel Medio Oriente (1925-1944) e a Parigi (1945 - 1953) , conchiusosi con aggregazione al Collegio cardinalizio e promozione alla sede patriarcale di Venezia (1953-1958). Contava 76 anni. Ai teleschermi apparvero gli occhi di un padre sollecito e il sorriso di un pastore buono.




Chi era e com’era Papa Giovanni? Rispondo ai pochi superstiti che ebbero consuetudine con lui e agli altri che lo conobbero tramite i familiari e i conterranei; ed anche a coloro che non si specchiarono nei suoi occhi limpidi e buoni, e non compresero quanto egli fosse abbandonato unicamente nelle mani della Provvidenza e non pretendesse di risolvere gli angosciosi drammi dell’umanità a colpi di bacchetta magica; quanto gli premesse di restar fedele al binomio incastonato nel suo blasone: Obbedienza e Pace, e alla lezione di Giovanni Crisostomo: “Il vertice della condotta cristiana consiste nell’essere semplici e prudenti”.
Era l’uomo consapevole della sua nativa dignità; il sacerdote che si deliziava sull’altare tra il Libro e il Calice, il vescovo saldamente unito al Successore di Pietro; il patriarca saggio e paziente; “il papa della bontà, della pace, delle missioni, dell’ecumenismo, della Chiesa che vuole abbracciare tutte le nazioni”
(Giovanni Paolo II); il cristiano e il sacerdote della bibbia, della catechesi, della
messa, dei sacramenti, delle devozioni, della Madonna salutata madre mia, fiducia
mia, il pontefice che sublimò le naturali virtù della gente dei campi; fede e preghiera, lavoro sodo e perseverante, integrità morale della famiglia, povertà contenta e benedetta.
Di quell’elezione resta traccia nei 1670 giorni che seguirono, vissuti com’egli stesso amava asserire, con fede e nell’unione più intima con Dio: In fide et gratia, conchiusisi nel fuoco della Pentecoste con un arrivederci carico di speranza e di amore e con estrema di padre e di amico: “Richiamo a tutti ciò che più vale nella vita: Gesù Cristo benedetto, la sua santa Chiesa, il suo Vangelo, e, nel Vangelo, soprattutto il Pater noster, e nello spirito e nel cuore di Gesù e del Vangelo la verità e la bontà, la bontà mite e benigna, operosa e paziente, invitta e vittoriosa”.


+ Loris Francesco Capovilla

La devozione a P. Pio da 20 anni al Redentore

Fu la famiglia del noto farmacista ruvese Giuseppe Tota ad introdurre tenacemente in Ruvo - autorizzato dal vescovo Don Tonino Bello - la devozione a P. Pio, non ancora proclamato beato, ma dal popolo ritenuto Santo. La stessa famiglia Tota commissionò allo scultore Mario Piergiovanni di Bari la monumentale statua che orna il prónao della centralissima chiesa del Redentore. Fu proprio nel 1988 che nasceva anche il Gruppo di Preghiera di P. Pio. Ricorrendo quest’anno il ventennio, i responsabili col parroco Mons.Vincenzo Pellegrini hanno organizzato una grande festa che e culminata con la veglia e la celebrazione solenne presieduta da P. Giuseppe Pugliese della Comunità di Betania. Oltre ai fuochi d’artificio e alla Bassa Banda di Ruvo, hanno allietato la serata la Banda dell’esercito e il lancio di mongolfiere.
L’ininterrotto pellegrinaggio dei ruvesi per venerare San Pio ha così raggiunto il culmine in quest’anno in cui ricorre il 40° anniversario della morte del Santo.


* * *

Don Tonino nei ricordi di chi l’ha conosciuto

Le vicende legate all’inizio del processo di beatificazione per il nostro don Tonino Bello e la sempre maggiore conoscenza della sua figura, fanno sì che in questo periodo vi siano nuove pubblicazioni su di lui.
A quindici anni dalla sua morte, dunque, si arricchisce e approfondisce la sua paternità episcopale. Dopo un primo periodo relativo al recupero degli scritti più o meno conosciuti o inediti, dopo diverse pubblicazioni sull’esame e diffusione di aspetti specifici del suo magistero, dopo la raccolta tematica degli scritti, dopo la cronaca occasionale e gli aneddoti che vedevano il vescovo protagonista, ora - per non perdere il filo della memoria - diversi autori, che in qualche modo hanno collaborato con lui, di penna buona e di memoria limpida, mettono mano allo scritto per non disperdere ricordi personali che possono esser di utilità ed edificazione per tutti.
In questo panorama editoriale, mi pare utile per il lettore citare un volumetto di ricordi personali su don Tonino scritto dal parroco del Santissimo Redentore di Ruvo di Puglia, mons. Vincenzo Pellegrini, Don Tonino Bello. Tra i ricordi, ED INSIEME (2008) che raccoglie - in occasione del suo 25 ° di nomina a parroco, nominato dallo stesso don Tonino vescovo da pochi mesi -aneddoti, ricordi e valutazioni che vanno ad arricchire la conoscenza del vescovo.
Il volume è pregevole non solo per la rapidità dell’esposizione e per una emblematica copertina (un dipinto di don Tonino avente sullo sfondo un Cristo sofferente), ma anche perché impreziosito dalla prefazione di mons. Loris Capovilla, ora novantenne, ai tempi segretario particolare di Papa Giovanni XXIII, figura di pontefice molto ammirata da don Tonino.
Mons. Capovilla traccia un quadro di don Tonino tra Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II ricco di citazioni e valutazioni che mostrano l’ammirazione nutrita da mons. Capovilla per don Tonino. Dai ricordi di don Vincenzo - quasi appunti di un periodo significativo della sua vita - emerge la tenerezza del vescovo verso il suo clero.
Particolarmente commovente l’attenzione verso la mamma del sacerdote, gratificata da attenzioni inusuali.
Don Vincenzo ricorda in particolare gli auguri che riceveva per il proprio compleanno e l’amicizia che il vescovo gli dimostrava. Il volume è arricchito da un’appendice contenente i testi che don Tonino aveva scritto per don Vincenzo e per la sua parrocchia. In anni in cui il computer non era ancora diffuso, compaiono lettere autografe e dattiloscritte. Molto bella la lettera di nomina a parroco, la quale contiene esortazioni e concetti validi per chiunque ricopra ruoli di responsabilità non solo nella chiesa:un dono grande averla resa pubblica e condivisibile con tutti, per il quale siamo grati a mons. Pellegrini.
Da rilevare anche il respiro diocesano degli interventi e la preoccupazione pastorale del vescovo, aliena da qualsiasi dietrologia. Un dato nuovo è quello che talvolta papa Giovanni Paolo II incontrandosi con mons. Pellegrini (in ragione dei suoi incarichi extradiocesani) aveva espresso conoscenza personale e apprezzamento per don Tonino sin dall’inizio dell’episcopato. Resta la curiosità di sapere cosa rispondeva il vescovo quando glielo riferiva. Qualche prossimo volume appagherà la nostra curiosità….


