Prima di dire: “ Ti amo ” … pensaci!

La parola amore viene usata oggi con estrema facilità e non sempre si ha la consapevolezza del suo significato profondo.
Vorrei porvi la riflessione che i vescovi fanno su questo argomento, nella lettera molto interessante, dal titolo: “Ai cercatori di Dio”. In effetti al capitolo secondo intitolato: “amore e fallimenti” viene affrontata questa tematica.
Siamo fatti per amare. L’amore dà la vita e vince la morte: se c’è in me una certezza incrollabile, essa è quella che un mondo che viene abbandonato dall’amore deve sprofondare nella morte, ma che là dove l’amore perdura, dove trionfa su tutto ciò che vorrebbe avvilire, la morte è definitivamente vinta (Gabriel Marcel). Ci fanno paura le persone aride, spente nella voglia di amare e di essere amate.
L’amore invece è irradiante, contagioso, origine prima e sempre nuova della vita. Per amore siamo nati. Per amore viviamo. Essere amati è gioia. Senza amore la vita è triste e vuota.
L’amore è uscita coraggiosa di sé, per andare verso gli altri e accogliere il dono della loro diversità dal nostro io, superando nell’incontro l’incertezza della nostra identità e la solitudine delle nostre sicurezze.
Occorre allora imparare ad amare prima di dire con troppa facilità “ti amo”. Viviamo nel tempo dove si vive la precarietà dell’amore. Dove abbiamo introdotto la logica del consumismo nella nostra vita affettiva. L’usa e getta che trasforma le nostre relazioni in un gioco squallido di puro istinto.
Quella dell’amore, invece, è la storia più personale della nostra esistenza. Riconosciamo i percorsi e proclamiamo gli eventi che la punteggiano. Tante volte però ci troviamo affaticati, stanchi, sollecitati a fermarci al bordo della strada a causa di delusioni e incertezze.
Riconosciamo che nella via dell’amore c’è sempre una provenienza, un’accoglienza e un avvenire.
La provenienza è l’uscire da sé nella generosità del dono, per la sola gioia di amare: l’amore nasce dalla gratuità o non è amore.
L’accoglienza è il riconoscimento grato dell’altro, la gioia e l’umiltà del lasciarsi amare.
L’avvenire è il dono che si fa accoglienza e l’accoglienza che si fa dono, l’essere liberi da sé per essere l’uno con l’altro e nell’altro, in una comunione reciproca e aperta agli altri, che è libertà.
Tutto questo è difficile. Mille ostacoli attraversano il cammino e spesso lo bloccano. Basta uno sguardo al mondo dei rapporti umani, per constatare l’evidenza di tanti fallimenti. E lo dico con un senso di sofferenza, senza mai giudicare nessuno. Amori che finiscono. E’ un’evidenza che appare persino chiassosa ed
inquietante.
Siamo fatti per amare e scopriamo quasi di non esserne capaci. Originati dall’amore, ci sembra tanto spesso di non sapere suscitare amore. Perché? Ce lo chiediamo quando la nostalgia di esperienze di amore, intense e limpide attraversa la nostra esistenza e colora i nostri sogni. Qualcuno, raccogliendo le parole dalla sua esperienza, suggerisce ragioni e prospettive di questa fatica di amare, tutte comunque, da verificare in prima persona. Sono la possessività, l’ingratitudine, e la tentazione di catturare l’altro, le forme che più comunemente paralizzano il cammino dell’amore. Allora l’espressione tanto inflazionata ti amo, si risolve soltanto in un pallido mi amo.
La possessività paralizza l’amore perché impedisce il dono, bloccando il cuore in un
avido e illusorio accumulo di ricchezza per sé.
L’ingratitudine è l’opposto della riconoscenza gioiosa. Impedisce l’accoglienza dell’altro e impoverisce l’anima, perché dove non c’è gratitudine, il dono stesso è perduto.
La cattura è frutto della gelosia, e insieme della paura di perdere l’istante posseduto: in una sorta di sazietà illusoria essa chiude lo sguardo verso gli altri e verso l’avvenire.
Come divenire capaci di amare oltre ogni possessività, ingratitudine e prigione del cuore? Chi ci renderà capaci di amare? Occorre innanzitutto approfondire cosa significa amore.
Poi occorre come ci suggeriscono i vescovi nonostante tanti fallimenti è ancora possibile amare. Ci dicono: abbiamo cercato parole per dire il nostro amore, quello che ci fa nascere, vivere e sperare. Abbiamo dovuto usare parole amare, come delusione, fallimento, tradimento, incertezza, chiusura, egoismo. Non è tutto così per fortuna. Nell’amore si può sempre rinascere.
Sia all’interno della propria realtà di coppia il dialogo si può sempre riprendere.
Sogniamo esperienze nuove perché gli altri, amici vicini o sconosciuti, ci restituiscono fiducia nell’amore e sicurezza nella sua vittoria, nonostante tutto.
Davvero lo scontro tra amore e tradimento mette la nostra esistenza in una condizione di inquietudine, che scopriamo sempre presente e nuova, anche quando ci sembra di averla superata e risolta. Nel silenzio del nostro cuore inquieto troviamo una domanda che avvolge tutto il mistero del nostro esistere e che si proietta in avanti, anche quando sperimentiamo risposte che sembrano soddisfacenti.
Soprattutto deve diventare veramente nostra la risposta che ognuno di noi darà a questa domanda.
Ciascuno è chiamato ad esprimerla nella sua storia personale e a dire a se stesso le sue buone ragioni per amare a partire dal proprio vissuto. La solidarietà che ci lega ci spìnge però a rompere il silenzio per farci ciascuno proposta per gli altri.
Si: c’è in noi un immenso bisogno di amare ed essere amati. Davvero. E’ l’amore che fa esistere (Maurice Blondel). E’ l’amore che vince la morte: amare qualcuno significa dirgli “tu non morirai” (Gabriel Marcel).
Sono delle indicazioni importanti che i vescovi ci offrono per tentare di delineare alcuni passaggi su che cosa significhi amare.
Più dettagliatamente in seguito accentueremo il discorso su come potremmo applicare tutta questa premessa sulla realtà di coppia.
Intanto prima di dire ti amo; pensaci… perché tu non debba troncare tutto quando amare diventa impegnativo e richiede coraggio.