CON FIDUCIA E OTTIMISMO...

Miei Cari,
avendo dato ormai inizio al lavoro pastorale di quest’anno, impostato sulle linee direttrici offerteci dal nostro vescovo don Gino, viene spontaneo di riflettere sulle parole di Gesù: “Il Regno di Dio è come un uomo che sparge in terra la semente: dorma o vegli, di notte e di giorno, la semente germoglia e cresce senza che egli sappia come…”.
L’irruzione del Regno di Dio è paragonata a un raccolto. L’inattività del contadino è descritta in maniera immaginifica: dopo aver seminato il giorno, continua a vivere nell’alternanza dall’andare a dormire e dell’alzarsi, dei giorni e delle notti, senza che egli sappia come e senza che egli vi possa nulla, il seme produce prima l’erba, poi la spiga, poi il grano pieno sulla spiga. Enumerando i vari stadi della crescita, Gesù ne sottolinea il carattere irresistibile.
È un po’ come quella impazienza di raccogliere fichi da un albero fuori stagione: l’uomo deve poter dar frutto in tutte le stagioni della sua esistenza.
Di qui, miei Cari, l’impegno a mettercela tutta nel nostro lavoro di Comunità(mi riferisco agli operatori pastorali e ai catechisti soprattutto). Perché, ecco, un giorno arriva l’ora che il Signore riconferma questa paziente attesa; il grano è maturo, le grida di gioia esplodono: è il momento di mietere.
Si tratta, miei Cari, mentre lavoriamo in silenzio, di attendere pazientemente: non bisogna forzare i tempi, ma con fiducia totale abbandonarsi a Dio.
Il frutto esce dal seme, la fine dall’inizio. In ciò che è minuscolo agisce già ciò che lo renderà immenso.
Nell’istante presente ha preso il via ciò che dovrà arrivare, ma tutto è ancora nascosto.
Di fronte alle leggi di inerzia che sembrano intralciare l’opera di Dio c’è bisogno di ottimismo e serenità.
L’ottimismo si confonde con la gioia e con la pace: non si turbi il vostro cuore, dice Gesù, l’ottimista. Egli nascondeva una cosa ed era la sua gioia, diceva Chesterton. E la serenità accompagna di solito la fiducia in Dio. A noi è sufficiente portare a realizzazione il compito di cristiani con piena tranquillità.
La serenità ridimensiona il nostro lavoro e lo mette al suo posto giusto. È sempre Dio che avrà l’ultima parola.
Il vero progresso della nostra Comunità si realizza soprattutto nel diventare santi; lo abbiamo meditato in questi giorni.

Cordialmente,
Don Vincenzo


Oggi conviventi, domani sposi?

Chiedono il matrimonio cristiano, ma una coppia su tre già vive insieme. Animatori e famiglie dibattono il problema. Parola d’ordine: ri-parliamo agli adolescenti dell’amore vero.
Come vedete, cari lettori e lettrici, ho detto tutto, o quasi. Però, è d’obbligo precisare un poco. Dilaga il fenomeno delle convivenze.
C’è chi, nella foga di trovar rimedi, si lancia per teorie, tipo: i giovani sognano la famiglia, ma non scommettono su se stessi, non sono disposti a mettersi in gioco, hanno poi bisogno di “prove” e si illudono che la convivenza possa dare garanzie per un futuro di felicità. Basta, capito!
Leggendo il resoconto emerso da un convegno in proposito, ho immagazzinato una buona idea. Non giudicatela banale. E, anzitutto, fatemela citare: “Una delle soluzioni obbligate sta in un rinnovato sforzo di educazione ai sentimenti e all’affettività, cominciando dagli adolescenti. Perché è a 16, 17 anni che s’impara l’amore. Quello vero, chiaramente”.
E adesso fatemi parlar serio. Dalla Settimana di formazione per gli operatori della pastorale familiare, tenuta a Crotone nel giugno scorso, è emerso un dato poco confortante e in parte ancor meno spiegabile.
Eccolo: “Il 90% delle diocesi italiane non segnala nessuna iniziativa specifica sul tema delle convivenze. Solo il 10% delle diocesi, invece, ha elaborato qualche sporadica esperienza d’accompagnamento, a volte con percorsi formativi ad hoc, a volte istituendo due corsi paralleli per rispettare e valorizzare le diverse realtà di vita delle coppie”.
Che cosa vuol dire, che le convivenze sono un problema rimosso dalla coscienza e dall’attenzione delle comunità cattoliche?
Bisogna calarsi nei fatti, e i fatti dicono che in Italia, per moltissimi giovani, è la convivenza di coppia il luogo privilegiato in cui matura la scelta del matrimonio cristiano. Sembra un controsenso: convivenza e percorso verso il matrimonio cristiano.
Calarsi nei fatti non è lo stesso che accettarli e basta. Da un lato, se queste coppie di conviventi decidono di regolare la propria unione con il sacramento, è una cosa positiva e va accolta di buon grado.
Dall’altra parte risulta evidente che, limitandosi alla pura accettazione della situazione di fatto si finisce per fare apparire bigotti i fidanzati per così dire tradizionali. Per tali motivi, condivido appieno l’idea sopra riportata, e cioè che bisogna lavorare maggiormente negli spazi formativi degli adolescenti. Prevenire, ripensare l’intero ciclo dell’educazione familiare, piazzandovi l’assillo e la fatica dell’iniziazione dei figli all’amore.