Agostino Picicco

CARLO CARRETTO: UN INNAMORATO DI DIO

Il 4 ottobre 1988, giorno di S. Francesco, si spegneva Carlo Carretto, un innamorato di Dio.
Riposa in un piccolo fazzoletto di terra accanto al cimitero di Spello, dove nel 1965 edificò una comunità aperta all’accoglienza dei fratelli nella fede e di chiunque volesse ritrovare il significato più profondo della contemplazione. Di lui ha detto il Cardinale Martini che “non trascinava a grandi teorie sulla preghiera, ma a buttarsi dentro e a viverla, ore e ore, notti intere”. Al di là delle note biografiche e del molto che di lui si può dire, il suo spirito forse emerge dalla lettura di queste sue parole riferite alla Chiesa: “Quante volte ho avuto la voglia di sbatterti in faccia la porta della mia anima, e quante volte ho pregato di poter morire tra le tue braccia sicure. No, non posso liberarmi di te, perché sono te, pur non essendo completamente te. E poi, dove andrei? A costruirne un’altra? Ma non potrò costruirla se non con gli stessi difetti, perché sono i miei che porto dentro. E se la costruirò sarà la Mia Chiesa, non più quella di Cristo. L’altro ieri un amico ha scritto una lettera ad un giornale:‘“Lascio la Chiesa perché, con la sua compromissione con i ricchi non è più credibile”.
Mi fa pena! O è un sentimentale che non ha esperienza e lo scuso; o è un orgoglioso che crede di
essere migliore degli altri. Nessuno di noi è credibile finché è su questa terra. San Francesco urlava: “Tu mi credi santo, e non sai che posso ancora avere dei figli con una prostituta, se Cristo non mi sostiene”. La credibilità non è degli uomini, è solo di Dio e del Cristo. Degli uomini è la debolezza e semmai la buona volontà di fare qualcosa di buono con l’aiuto della grazia che sgorga dalle vene invisibili della Chiesa visibile”. Parole che possono indurci ad una riflessione su chi realmente siamo e sul dovere di essere umili e misericordiosi.


S.B.

Nel Mese

Sia pure lentamente sono ripresi i lavori di riordino delle idee per l’impostazione del nuovo anno pastorale. Incontri informali si sono avuti con gli operatori pastorali, i catechisti e i vari responsabili delle associazioni e movimenti parrocchiali. Intanto il giorno 7 si sono svolti i festeggiamenti civili in onore di S.Rocco che tanti fedeli hanno onorato, mai dimenticando l’antico Patrono Minore della città. Una tappa fondamentale per la famiglia è stata Assisi ove ci siamo recati in pellegrinaggio nei giorni 12/14 settembre; abbastanza profonda la meditazione conclusiva tenuta in S. Damiano dal Padre Maestro dei Novizi come pure il meraviglioso Musical “Chiara di Dio” cui abbiamo partecipato presso il teatro Metastasio di Assisi. Intanto buona parte dei nostri hanno partecipato al Convegno Pastorale diocesano mentre il parroco ha veicolato i contenuti della Lettera Pastorale del vescovo Don Gino a iniziare dalle Associate alla Madonna del Buon Consiglio la sera del 26. Tutto si sta predisponendo per l’inizio dell’Anno Catechistico e il Mandato sarà affidato domenica 12 ottobre. Particolare rilievo è stato dato alla festa di S. Pio da
Pietrelcina, preparata da un triduo e dalla predicazione di P. Giuseppe Pugliese della Comunità di Betania.
Abbiamo solennizzato il Ventennio della devozione a P. Pio allorquando nel 1988 Don Tonino benedisse il monumento e nacque in quell’anno il 1° Gruppo di Preghiera in Ruvo.
Molta la partecipazione e pienamente soddisfatti per la festa esterna approntata dal Comitato e devoti del santo. Come ogni anno poi, il Volontariato Vincenziano operante in Parrocchia ha voluto festeggiare S. Vincenzo de’ Paoli e il Gruppo della Gioventù Mariana ha egregiamente eseguita la Missa “S. Famiglia” del M° Michele Cantatore; il parroco ha tenuto l’omelia sottolineando l’impegno caritativo di S. Vincenzo, operaio instancabile dalla “prima ora”. Sia per il primo giovedì che per la vigilia della festa di S. Pio la Comunità si è riunita in adorazione.
Si sono intanto aperte le iscrizioni per la Scuola di Catechesi e tutto è predisposto ad accogliere i ragazzi che stanno ormai facendo rientro dopo le vacanze estive.

Luca


Foto: Un gruppo di famiglie conclude l’esperienza formativa estiva ad Assisi (12/14 Settembre)

UNA LETTERA DA MALTA:

“Scio cui credidi”: So bene in chi ho riposto le mie certezze


Miei Cari,
l’affermazione di S. Paolo e la ricorrenza dell’anno a lui dedicato, non mi hanno trattenuto nell’incertezza a recarmi per alcuni giorni a Malta, anche per la presenza dell’amico Mons. Tommaso Caputo, da meno di un anno Nunzio Apostolico in quell’isola. È stata un’esperienza bella, resa forte per aver approfondito, nel corso degli anni, il messaggio di Paolo e aver visto coi propri occhi il luogo ove per la prima volta risuonò agli isolani la buona novella portata dall’Apostolo. È stato lo stesso Nunzio Apostolico ad accompagnare me ed un amico presbitero sul luogo dove S.Paolo trascorse il suo soggiorno in Malta, durato tre mesi, a seguito del naufragio avvenuto sulle coste maltesi nel 60 d.C.. Qui fu fondata la prima chiesa accogliendovi i primi convertiti dal culto pagano.
Fu soprattutto dal ‘500, con i gran Maestri e Cavalieri di Malta, che la grotta di S. Paolo divenne luogo privilegiato per l’autenticazione di una fede i cui segni sono abbastanza visibili ai pellegrini e numerosi turisti che si recano a Rabat, centro in cui la grotta è divenuta punto di riferimento e di verifica.
E, proprio di “verifica” - partendo da quel “Scio cui credidi” (So bene in Chi ho riposto le mie certezze)- si è trattato nella mia visita in questo luogo così pieno di suggestioni e visitato nel ’90 anche da Giovanni Paolo II.
Ho pensato a me e anche a voi, alla luce del programma di vita di Paolo. Egli ha creduto fortemente in Cristo e nella sua parola.
Tutto ha ritenuto spazzatura pur di guadagnare Lui, fino ad affermare: “non sono più io che vivo, ma è Cristo a vivere in me”, e a dare la sua vita per Lui in Roma sulla consolare via Laurentina.
La sua missione “ad gentes” lo portò, passando da Malta nella nostra Italia ove coraggiosamente annunziò il Vangelo. Insisto su quel “coraggiosamente” perché oggi si avverte più che mai l’urgenza dell’annuncio della Parola, autenticamente vissuta.
Verifichiamoci insieme sul programma di Paolo: “Scio cui credidi” e ringraziamo il Papa che non tralascia mai ricorrenze di eventi per stimolarci a rivedere la nostra vita a volte immersa in un continuo pencolare e il nostro essere cristiani che sembra agonizzare in una sclerosi paurosa. L’ardimento dell’Apostolo delle genti ci ricordi gli impegni assunti negli ultimi anni: dall’esperienza del Sinodo Parrocchiale (‘94-’95), al Centenario dell’Istituzione della nostra Parrocchia, ai 25 anni di vita comunitaria, trascorsi insieme.
Possa, l’esempio di S. Paolo, intrepido innamorato di Gesù metterci in una salutare crisi quando si scade nella mediocrità dell’impegno o quando - purtroppo- subentrano momenti in cui la fede si appanna.
Per voi e per me ho deposto un bacio su quelle pareti benedette in cui l’Apostolo Paolo ha sofferto, ha pregato, ha sperato, sapendo in Chi aveva riposto le sue certezze e da cui avrebbe ricevuto il premio.
Avvenga così anche per ciascuno di noi.
È il mio auspicio.


