CICCIO E TORE PAPPALARDI

Ne sentiremo parlare per molto tempo.
L’orribile fine dei due fratellini di Gravina terrà banco nei prossimi mesi, attizzando morbose curiosità o suscitando umana pietà. I giornali ne scriveranno diffusamente; i giornalisti scaveranno nelle pieghe più nascoste di questo esempio di famiglia ampia dentro cui pare si sia consumata la tragedia, sinonimo ormai di famiglia post-tradizionale, designando una unione scaturente dalla fine di matrimoni contratti dinanzi a Dio o alla legge degli uomini. La famiglia larga di Ciccio e Tore non è stata sufficientemente attenta a preservarne l’integrità e la vita. Al di là delle colpe specifiche, di chi abbia ucciso i due ragazzi od anche prescindendo dalla nefasta fatalità, qualora si sia trattato di un incidente senza colpevoli, cosa che tuttavia appare molto improbabile, non possiamo passare sotto silenzio i disastri morali ed educativi che certe concezioni moderne e post-tradizionali di unioni fra uomini e donne stanno generando (per tacere di altri tipi di unione che
vorrebbero introdursi con i Dico o i Pacs). Quando si lacera il tessuto familiare, si determinano tensioni che inevitabilmente si scaricano sui soggetti più deboli ed indifesi, sui figli, costretti a dividersi fra padre e madre, a vivere a stretto gomito con altre persone che devono chiamare mamma o papà a settimane alterne e che a malapena ne tollerano la presenza. Fra madri e padri, genitori naturali e genitori di seconda fascia, famiglie allargate, figli di primo, secondo e terzo letto, si consuma il declino di una società che, bandendo Dio dal proprio orizzonte, si avvia
fatalmente a vivere una caricatura di amore, non soltanto coniugale, scandita dai ritmi balordi di una cultura gaiamente nichilista che discetta d’amore e di modelli d’amore senza sapere niente del modello per eccellenza della famiglia sana, quella di Nazareth, che visse più di duemila anni fa ma che ha molto da dire
ed insegnare alle famiglie di oggi. Quel modello familiare, prototipo della sana
famiglia umana, si reggeva sulla presenza centrale di Dio, sull’umile lavoro di Giuseppe, sui doveri domestici di Maria, sulla preghiera comunitaria.
Gesù cresceva in sapienza ed intelligenza, non soltanto perché era figlio di Dio, ma anche grazie alla sua umanità allevata nel seno di una famiglia sana, trasmettitrice di valori e di senso.
Oggi chi insegna che cosa a chi? Che cosa si insegna ai propri figli? Si è in grado di insegnare qualcosa? Si ha il coraggio di parlare loro di amore indissolubile, di Dio, di vita eterna? Quali esempi si danno ai propri figli? Quale senso di vita e quale concezione dell’amore vengono inoculate ai giovani d’oggi? Sento spesso disprezzare la Chiesa ed i sacerdoti; sento spesso rivolgere pesanti apprezzamenti alla dottrina cattolica, quasi si trattasse di una favola o di una “pista” di cocaina, nel senso che ogni tanto si tira cocaina religiosa per tenere quieta la mente dinanzi ai grandi temi della vita e della morte. Ma senza Dio e senza Chiesa
saremmo condannati all’estinzione nel breve volgere di pochi anni, in modo
gaiamente nichilista. Se è questo ciò che si vuole, lo si dica, ma senza versare lacrime postume sulla amara sorte delle giovani generazioni.

Salvatore Bernocco