Un buon prete: io lo guardo e questo mi basta (F.Mauriac)

Miei Cari,

vi confido che questa volta avrei voluto scrivervi soltanto un “Grazie” per le manifestazioni di affetto nella circostanza del mio XXV di Parrocato tra voi. O che sarebbe stata sufficiente la mia convinta asserzione: Dajenù = questo mi sarebbe bastato. E perché - come diceva il grande Newman,l’avvenire della Chiesa è sviluppo, non ripetizioni, non rivoluzioni, ma viva identità e cambia per rimanere identica, giacché unisce in sé quanto è unito nel Cristo: la verità e la vita, non ho potuto fare a meno di mettermi ancor più alla ricerca per poter essere più prete in mezzo a voi.
Soprattutto se tengo conto di quanto scriveva F. Mauriac sui preti: “Ah, come li ascolterei, se mi parlassero del Figlio dell’uomo non da sociologi, non da teologi, ma coloro che vedono e che toccano il Cristo risorto”.
E proprio partendo da quella “qualche falla da riparare” a cui facevo cenno sulla mia lettera di maggio, volendo proseguire il nostro cammino, sempre rifacendomi al Mauriac, mi convinco sempre più che la predica più efficace del prete è sempre stata la sua vita; un buon prete -diceva- non ha nulla da dirmi: io lo guardo e questo mi basta.
Avrò anche da fare attenzione sul convincimento di Kierkegaard e cioè che Dio è qualcuno a cui si parla, non qualcuno del quale si parla. Che la comunità parrocchiale esige non un uomo “prete”, ma un prete “uomo”.
Vi dico ancora che per un migliore proseguimento del nostro cammino mi ha fatto riflettere non poco quanto scrive N. Revelli: “Ci sono preti che si sono comportati e si comportano da altoparlanti di Gesù Cristo, mica solo con le parole, anche con i fatti. Altri invece hanno scelto la vita quieta, il tran tran: nessun nemico. Io dico: se un prete non ha nemici, non è un prete!
Gesù crea una rottura tale che la chiamano “segno di contraddizione”.
E allora andiamo avanti; miei Cari, e non cessiamo mai di invocare lo Spirito perché i sacerdoti siano santi, poiché è sempre attuale ciò di cui era convinto Bernanos, che “uno dei principali responsabili, forse, dell’avvilimento delle anime è il sacerdote mediocre” e che il sacerdote deve essere innanzitutto uomo di grande fede, perché senza fede il sacerdozio non si capisce. Vivendo sempre nello spirito di Lc. 17,10: “Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.
Circa poi alcuni rami secchi che con il Consiglio Pastorale sono stati recisi voglio riportarvi quanto l’allora Card. Ratzinger scriveva: “Quanti più organismi facciamo, siano anche i più moderni, tanto meno c’è spazio per lo Spirito e tanto meno c’è libertà. Penso che dovremmo, da questo punto di vista, iniziare nella Chiesa un esame di coscienza senza riserve e a tutti i livelli. Tutto ciò che è fatto dall’uomo, all’interno della Chiesa, deve essere riconosciuto nel suo puro carattere di servizio e ritirarsi davanti a ciò che più conta e che è l’essenziale”.
Unito intanto a voi tutti, come nella familiare assemblea liturgica del 17 maggio scorso, prendo in prestito -a conclusione- l’inno dell’universo del grande Theilard De Chardine: “Ricevete, Signore, questa ostia totale che la Creazione, mossa dalla vostra attrazione,vi presenta in questa nuova aurora. Questo pane, il nostro sforzo, non è per sé -lo so bene- che una immensa disgregazione. Questo vino il nostro dolore, non è ancora, ahimé! che una bevanda dissolvente; ma in fondo a questa massa informe voi avete messo -ne sono sicuro perché lo sento- un irresistibile e santificante desiderio che ci fa gridare tutti, dall’empio al credente: “Signore,fateci uno”.

Cordialmente,
Don Vincenzo



La gioia del sacerdozio
è la gioia di una
giovinezza che si rinnova
ogni giorno. Tutte
le volte che tratteniamo
il dono divino, siamo
dei ladri e dei profanatori.
La santità sacerdotale
è in funzione
degli altri

Primo Mazzolari



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21 Giugno 2008 - Festa di S. Luigi Gonzaga: onomastico del vescovo Don Gino
A lui l’affettuoso augurio dell’intera Comunità del SS. Redentore