Cordialmente
Don Vincenzo



12 luglio: tra una folla di fedeli il Vescovo don Gino benedice l’edicola della Madonna della Rigliosa nell’omonima via

Adele e Alessandra della 2^ Comunità del Cammino

Neo-Catecumenale della nostra Parrocchia
hanno partecipato alla GMG di Sydney.



“Ecco Signore, io vengo; si compia in me la tua volontà”.
Fresche di enusiasmo ci accingiamo con animo a catapultare sull’emisfero australe per la GMG 2008. Partiamo per Bari e ciò che ha mutato la nostra titubanza, nonostante i preparativi avviati, in risolutezza al pellegrinaggio, è stata la parola annunciataci: Cristo vi precede in Australia! Forti di questo annuncio a seguito della Liturguia Penitenziale ci ritroviamo al terminal di Fiumicino dove siamo aggregati per l’imbarco ai fratelli di Puglia, della Basilicata e a gruppi di giovani romani e marchigiani, insieme ad una rappresentanza della CEI. E’ la nostra prima esperienza di vita, ma andiamo incontro a Cristo e la morte non ci spaventa più. Decolliamo alle 13,20 sul boing Quantas con destinazione Bangkok; ci sentiamo elevare verso l’alto e ricordiamo le parole del salmo: “Ti prenderà, ti solleverà su ali di aquila…” svanisce dalla mente l’apprensione del viaggio.
Scalo tecnico a Bangkok; al mattino in volo celebrazione eucaristica e richiamo sulla convinzione dell’uomo che è pellegrino sulla terra e quindi l’impossibilità di fare di esso una dimora definitiva e il carattere transitorio dell’esistenza umana che viene da Dio e a Lui ritorna.
Alle 20,30, ora locale del 13 Luglio si avvia a Sydney. Ultimato lo sdoganamento ci accoglie un freddo pungente subito tramutato in calore dalla festosa acccoglienza con canti e danze di Sydney. Sistemazione è spartana: nottata in sacco a pelo con poncio e scaldacollo e tant’altro con canti, balli e spirito di adattamento. Si avvicina intanto il giorno dell’incontro con Papa Benedetto e cresce la trepidazione; quante parole di ammonimento, di esaltazione, di speranza ci donerà Cristo per mezzo del Papa. In questi giorni indimenticabili abbiamo riscoperto l’importanza della Terza Persona Trinitaria il cui ruolo è di portare a compimento l’opera di Cristo e lo fa dipingendo nel cuore dell’uomo il Volto di Dio.
“Siate vigilanti, sappiate ascoltare, ci ripete il Papa; arricchiti dei doni dello Spirito, voi avrete la forza di andare oltre la precarietà fugace per offrire la coerenza e la certezza e la testimonianza cristiana”. Rinnovati dal dono dello spirito e incoraggiati dalle parole del Papa abbiamo intrapreso l’esperienza della evangelizzazione cercando, pur nella povertà, di annunciare il Vangelo, aiutati dallo spirito che ha posto sulla nostra bocca le giuste parole per le circostanze di vita di ogni fratello di vita incontrato.
Alle giornate trascorse alla presenza del Papa, ha fatto seguito l’incontro vocazionale con gli Iniziatori del Cammino Neo-Catecimenale.

Gesù non ha buona memoria

Gesù non ha buona memoria. Sulla Croce durante la sua agonia il ladrone gli chiede di ricordarsi di lui quando sarebbe entrato nel suo regno. Se fossi stato io gli avrei risposto, “non ti dimenticherò, ma i tuoi crimini devono essere espiati, con almeno 20 anni di purgatorio”, invece Gesù gli rispose “Oggi sarai con me in Paradiso”. Aveva dimenticato i peccati di quell’uomo. Lo stesso avviene con Maddalena e con il figliol prodigo. Gesù non ha memoria, perdona ogni persona, il suo amore è misericordioso.
Gesù non conosce la matematica, lo dimostra la parabola del Buon Pastore.
Aveva cento pecore, una di loro si smarrì e senza indugi andò a cercarla lasciando altre 99 nell’ovile. Per Gesù 1 equivale a 99 e forse anche di più.
Gesù poi non è buon filosofo. Una donna ha dieci dracme ne perde una quindi accende la lucerna per cercarla, quando la trova chiama le sue vicine e dice loro “Rallegratevi con me perché ho ritrovato la dracma che avevo perduto”. È davvero
illogico disturbare solo per una dracma, e poi far festa per il ritrovamento. Per di
più invitando le sue amiche per far festa, spendendo ben di più di una dracma. In
questo modo Gesù spiega che c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte.
Gesù è un avventuriero. Chiunque voglia raccogliere il consenso della gente si presenta con molte promesse, mentre Gesù promette a chi lo segue processi e persecuzioni, eppure da 2000 anni constatiamo che non si è esaurita la schiera di avventurieri che hanno seguito Gesù.
Gesù non conosce né finanza né economia. Nella parabola degli operai della vigna, il padrone paga lo stesso stipendio a chi lavora la mattina e a chi inizia a lavorare il pomeriggio. Ha fatto male i conti? Ha commesso un errore? No, lo fa di proposito, perché Gesù non ci ama rispetto ai nostri meriti o per i nostri meriti, il suo amore è gratuito e supera infinitamente i nostri meriti. Gesù ha i “difetti” perché ama.
L’amore autentico non ragiona, non calcola, non misura, non innalza barriere, non pone condizioni, non costruisce frontiere e non ricorda offese.