Il vecchio eremita

C’era una volta un vecchio eremita che si lamentava di essere sempre occupatissimo. La gente non capiva come fosse possibile che avesse tanto da fare. “Devo domare due falconi, allenare due aquile, tenere quieti due conigli, vigilare su un serpente, caricare un asino e sottomettere un leone”.
“Non vediamo nessun animale vicino alla grotta dove vivi. Dove sono tutti questi animali?”. Allora l’eremita diede una spiegazione che tutti compresero: “Questi animali li abbiamo dentro di noi. I due falconi si lanciano sopra tutto ciò che si presenta, buono e cattivo. Devo allenarli perché si lancino solo sopra le buone prede… Sono i miei occhi.
Le due aquile con i loro artigli feriscono e distruggono. Devo allenarle perché si mettano al servizio e aiutino senza ferire... Sono le mie mani.
E i conigli vanno dovunque vogliano, tendono a fuggire gli altri e schivare le situazioni difficili. Devo insegnar loro a stare quieti quando c’è una sofferenza, un problema o qualsiasi cosa che non mi piaccia… Sono i miei piedi. La cosa più difficile è sorvegliare il serpente, anche se si trova rinchiuso in una gabbia. È sempre pronto a mordere e avvelenare quelli che gli stanno intorno, se non lo vigilo da vicino fa danno… È la mia lingua. L’asino è molto ostinato, non vuole fare il suo dovere. Pretende di stare a riposare e non vuole portare il suo carico di ogni giorno… È il mio corpo.
Finalmente ho necessità di domare il leone, vuole essere il re, vuole essere sempre il primo, è vanitoso e orgoglioso… Questo è il mio cuore”.

Verso la fine dell’Anno Liturgico

L’ultimo versetto dell’ultimo libro della Bibbia, Apocalisse 22,20 così si esprime: “Colui che attesta queste cose dice: “Sì verrò presto!”. Amen. Vieni, Signore Gesù. La grazia del Signore Gesù sia con tutti voi. Amen”. La stessa preghiera torna qualche versetto prima in Ap 22,17: “Lo Spirito e la sposa dicono: ‘Vieni’. E chi ascolta ripeta: ‘Vieni’”. E l’invocazione “Vieni, Signore Gesù” viene espressa con la parola aramaica maranà tha. In realtà Maranà tha corrisponde al messaggio del libro: Vieni! Una supplica rivolta al Signore Gesù (v. 20): è il Maranà tha che si ripeteva durante le riunioni liturgiche cristiane (1Cor 16,22: “Se qualcuno non ama il Signore sia anàtema. Maranà tha: vieni, o Signore!”) per esprimere l’attesa impaziente della parusia o dell’ultima venuta del Signore (cf 1Ts 5,1 e 1Cor 15,23). La parola aramaica ricorre anche nella Didaché (10,6). E può avere diversi sensi. Esclusa ogni spiegazione che la intenda come formula di invito eucaristico, ecco alcune interpretazioni:
  • La si divide in maran atà, tradotto, come in Ap 22,20, “il Signore viene”. Ma la forma aramaica è quella del perfetto, e si dovrebbe tradurre con “il Signore è venuto”. Infatti la forma del presente sarebbe ’ate.
  • Si può dividerla in maranà tha, che sarebbe: “Vieni, Signore Gesù”. Ma non è molto sicura nell’aramaico della Palestina.
  • L’uso in senso di anatema si rifarebbe a frasi similari dei Salmi: “Il Signore viene a giudicare la terra” (Sal 96,13). E pare che lo stesso significato abbiano alcune invocazioni dell’AT e del NT, sia nel senso del tempo ultimo che in senso presente (2Tm 4,1).
  • Considerando poi ulteriori possibilità, il secondo elemento di maranata, potrebbe indicare semplicemente due lettere, la prima e l’ultima dell’alfabeto. In Ap 1,8; 21,6 (si tratta di Dio Padre) e in 22,13 (riferito a Gesù Cristo) si dice: Io sono l’Alfa e l’Omega”. La Volgata ha: Ego sum alpha et omega, prima e ultima lettera dell’alfabeto greco. E questo sarebbe forse l’originale greco.
  • In maranata, “Vieni, Signore Gesù”, potrebbe essere vista anche una firma o un segno a modo di rubrica, che sarebbe un contrassegno segreto conosciuto dai cristiani (2Ts3,17). Quindi l’alfa e omega “Vieni, Signore Gesù”, sarebbero contrassegni segreti che garantirebbero la genuinità del libro e illuminerebbero tutto il resto.

