Carlo Carretto: “FAMIGLIA, PICCOLA CHIESA”, NON POLLAIO O SALOTTO

La ristampa del libro “Famiglia, piccola chiesa”, che Carlo Carretto scrisse nel 1949, dà lo spunto per alcune attualissime riflessioni su un istituto soggetto a forti tensioni

Carlo Carretto, per chi non lo conoscesse, fu un uomo ed sacerdote eccezionale. Nel 1949 diede alle stampe un libro intitolato “Famiglia, piccola chiesa”, oggi ripubblicato dall’editrice AVE, che è di estrema attualità. Del resto, poiché fondato su solide basi – quali sono i principi dell’amore e della relazione fra le persone secondo il disegno di Dio –, esso accenna ad alcuni aspetti che marcano la netta differenza fra una visione “borghese” della famiglia e la concezione cristiana di essa, che ne fa una “piccola chiesa domestica”, esaltandone il senso ed il ruolo nella società. Cosa sia oggi la famiglia, sottoposta a continue tensioni e a tentativi di snaturarne il valore, è sotto gli occhi di tutti. Essa è divenuta un luogo di accumulo di tensioni, una sorta di albergo a ore, dove ci si sta solo per mangiare e dormire; un luogo dove le frustrazioni non trovano la bella compensazione dell’amore e della vicendevole comprensione; un ambito in cui i figli non dialogano con i genitori ed i genitori fra di loro, causando quei cortocircuiti che spengono interi quartieri interiori; un avamposto privato, insomma, della società caotica in cui viviamo, dove l’esteriorità, l’apparire, l’avere hanno il primato sulla sostanza dell’essere. La famiglia, in poche parole, non riesce più a dare contenuti vitali nella società dei consumi e del consumo delle relazioni, che appaiono superficiali, volgari, aride. Se un quadro desolante della famiglia cosiddetta borghese fu dipinto dallo scrittore Alberto Moravia nel suo libro “Gli indifferenti” del 1929, Carlo Carretto venti anni dopo ne recupera appieno il significato ponendosi in
un’ottica umana e cristiana, segnata dalla presenza redentrice del Cristo. Mettere su famiglia non è una scelta facile, anzi, come egli scrive, l’amore coniugale è “un camminare in alta montagna, sulla cresta di un ghiacciaio lucente: basta un nulla e c’è l’abisso”. È una scelta di vita che comporta il sacrificio di sé nelle forme della pazienza, del dialogo, della comprensione, del perdono, che va concesso a profusione (settanta volte sette, cioè un numero infinito di volte). La famiglia postula l’autonomia, che non è anarchia ma indipendenza responsabile, il che significa una presa di distanza (che non vuol dire lontananza) dalle inconsce seduzioni della famiglia di origine, per crescere e prosperare nel crogiolo delle scelte e degli impegni quotidiani, divenendo artefici e signori del proprio destino e della propria felicità. Già, perché, al di là di ciò che si dice e si vuole far credere, la famiglia può rendere felici grazie all’esercizio dell’intimità e dell’amore, con la donazione totale di sé. Ma Carlo Carretto suggerisce anche, anzi soprattutto, il ricorso alla preghiera.
Fu colpito dal trovare un inginocchiatoio a due posti in una camera nuziale. Senza ricorrere a tanto, possiamo senz’altro
condividere che la preghiera è un rimedio potentissimo alla dissipazione interiore, è il recinto eretto intorno all’anima per preservare l’integrità del gregge interiore dagli assalti dei lupi e dei briganti. Un libro da leggere e da meditare.

S.B.