Cardinale Van Thuan

SCEGLIERE LA VITA

È stata un’estate calda, ma non soltanto sotto il profilo meteorologico. Sono emersi picchi sconosciuti di malessere che, in una società del profitto, degli interessi e dei consumi ad oltranza come quella in cui viviamo, testimoniano un mal di vivere che ha radici profonde, che affondano nel terreno del cuore, quindi della coscienza e dei valori che la edificano. È in continua ascesa l’uso di sostanze stupefacenti e di alcol soprattutto fra i giovani. Molte giovani vite sono state stroncate dall’alta velocità quale prolungamento dello sfrenato modo di vivere, spinto oltre ogni soglia e limite dall’assunzione di droghe d’ogni genere, semmai nel chiuso di discoteche dove la musica assorda ed attutisce le sollecitazione dell’anima, il suo bisogno di silenzio, di parole e gesti di vita. Il silenzio spaventa.
Il silenzio genera paure e fa affiorare drammaticamente il vuoto di senso che ci circonda. Il silenzio ci fa sentire più isolati che soli, e quando ciò accade vuol dire che si è compiuto o si sta compiendo il passaggio dall’essere all’apparire, perché l’essere, una vita fondata sull’essenza, sulla roccia, su solide basi valoriali preserva dal male oscuro, contiene dosi di vita e di crescita talvolta insospettate. La quiete interiore, quella pace intima a cui tutti aspiriamo, nasce dal silenzio come luogo dove Dio si manifesta all’occhio dell’anima, la voce della coscienza si percepisce oltre il diffuso frastuono, dettando le sue aspirazioni, indicando un tragitto verso la terra promessa, verso oasi di pace e di felicità. Oggi che le prestazioni d’ogni genere devono essere spinte al massimo, emerge prepotentemente il bisogno di correggere il tiro, di imparare le antiche virtù della temperanza, dell’umiltà e della mitezza.
Tutti siamo chiamati a questa difficile conversione, di certo non favorita dai modelli che ci attorniano, quasi tutti negativi. Già, eroi negativi passano per esempi di vita, comportamenti di star del cinema, della moda e del jet set internazionale passano per quelli a cui conformarsi per essere al passo con i tempi. Giornali e riviste ci propinano cronache rosa che, a ben vedere, già contengono in sé i futuri sviluppi di color grigio o nero.
Serviti quanti sostenevano che la liberalizzazione delle droghe ne avrebbe fatto calare il consumo (di fatto la droga si vende come una merce qualunque al mercato libero, bastano poche decine di euro per una dose di cocaina, una volta prerogativa di talune élite); serviti coloro per i quali proibire equivarrebbe ad uccidere, resta una desolante realtà con cui occorre fare i conti, educatori, politici, intellettuali, sacerdoti: l’emergenza educativa. Non si invoca un ritorno al passato, alla severità di certe pratiche. Non si immaginano scenari autoritari, ben lontani da chi come noi ritiene che la libertà sia un bene assoluto da difendere con le unghie e con i denti. Si invoca soltanto la riscoperta di modelli educativi che legano la libertà alla responsabilità e al dominio di sé, che diano valore e senso profondo alla vita. Non‘è affatto vero che la libertà postuli l‘anarchia, che essere liberi significhi assecondare ogni istinto e pulsione. La libertà è esattamente il contrario di questo, è saper scegliere, ma sempre per la vita ed il benessere morale e spirituale.


Salvatore Bernocco

RAGAZZI E PERDITA DI VALORI

“Vogliamo la nostra libertà”.
E sono più schiavi.




Per anni, i cattivi maestri hanno potuto predicare che la società andava liberata da tanti tabù, per avere finalmente cittadini moderni e consapevoli. Hanno cominciato - senza opposizioni - svilendo la pratica e le istituzioni religiose. La scristianizzazione ha svuotato le chiese e gli oratori, dove il variegato mondo dei giovani riceveva l’educazione ai valori, magari non tutti poi da condividere. Il bel risultato è sotto i nostri occhi. I ragazzi si allontanano dall’idea stessa della trascendenza e cercano subito d’incontrare un qualche paradiso, attraverso esaltazioni di gruppo o fumando gli “innocui” spinelli, che secondo i buontemponi non fanno alcun male, per poi passare alle droghe pesanti.
Così, di compromesso in compromesso, gli assuntori di stupefacenti dal 2001 ad oggi sono raddoppiati. E ogni anno qualcuno, sotto il loro dominio, si mette a scannare i familiari, per farci gridare all’orrore.
Questi ragazzi, soprattutto delle periferie, che diventano piccoli consumatori-spacciatori, un tempo stavano nei cortili dei collegi religiosi e ricevevano i rudimenti della vita seria e degna. Oggi, stanno negli angoli bui delle città a ricevere sporchi denari, per somigliare agli altri, ai coetanei più “fortunati” che si possono permettere di consumare la droga e non spacciarla.
La liberazione ha riguardato pure il rapporto di coppia. Alla prima angheria, il partner che si ritiene vittima, in quattro e quattr’otto, fa i bagagli e rompe il vincolo. Non c’è più capacità di sopportazione e, con quotidiane iniezioni di egoismo, ce ne infischiamo degli interessi degli incolpevoli figli. La disgregazione delle famiglie e la proposta di sostituirle con diversi e più agili rapporti hanno minato la cellula base del percorso educativo.
I ragazzi, senza riferimenti domestici, non ne trovano neppure nel poco edificante spettacolo offerto da tanti esponenti delle istituzioni pubbliche. La politica come gestione e spesso come affare li estranea da un mondo che avrebbe bisogno del loro entusiasmo. Non a caso, le federazioni giovanili dei partiti, anche di massa, si vanno svuotando, per l’incapacità di proporre progetti ideali e appassionare i ragazzi, magari alle utopie. I pochi che resistono sono vecchi anzitempo, poiché scimmiottano i cattivi maestri, cui si sforzano di somigliare persino nell’abbigliamento e nelle scempiaggini.
Per altro, i ragazzi non ricevono nessun aiuto, da certi mezzi d’informazione, impegnati a esaltare campioni, divi e divette e persino tante allegre “signorine”, che un tempo chiamavamo con altro inequivocabile termine. La società “liberata” è questo squallido prodotto di cittadini più vincolati di prima, alle droghe, al successo a ogni costo e al rifiuto di qualsiasi sacrificio. È solo un “insieme”, dal quale è scomparsa persino la pietà.


Melchiorre Briguglio

Nel Mese

Il ricordo più bello, vissuto dalla Comunità nel mese di luglio è stata la preparazione e la celebrazione del vescovo don Gino la sera del 12 luglio cui è seguita la benedizione dell’edicola della Madonna della Rigliosa nell’omonimo territorio della parrocchia. La partecipazione dei fedeli della città è stata enorme; anche il Sindaco ing. Michele Stragapede ha voluto essere presente promettendo maggiore interessamento per il centro storico cittadino; egli stesso ha fatto cadere il velo che copriva l’icona e il vescovo ha presieduto la liturgia della parola animata anche dal canto dei fratelli del Cammino Neo-Catecuminale.
Il parroco ha poi partecipato al Pellegrinaggio a Lourdes presieduto dal vescovo don Gino dal 14 al 17 luglio, nel 150° anniversario delle apparizioni della Madonna.
Si è poi dato inizio al novenario in onore di S.Anna, al solito molto partecipato dalle mamme in attesa e da quelle che hanno portato i loro bambini. Affollate le
celebrazioni, compresa quella della sera del 26 presieduta dal nostro Vicario generale don Tommaso.
Non si è poi per nulla affievolito in agosto l’impegno della comunità, nonostante la diaspora di tanti di noi per il meritato riposo estivo. Così ci siamo preparati alla festa all’Assunta, “Virgini syderibus restitutae” come si è letto sul frontale della magnifica chiesa Pantheon di Musta sull’isola di Malta.
La ricorrenza della festa liturgica di S. Rocco ha visto la partecipazione di tantissimi fedeli della città, anche quelli emigrati: la festa civile avverrà invece la prima domenica di settembre.
Non è mancato il momento dell’adorazione del primo giovedì del mese, animato dal
Gruppo Eucaristico parrocchiale.
Quest’anno la meta per l’esperienza estiva del Gruppo Famiglia è stata vicina: Iazzo di Cesare. Vicina ma tanto intensa l’esperienza comunitaria, un campo-scuola tutto particolare per crescere nella fede, nel dialogo, nella comunione. Con tanta gioia abbiamo accolto Adele e Alessandra della 2^ Comunità Neo-Catecuminale che hanno
partecipato all’incontro col papa a Sydney: le stesse danno un resoconto della bella avventura in questo numero di “Fermento”.
La comunità ha poi ricordato il 25° di inizio di ministero di parroco di don Vincenzo il 28 agosto, mentre il 29 successivo è stato ricordato nell’Eucarestia l’anniversario (1987) della pia morte del parroco don Michele.
Molto gradita la visita di ruvesi all’estero e che sono ritornati dopo tanti anni per ammirare il volto nuovo della nostra chiesa parrocchiale.