A conclusione, sembra che la spiegazione più accettabile per le ultime parole dell’Apocalisse debba essere quella di un semplice desiderio (marana tha): “Vieni, Signore Gesù, subito, come dici!”, e forse, anche se non appare chiaramente, quella di un contrassegno convenuto a modo di firma.
Al di là delle possibili spiegazioni, la realtà è che Maranà tha rimane una parola carica di significato molteplice e racchiude nella sua invocazione tutto l’anelito dello spirito umano, l’attesa e la nostalgia di Dio, lo zelo per il suo regno di giustizia e di pace, l’amore struggente del credente verso il suo Signore e l’avvento di una umanità migliore. Che preghiera intensa in una sola parola!

Leo Dani

VIZI PRIVATI E PUBBLICHE VIRTU’

Lungi da noi fare del moralismo. La fede va al di là dei moralismi, spesso di facciata, valevoli per gli uni e non per gli altri. Né va dimenticato che bisogna odiare il peccato e mai il peccatore, perché peccatori lo siamo tutti, ognuno di noi ha i suoi scheletri nell’armadio dell’anima. Tutti abbiamo bisogno della misericordia e della grazia del Padre, di essere rigenerati a nuova vita, di convertirci a stili di vita più aderenti a quello evangelico. Quindi niente ipocrisie e perbenismi. L’uomo è fragile e fallibile. Le ultime vicende scandalose che hanno riguardato l’ex presidente della Regione Lazio Marrazzo hanno suscitato scalpore e non pochi commenti salaci. La notizia terrà banco per qualche tempo ancora, nelle more di qualche altro scandalo all’italiana. Ma lo squallore del fatto, dei luoghi, dei personaggi, però, non deve indurci ad ergerci a giudici di persone e situazioni di cui sappiamo poco o nulla, o meglio soltanto quello che viene pubblicato dai giornali o di cui parla la televisione. Spesso queste tristi vicende nascondono retroscena inconfessabili e, forse, battaglie politiche condotte su altri piani. Uno di questi consiste nella demolizione della persona: se non puoi colpirne gli atti pubblici, devi tentare di sferrare il colpo mortale e di metterla fuori gioco pescando nel torbido, nella sua vita privata, anteriore o attuale. Scava e qualcosa di certo troverai, fosse anche un neo o un piccolo vizio. Nel caso Marrazzo c’è questo ed altro. C’è un cocktail di ricatti e di intrecci oscuri, di soffiate e di vizi privati, di gossip e di favori trasversali. C’è soprattutto la verità di un episodio che, al di là di ogni altra considerazione, lascia sconcertato chi ritiene che la politica debba essere fatta da uomini e donne al di sopra di ogni sospetto, moralmente sane ed affidabili, dedite al bene comune piuttosto che al vizio privato. Per chi fa politica il privato costituisce una dimensione molto risicata.
L’uomo politico è sempre sotto i riflettori, e le sue vicende personali ne condizionano il giudizio pubblico. È inevitabile ed è giusto che sia così. Uomini come Alcide De Gasperi, come Amintore Fanfani, come Aldo Moro, come Berlinguer, come Almirante e Giorgio La Pira ebbero una condotta privata esemplare. Non erano ricattabili. Non andavano a festini e non si circondavano di donzelle scollacciate in cerca di notorietà. Non sniffavano cocaina e si occupavano seriamente del bene comune, sebbene da posizioni ed orientamenti politici differenti. Mi si dirà che i tempi sono cambiati, che gli uomini non sono più quelli di una volta. È vero, è incontestabile che siano cambiati, ma è anche vero che ci sono uomini e donne che credono in determinati valori umani e cristiani e che si battono per una società più giusta. Guardiamo a costoro, lasciando a chi ha sbagliato la possibilità di redimersi, ma lontano dalla politica.

Salvatore Bernocco

Gesù sì, la Chiesa no!