Luca

Via “S. Maria della Rigliosa”

riconsegnata doverosamente alla Vergine


Miei Cari,
quest’anno venticinquesimo del nostro camminare insieme viene a porre un altro bellissimo tassello che si aggiunge alla preghiera, all’impegno, alle iniziative pastorali registrate in questi stupendi anni: una strada del centro storico della nostra parrocchia viene riconsegnata alla Madonna. Sì, perché in quella via denominata nei secoli “Rigliosa” e deformata poi in “Rogliosa” esisteva una cappella dedicata a S. Maria della Rigliosa.
La scoperta è avvenuta da accurate mie ricerche storiche attinte dalla monumentale Platea della Arciconfraternita del Carmine di Ruvo in cui viene appunto annotata tale importante notizia. Era una prassi consolidata nel passato, quella di intitolare strade alla Madonna e ai santi. E nel territorio della nostra parrocchia sono tante le strade dedicate alla Annunziata, a S. Tommaso, a S. Antonio, a S. Caterina e a S. Giovanni Rotondo. Non si tratta di una riappropriazione indebita, ma è doverosa quella di dare alla Madonna un posto di onore in una strada di gente povera, ma buona, tanto devota alla Vergine che tornerà a benedire col suo materno sguardo quest’unica famiglia che vuole consacrarsi interamente a Lei.
Non ha voluto sottrarsi a questa gioia lo stesso nostro Vescovo don Gino che sabato 12 luglio sarà tra noi per benedire la Icona della Vergine che legittimamente si riappropria di questa strada e alla presenza del Sindaco di Ruvo e dei tantissimi parrocchiani e devoti della Madonna che le faranno festa.
Possa la Madonna della Rigliosa, che fa rima con “Donna Meravigliosa”, avvolgere nel suo manto non solo gli abitanti di quella strada ma tutta quanta la nostra comunità per ulteriori traguardi di bene e di una vita cristiana autenticamente vissuta e fortemente testimoniata.


Cordialmente
Don Vincenzo




O Vergine Maria,
astro lucente di pura bellezza,
Tu che hai attirato
lo sguardo compiaciuto di Dio
ed hai offerto il tuo grembo
per una maternità
destinata ad accogliere
ogni uomo ed ogni donna,
figli nel Figlio,
concedici,
Ti preghiamo,
la serenità del cuore,
lo slancio dell’amore verso i fratelli
e l’impulso della speranza
nell’arduo cammino della vita.
Amen.

Luigi Martella
Ruvo di Puglia, 12 Luglio 2008

BUONE VACANZE

“L’estate è un tempo propizio per avere momenti di pausa ristoratrice. È un tempo benedetto nel quale aumentano le possibilità di scelta nell’organizzare e vivere le proprie giornate e più numerose si fanno le occasioni per un rapporto disteso con il creato, con gli amici, con Dio. È una stagione nella quale l’espandersi del turismo culturale facilita la scoperta di altri popoli, culture e civiltà e allarga i confini dello spirito favorendo il rispetto per ogni uomo e la tolleranza verso sensibilità e valori differenti dai nostri. È anche uno spazio per forme di turismo religioso o per vere e proprie esperienze di spiritualità, che rispondono a un profondo bisogno del cuore e che aiutano ad aprire l’anima a quell’incontro con il creatore, nel quale essa trova vero riposo e gioia piena.
La Domenica costituisce come il paradigma di tutta l’estate. Siamo allora tutti invitati a far sì che l’Eucaristia della Domenica sia davvero il Cuore vivo e palpitante di tutta la nostra estate. E perché il nostro sia “un ‘Giorno del Signore’ lungo tutta una estate”, il nostro anno di lavoro e di fatica sfoci nell’incontro con Dio, per esprimergli il ringraziamento e la gioia di aver goduto dei frutti della terra, dei prodotti dell’ingegno dell’uomo, della solidarietà e della collaborazione che ci costruisce come famiglia umana incamminata a fare “cieli nuovi e una nuova terra”, di cui l’Eucaristia è il segno e la risorsa.
Non manchino veri e propri momenti di riposo, nei quali liberarci dalla schiavitù di una indebita assolutizzazione del lavoro e del profitto. Godiamo, se ne abbiamo la possibilità, del creato, della sua bellezza e dei suoi beni. Diamo spazio anche a forme di sano divertimento e a momenti di relazioni gratuite. E tutto questo concorra
a dare alla nostra estate anche la dimensione della festa, di una festa radicata nella gioia cristiana della comunione con Dio.
Alle famiglie vorrei suggerire la visita a qualche Santuario, la sosta di alcuni giorni nei monasteri per momenti di condivisione spirituale, un soggiorno in quelle “case per ferie” che curano l’accoglienza fraterna, attente ai bisogni di serenità e di riservatezza che le nostre famiglie ricercano per una vacanza positiva e salubre per l’anima.
Ai fedeli rivolgo l’invito a non “dimettere” la fede in tempo di vacanza, ma a divenire testimoni e missionari di quei valori umani e cristiani che sono il “sale” e la “luce” in una cultura sempre meno intrisa di fermento evangelico. Buona estate a tutti!”


Card. Dionigi Tettamanzi


Nessuno metta mani sbagliate su don Tonino Bello

Caro direttore, avrei fatto volentieri a meno, mi creda, di scriverle queste righe.
Purtroppo, però, noto, con disappunto e amarezza, che la campagna elettorale si avvale di affermazioni e di “testimonianze” che rendono patetico e non degno di credibilità il tentativo di accaparrarsi il voto cattolico.
Sono un consigliere provinciale di terra di Bari. Ma parlo da amico e medico personale di mons. Antonio Bello, grande figura di vescovo, che dà lustro alla Chiesa ed è fonte di ispirazione per tutti coloro che, come lui, vogliono inerpicarsi sui terreni impervi della pace ispirandosi al Vangelo della carità e della gioia. Il suo nome viene però invocato a testimonial di un’appartenenza e di un credo politico-religioso che dovrebbero godere di ben altre conferme.
Io ho accettato la candidatura alla Provincia a patto che nessuno facesse menzione dello stretto legame di amicizia intercorso tra me e don Tonino, pena il mio immediato ritiro.
Non ho la pretesa che i “figliocci”, che spuntano come funghi in periodo elettorale, adottino lo stesso comportamento. Ma il rispettoso silenzio, questo sì, lo posso esigere!
Tra le mie braccia è spirato il grande Vescovo della carità e della pace guardando, per l’ultima volta, il dolce volto della Madonna delle Grazie di Ruvo di Puglia. Chiunque voglia trovare conforto e serenità di animo vada a trovarlo, si inginocchi sulla sua tomba e si immerga nella preghiera che, per un credente vero come don Tonino, è l’unico tramite tra Dio e la coscienza dell’uomo.


Dott. Domenico Cives
dalla Gazzetta del Mezzogiorno

EMERGENZA EDUCAZIONE

Vi è una grande emergenza educativa in tutto l’Occidente. Ne ha parlato di recente il Santo Padre Benedetto XVI, il quale ha evidenziato la necessità di mettere al centro del progetto educativo delle giovani generazioni “qualcosa di valido e di certo”, meglio Qualcuno, “la via che conduce alla vita”, il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Il relativismo e l’esasperato individualismo hanno ridotto in cenere determinati valori che sono a fondamento della civile convivenza. Valori civili e valori religiosi insieme, perché il credente è colui che ama la sua città, che promuove percorsi di civile convivenza a partire dal vangelo, la Buona Novella, che ha in sé proposte che favoriscono il bene comune. Il decalogo e le otto beatitudini edificano la civiltà del bene, l’amore per ogni uomo, che poi è il passaporto per la vita eterna. Un buon educatore è chi fornisce non soltanto nozioni ma anche provocazioni sulle grandi e decisive domande della vita, sul suo senso profondo. Se la cultura odierna tende a dimenticare l’oltre e a stagnare sull’oggi, circondandolo di pessimismo e di un diffuso e sottile nichilismo, all’educatore cristiano compete l’ardua e bella impresa di testimoniare la vita, di rendere testimonianza al Risorto con l’esempio e la parola, avendo verso i ragazzi e i giovani gli stessi sentimenti che furono di Cristo. Qualche giorno fa si parlava con Renato Brucoli della capacità che aveva il Servo di Dio Don Tonino Bello di valorizzare i talenti dei giovani, di farli emergere, di iniettare in essi il seme della fiducia nelle proprie capacità e quindi nel futuro. Ecco, gli educatori dovrebbero essere come Don Tonino, un amico affidabile nel quale si poteva toccare con mano l’amicizia di Gesù.


Salvatore Bernocco

I facili applausi sono consensi di comodo

È utopico pensare che, amando il mondo, il mondo si converta in modo automatico, cioè senza tragedia. Amare il mondo può anche significare scatenare l’odio del mondo verso la Chiesa. È la storia della Chiesa, e soprattutto la storia dei santi, a confermarci continuamente che la Chiesa trasforma il mondo assumendo la reazione peccatrice del mondo, allo stesso modo di Cristo, di cui essa è il corpo (cf Col 1,24). (…) Anzi, più la Chiesa vive consciamente e autenticamente di Cristo, più il mondo non lo sopporta. Ma è allora che in misura sempre maggiore si rivela la pentecoste della Chiesa che la fa continuamente risorgere e progredire. (…)
Ora, il martirio passa dal suo aspetto fisico alla sua dimensione spirituale, morale e culturale.
Cercare gli applausi, le approvazioni, non fa parte del cammino spirituale, perché non fa parte dell’amore. È l’amore del Padre in ultima istanza il motivo del dramma del cristiano nel mondo, perché salva il cristiano dalle reazioni, pur logiche e comprensibili, alla opposizione del mondo.
Secondo una certa logica del mondo è grande chi reagisce, chi è forte, chi “picchia di più”. Ma l’amore sconfessa questa mentalità con la capacità risurrezionale che gli è intrinseca. Perciò il forte è il debole agli occhi del mondo e il felice è lo
sconfitto dal mondo.(…)
Il perseguitato a causa dell’amore è sempre una rivelazione dell’amore. La Chiesa sa che l’esito vero e definitivo della storia e di tutte le storie si realizza attraverso la croce e, nella luce dello Spirito Santo, si dischiude fino alla realtà escatologica, cioè che la verità delle azioni degli uomini non si esaurisce qui, ma affonda nella rivelazione della parusia. I facili applausi, le approvazioni superficiali, i consensi di comodo sono luccichii dell’ingannatore. Si può amare il mondo, lavorare per il mondo e riscuotere un certo successo. Eppure, nell’ottica spirituale, tutto questo non significa ancora quella missione maturata nell’amore che porta frutti che rimangono, perché è impossibile saltare dal giovedì santo alla domenica mattina senza vivere la passione e la morte del venerdì e il silenzio e l’attesa del sabato. Solo una missione impastata con l’amore del venerdì e del sabato santo genera per la risurrezione.


Marko Ivan Rupnik
(da: Cerco i miei fratelli - LIPA)

“TRA I RICORDI”

Una bella testimonianza di Don Vincenzo Pellegrini
su Mons. Tonino Bello, consegnataci in occasione
del XXV anniversario di parrocato




Tanti hanno scritto e scriveranno note, approfondimenti, studi, sulla fulgida figura del compianto Don Tonino Bello, prematuramente spirato nel 1993, che ha segnato di sé, della sua bontà ed intelligenza la nostra Chiesa locale. Ad essi va ad aggiungersi, ma da una prospettiva diversa, quella dell’amicizia sacerdotale, Don Vincenzo Pellegrini, che ha buttato giù, con semplicità e sentimenti di affetto, poche quanto intense pagine intrise di ricordi, con semplicità e spontaneità. Lo ha fatto in coincidenza col XXV anniversario di parrocato, a cui fu destinato proprio da Don Tonino nel 1983. Il testo “Tra i ricordi”, edito per i tipi della Ed Insieme si apre con una presentazione di Mons.Capovilla, che fu Segretario particolare di Giovanni XXIII, e l’intro-duzione di Mons. Tridente, che fu vicario anche con Don Tonino. Sono pagine che si leggono d’un fiato, piccoli tasselli di un mosaico che ci consegnano un Uomo ed un Vescovo che non si comportò da controllore ed amministratore del sacro, ma da amico dei sacerdoti e degli ultimi.

S.B.

VIA MADONNA DELLA RIGLIOSA

e una rinnovata richiesta al Sindaco di Ruvo

Il prossimo 12 luglio una stupenda immagine col titolo di Madonna della Rigliosa verrà scoperta nel centro storico, per l’appunto in Via Rogliosa, che a Ruvo ha fama negativa, non già per colpa di chi ci abita, ma di una certa stupidità popolare che affibbia vizi e conia appellativi che poi si tramandano di padre in figlio. Molte famiglie ruvesi sono indicate con nomignoli di strana origine, e allo stesso modo quella antica via, dove alloggiavano famiglie poverissime che vivevano nella promiscuità e si lasciavano andare alle ciarle. Insomma a Ruvo Via Rogliosa è sinonimo di bassofondo, di ghetto paesano, di sporcizia e scarso decoro e pettegolezzo. Tutto il peggio si concentrava lì, cosa assolutamente priva di fondamento. Era (ed è) una zona del centro storico abitata da molta gente di modeste condizioni economiche, ma da questo a farne l’icona del peggio, ce ne passa. Un significativo risarcimento a questi nostri concittadini di ieri e di oggi, ad un tempo religioso e morale, viene dalla lodevole iniziativa di allocarvi l’immagine della Madonna della Rigliosa, che in quei vicoli era venerata proprio da quelle persone a cui si attribuivano non proprio specchiate virtù. Sarà un momento di grande importanza anche sotto il profilo civile, un modo per mettere al centro dell’attenzione della cittadinanza e delle istituzioni locali la zona antica di Ruvo, che necessita di tornare viva e vegeta e di restauri, come del resto la centrale Piazza Castello, che va messa a nuovo senza indugi. Non è decoroso che una piazza centrale sia ridotta in condizioni disastrose e che rappresenti una insidia per chi dovesse attraversarla.
Non è un bel biglietto da visita, anzi è un pessima cartolina di Ruvo. Non possiamo che apprezzare il rifacimento di Piazza Dante, tuttavia ci permettiamo di ricordare sommessamente al nostro Sindaco che il restauro di Piazza Castello costituiva una priorità, forse la prima.
Siamo certi che lo sia ancora? Possiamo contarci? Ci auguriamo di sì. Nell’attesa ci godiamo il ritorno di Maria, Madre dei poveri, a Via della Rogliosa, l’affidamento di una icona così antica ad una fetta di popolo che, ne siamo certi, ne avrà somma cura. E se si provvedesse a cambiare Via Rogliosa in S. Maria della Rigliosa?