È dunque necessario cercare di
ricomporre e analizzare i legami che li
uniscono onde evitare confusioni o
contrapposizioni che non ci
permetterebbero di vederli in modo
unitario e inscindibile.
Anzitutto se rileviamo alcuni dati che ci
vengono trasmessi dai vangeli ci
rendiamo conto come sin dall’inizio del
suo ministero pubblico Gesù ha iniziato
a predicare l’avvento del Regno di Dio,
chiedendo la conversione e donando il
perdono dei peccati. Mentre svolge
questa missione affidatagli da Dio, Egli
non si limita solo ad annunciare, ma
chiama anche alcuni dei suoi ascoltatori
a seguirlo, a stare con Lui, costituendoli
discepoli, apostoli, creando così una
piccola comunità voluta da Lui, che sarà
la prima testimone di quanto farà e dirà.
E vediamo anche che questa nuova
comunità viene chiamata, in modo
privilegiato, ad essere protagonista di
questa missione.
In Mt. 16, 17-19, Gesù su Pietro, capo
degli apostoli, fonda la sua Chiesa
assicurando che il male non avrebbe
mai prevalso su di essa e dandole il
potere di legare e di sciogliere cioè di
agire in nome suo, e in un altro brano
invia questo gruppo ad annunciare, a
donare il battesimo, a proclamare la
liberazione, la buona novella, in poche
parole il Regno di Dio.
Questa nuova comunità viene chiamata
a custodire fedelmente e integralmente
il messaggio di Gesù e non solo, perché
viene anche chiamata a proporlo a tutti
come via che conduce alla salvezza.
Possiamo dunque dire che nel periodo
pre-pasquale Gesù ha preparato la
fondazione della Chiesa - nella sequela
e nell’istituzione dei suoi discepoli - ma è anche vero che l’autentico atto di fondazione dovette tuttavia avvenire quando Gesù Risorto ebbe compiuto la sua opera e in forza della sua morte e risurrezione potè alitare il suo Spirito sulla Chiesa nascente.
Il Cristo dunque appare e chiama i suoi testimoni a formare la nuova comunità e li trasforma nel suo Corpo. E’ di fondamentale importanza la risurrezione perché senza di essa non si darebbe né Chiesa né Fede, perché la fede pasquale costituisce e conferma la comunità-Chiesa.
Dobbiamo anche ammettere che la Chiesa come istituzione si è sviluppata non solo a livello gerarchico ma anche a livello dottrinale. Questo però non vuol dire che Essa sia cambiata o non sia più quella voluta da Cristo. La Chiesa, lungo i secoli, ha dovuto affrontare eresie, lotte, contraddizioni, e anche periodi bui.
Questo però è inevitabile proprio perché formata da uomini soggetti a sbagliare.
La Chiesa ha anche cercato di adeguarsi ai tempi, di camminare con la storia, non poteva rimanere quella di 2000 anni fa.
Questo ci permette di capire il perché di certi cambiamenti; occorre però sottolineare che la sua dottrina, la sua fede, il suo credo, quello che Gesù le ha voluto affidare è rimasto immutato, perché la Chiesa non potrebbe mai arrogarsi il diritto o potere di modificare ciò che Dio stesso in Cristo le ha voluto rilevare e consegnare.
Possiamo dunque concludere dicendo che tra Gesù e la Chiesa c’è un legame strettissimo, e non possiamo preferire l’uno e rifiutare l’altro, o ritenerli come due realtà separate. La Chiesa è il luogo privilegiato per incontrare Cristo ed è via di salvezza.
Già l’apostolo parlando della Chiesa la definiva come il corpo di Cristo. Amiamo dunque Gesù e anche la sua Chiesa perché attraverso di essa raggiungiamo e conosciamo Lui che è la nostra salvezza.

Nel Mese

È stato motivo di tanta gioia vedere gremita ogni sera l’ampia navata della nostra chiesa per il mese di ottobre dedicato alla Madonna di Pompei che abbiamo poi venerata il 1° novembre recandoci in pellegrinaggio al suo Santuario. È ripresa poi tutta l’attività parrocchiale con gli incontri a tutti i livelli soprattutto con i catechisti e i genitori dei bambini che si preparano ai sacramenti. Un particolare momento è stato vissuto per la celebrazione dei 110 anni della presenza Vincenziana in Ruvo. Sono intervenuti il Padre G. Carulli, prete della Missione e la Vice presidente regionale Lucia Tedesco i quali ci hanno parlato dell’attualità del servizio vincenziano e della perenne profezia del pensiero di S. Vincenzo de Paoli e S. Luisa dopo 350 anni. Un folto gruppo dei nostri si è poi portato a Molfetta per la immissione del nostro don Angelo Mazzone a parroco della Madonna della Pace, formulando a lui gli auguri di buon lavoro. Ha avuto poi luogo a Barletta la convivenza di inizio corso per la prima Comunità Neo-Catecumenale.
L’adorazione dell’inizio e della fine del mese, insieme alla solenne celebrazione del 31, presieduta dal Nunzio Apostolico Mons. Girasoli ha posto termine al mese di ottobre. Lo stesso arcivescovo ha inaugurato i lavori di pitturazione dell’intera chiesa, avvenuti lo scorso mese di settembre.

Luca

Napoli: Piazza del Gesù Nuovo. 1° Novembre 2009