Filoteo

Nel Mese

Abbiamo salutato il mese eucaristico di giugno con la Prima Comunione di venti nostri bambini, mentre nel pomeriggio la Comunità ha partecipato alla Processione Eucaristica per l’Ottavario del Corpus Domini.
Intanto si sono fatti i vari incontri per il consuntivo delle attività svolte in ogni
settore dalla pastorale, dai catechisti,alla Caritas, all’A.C.I..
Una giornata di spiritualità, invece, è stata vissuta a Coppa dalle sorelle del Volontariato Vincenziano; ha parlato il parroco che ha poi celebrato l’Eucarestia.
Fervono i preparativi per Sidney. Se ne sta parlando anche tra i nostri giovani dell’evento e con gioia parteciperanno al raduno mondiale le nostre Adele e Alessandra della 2^ Comunità del Cammino neo-catecumenale. Molto partecipata è stata poi la tredicina in onore di S. Antonio, mentre il giorno 21 la Comunità si è riunita in preghiera per il nostro vescovo don Gino.
L’adorazione Eucaristica ha dato inizio e conclusione al mese di giugno. Il 30 c’è stata la celebrazione solenne e l’Atto di Consacrazione al S. Cuore. Il 28, inoltre, il parroco e rappresentanti della comunità si sono recati a Molfetta per la celebrazione conclusiva della Visita Pastorale da parte del vescovo e l’inizio dell’Anno di S. Paolo nel bimillenario della nascita.


Luca


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La scomparsa di due grandi Amici della nostra Comunità:
P. Francesco Gagliardi, anni 96, 17/5/08
Don Vincenzo Mundo, anni 88, 7/7/08
Più volte predicatori in parrocchia e tanto vicini al parroco don Vincenzo per essere
stati, il primo suo Direttore Spirituale nel Seminario Regionale e il secondo Rettore
nel Seminario Vescovile interdiocesano in Bitonto. Il Signore conceda ad essi il
premio dei giusti servitori del Vangelo.



P. Francesco Gagliardi e D. Vincenzo Mundo con il nostro parroco,
festeggiato per l’Onorificenza Pontificia conferitagli da Giovanni Paolo II (25 luglio 1999).

Un buon prete: io lo guardo e questo mi basta (F.Mauriac)

Miei Cari,

vi confido che questa volta avrei voluto scrivervi soltanto un “Grazie” per le manifestazioni di affetto nella circostanza del mio XXV di Parrocato tra voi. O che sarebbe stata sufficiente la mia convinta asserzione: Dajenù = questo mi sarebbe bastato. E perché - come diceva il grande Newman,l’avvenire della Chiesa è sviluppo, non ripetizioni, non rivoluzioni, ma viva identità e cambia per rimanere identica, giacché unisce in sé quanto è unito nel Cristo: la verità e la vita, non ho potuto fare a meno di mettermi ancor più alla ricerca per poter essere più prete in mezzo a voi.
Soprattutto se tengo conto di quanto scriveva F. Mauriac sui preti: “Ah, come li ascolterei, se mi parlassero del Figlio dell’uomo non da sociologi, non da teologi, ma coloro che vedono e che toccano il Cristo risorto”.
E proprio partendo da quella “qualche falla da riparare” a cui facevo cenno sulla mia lettera di maggio, volendo proseguire il nostro cammino, sempre rifacendomi al Mauriac, mi convinco sempre più che la predica più efficace del prete è sempre stata la sua vita; un buon prete -diceva- non ha nulla da dirmi: io lo guardo e questo mi basta.
Avrò anche da fare attenzione sul convincimento di Kierkegaard e cioè che Dio è qualcuno a cui si parla, non qualcuno del quale si parla. Che la comunità parrocchiale esige non un uomo “prete”, ma un prete “uomo”.
Vi dico ancora che per un migliore proseguimento del nostro cammino mi ha fatto riflettere non poco quanto scrive N. Revelli: “Ci sono preti che si sono comportati e si comportano da altoparlanti di Gesù Cristo, mica solo con le parole, anche con i fatti. Altri invece hanno scelto la vita quieta, il tran tran: nessun nemico. Io dico: se un prete non ha nemici, non è un prete!
Gesù crea una rottura tale che la chiamano “segno di contraddizione”.
E allora andiamo avanti; miei Cari, e non cessiamo mai di invocare lo Spirito perché i sacerdoti siano santi, poiché è sempre attuale ciò di cui era convinto Bernanos, che “uno dei principali responsabili, forse, dell’avvilimento delle anime è il sacerdote mediocre” e che il sacerdote deve essere innanzitutto uomo di grande fede, perché senza fede il sacerdozio non si capisce. Vivendo sempre nello spirito di Lc. 17,10: “Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.
Circa poi alcuni rami secchi che con il Consiglio Pastorale sono stati recisi voglio riportarvi quanto l’allora Card. Ratzinger scriveva: “Quanti più organismi facciamo, siano anche i più moderni, tanto meno c’è spazio per lo Spirito e tanto meno c’è libertà. Penso che dovremmo, da questo punto di vista, iniziare nella Chiesa un esame di coscienza senza riserve e a tutti i livelli. Tutto ciò che è fatto dall’uomo, all’interno della Chiesa, deve essere riconosciuto nel suo puro carattere di servizio e ritirarsi davanti a ciò che più conta e che è l’essenziale”.
Unito intanto a voi tutti, come nella familiare assemblea liturgica del 17 maggio scorso, prendo in prestito -a conclusione- l’inno dell’universo del grande Theilard De Chardine: “Ricevete, Signore, questa ostia totale che la Creazione, mossa dalla vostra attrazione,vi presenta in questa nuova aurora. Questo pane, il nostro sforzo, non è per sé -lo so bene- che una immensa disgregazione. Questo vino il nostro dolore, non è ancora, ahimé! che una bevanda dissolvente; ma in fondo a questa massa informe voi avete messo -ne sono sicuro perché lo sento- un irresistibile e santificante desiderio che ci fa gridare tutti, dall’empio al credente: “Signore,fateci uno”.

Cordialmente,
Don Vincenzo



La gioia del sacerdozio
è la gioia di una
giovinezza che si rinnova
ogni giorno. Tutte
le volte che tratteniamo
il dono divino, siamo
dei ladri e dei profanatori.
La santità sacerdotale
è in funzione
degli altri

Primo Mazzolari



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21 Giugno 2008 - Festa di S. Luigi Gonzaga: onomastico del vescovo Don Gino
A lui l’affettuoso augurio dell’intera Comunità del SS. Redentore

Intervento del Nunzio Apostolico Mons. Nicola Girasoli

Carissimo Don Vincenzo,

è per me una grande gioia ed anche una grande emozione presiedere e condividere con te questa celebrazione eucaristica che segna una tappa importante della tua vita sacerdotale e ministeriale: 25° di Parrocato in questa parrocchia del SS. Redentore. In queste circostanze si è subito tentati di guardare indietro, e vedere il cumulo di ricordi, di volti, di eventi sfilati giorno dopo giorno in questa Parrocchia nei tuoi meravigliosi 25 anni di Parroco. È questa comunità che ti ha accompagnato e sostenuto con orgoglio e con gratitudine standoti sempre vicino nei momenti belli e gioiosi ed anche in quelli che procurano qualche sofferenza ed amarezza. Il ricordo, poi, di coloro che non sono più tra noi e già godono in cielo della pace eterna, in modo speciale ricordiamo i tuoi genitori (specialmente Mamma Pasqualina) e il tuo indimenticato predecessore Mons. Michele Montaruli, la Sig.ra Maria Pellegrini, il maestro Michele Cantatore insieme a tantissimi altri che tu hai nel cuore, si tinge in queste occasioni di immensa gratitudine al Dio buono e misericordioso.
Guardare indietro significa specialmente apprezzare e quindi ringraziare il Signore per i doni e le qualità che ti ha dato e direi anche per il coraggio con il quale ti ha sostenuto nell’intraprendere iniziative pastorali che resteranno per sempre nella storia del popolo di Ruvo e di questa parrocchia, ricordiamo quelli più significativi: il Sinodo Parrocchiale del 1994-1995, in occasione del 90° della Parrocchia, il secondo e terzo Congresso Eucaristico e Parrocchiale (nel dicembre del 1989 e nel dicembre del 2000), l’Anno Santo Straordinario del 2001-2002 e le celebrazioni per il centenario di questa parrocchia. Caro Don Vincenzo celebrare il XXV di parrocato significa anche guardare avanti… ai prossimi 25 anni… con fiducia e speranza.
Ti sei tanto sacrificato per questa parrocchia, ed i buoni risultati si vedono e si toccano con mano.
Oggi è un giorno di gioia e benedizione, ti meriti il grazie della Chiesa, il grazie di tutta la nostra Diocesi, dei ruvesi e specialmente di tutti i parrocchiani, di questa meravigliosa comunità che ti accompagna giorno dopo giorno. Ma tutti, sempre
confidando nella volontà di Dio, che è la guida suprema per ogni cammino di perfezione spirituale, dobbiamo avere speranza e fiducia impegnandoci sempre, non prestando attenzione a futili e a volte accenti critici dettati dall’umana gelosia, ma adempiendo soltanto alla missione che il Signore ci ha affidato.
Di te caro don Vincenzo parlano i fatti e le opere e l’augurio è pernato di continuare sempre con lo stesso entusiasmo. Sei ancora molto giovane, e dimostri molto meno anni di quelli che realmente hai. Vai sempre avanti con il cuore e l’affetto che mostri per il tuo ministero sacerdotale. E voi carissimi parrocchiani e fedeli di Ruvo, siate sempre vicini a don Vincenzo con il vostro entusiasmo e con la vostra fede. Quanto più lo amerete tanto più avvertirete la fragranza del suo sacerdozio ed i frutti del suo instancabile impegnoper tutti voi. Affido questa solenne ricorrenza alla materna protezione della Vergine SS.ma Immacolata, tanto venerata in questa Parrocchia ed alla quale anch’io sono molto devoto.
Guardando all’Immacolata troverai sempre uno sguardo materno che ti sosterrà nel cammino iniziato 25 anni fa. Auguri.
In questa chiesa io sono stato battezzato, ho festeggiato il XXV del mio sacerdozio ed ho celebrato la Prima Messa Pontificale da Vescovo.
Queste importanti celebrazioni hanno visto la presenza in questa Parrocchia di grandi personalità della Chiesa Universale: Cardinali, Arcivescovi e Vescovi della Curia Romana e dell’Episcopato italiano. Ed il mensile “Fermento”, prezioso strumento di promozione dell’unità parrocchiale, dal 1986 segna la vita spirituale e tutti gli eventi che avvengono in questa comunità. Guardando a tutto questo esce spontaneo dal cuore di tutti noi: Bravo don Vincenzo, Bravo davvero, tra le tantissime cose che hai fatto, sei riuscito a dare a questa comunità parrocchiale a Ruvo una dimensione ampia, che varca i confini diocesani. La posizione centrale di questa Chiesa situata nella piazza più bella della nostra amata città di Ruvo, fa sì che da sempre la Parrocchia del Redentore svolge un ruolo di raccordo di tutti i cuori dei ruvesi e pertanto, come il Redentore, come sole sempre vivo dipana i suoi raggi di fede e di speranza sulla nostra città. La Parrocchia viene definita dal Diritto Canonico come una porzione del popolo santo di Dio, una porzione non una parte, perché tutti siamo persone vive e attive nella missione di testimoniare il Vangelo. Il parroco è il cuore della parrocchia, è colui che la fa vivere, la entusiasma, la guida, la costruisce, la rinnova, in comunione e nella condivisione con i suoi fedeli. La Parrocchia è una seconda famiglia nella quale i fedeli trovano il conforto e il ristoro spirituale, e nella quale tutti si amano per quello che sono, come in famiglia, non per quello che vorremmo che fossero.
Caro don Vincenzo, quando il Servo di Dio Don Tonino Bello il 18 maggio del 1983, ti affidò la cura pastorale di questa Parrocchia del SS.Redentore eravamo tutti più giovani. Ho vivi nella mia memoria gli inizi del tuo ministero di Parroco. A quel tempo io ero studente a Roma, e ricordo che da subito hai impiegato tutte le tue energie fisiche e spirituali per rendere più bella e più accogliente questa Chiesa. I pregevoli mosaici dell’abside e praticamente il restauro della maggior parte delle statue (tra le quali il recupero di quella di San Giuseppe) e di molte parti della Chiesa, oratorio ed acquisto di nuovi ambienti per la catechesi, rendono oggi il Redentore una delle Chiese più decorose della nostra città. Chiunque entra in questa Chiesa oggi davvero si sente a proprio agio, con le parole del Salmo “Quale gioia quando mi dissero andiamo alla Casa del Signore”.
Sul piano spirituale in questi venticinque anni hai saputo ben coniugare la sana tradizione della pietà popolare (áncora della fede del nostro amato popolo di Ruvo) con le aperture pastorali del Concilio Vaticano II. In questa Chiesa infatti non soltanto sono state giustamente salvaguardate le antiche devozioni e festività popolari, ma anche c’è stata l’apertura ai nuovi movimenti postconciliari e la presennza del Cammino Neo-Catecumenale, tra gli altri, arricchisce la vitalità spirituale di questa parrocchia.
Dal 1991 ti è stata affidata la cura spirituale della Confraternita e della Chiesa di San Rocco che hai saputo valorizzare con pubblicazioni di carattere storico e con un rinnovato impegno spirituale.
Il XXV di parrocato è anche un momento propizio del Signore per dire grazie a tutti coloro che ti hanno sostenuto in questi anni.
Senza l’aiuto di tanti collaboratori e benefattori tante cose non le avresti potute
realizzare. Innanzi tutto esprimo un ringraziamento cordiale alla tua famiglia, ai tuoi fratelli Pinuccio e Tonino e alla sorella Anna. Noi sacerdoti sappiamo bene che se non avessimo una famiglia solida e ben formata alle nostre spalle, che ci sostiene specialmente nei momenti difficili, saremmo molto più esposti all’incomprensione e scoraggiamento. Grazie pertanto ai tuoi familiari e ai tanti sacerdoti collaboratori che hanno prestato il loro servizio in questa Parrocchia.




1980 - 15 Giugno - 2008
Al carissimo nostro
Mons. Nicola Girasoli

Nunzio Apostolico
l’augurio e la vicinanza affettuosa
nell’Anniversario della sua
Ordinazione Sacerdotale