Parrocchia: educare alla Pace

Miei Cari,
accade di solito, di soffermarmi su alcuni temi che mi ripropongo, come questa volta, di sottoporvi. È quello della Pace. D’altronde non possiamo sottacerlo in questo capodanno, giornata di un forte richiamo al tema che il Papa ci suggerisce.
È stato scritto che la Pace è la parola talmente gettonata che parlare di essa, sembra accendere un cerino in pieno sole.
Eppure è quanto di più attuale oggi, in una vigilia inquieta per le sorti dei popoli che, come scriveva Erasmo da Rotterdam nel XVI secolo, dovranno come sempre sopportare il peso di una malaugurata guerra. “I padri, le madri, i giovani, i popoli di ogni parte della terra aspirano alla pace” affermava Giovanni XXIII. E anche la Chiesa ne è coinvolta, anzi cammina in prima linea.
Ed è naturale che sia così perché “l’attenzione della Comunità cristiana al problema della pace non è un accessorio alle tematiche pastorali, ma è fondamentale” (D. Bona).
L’indimenticabile nostro Don Tonino scriveva che “la pace non è una delle mille cose che la Chiesa evangelizza, non è un pezzo tra i tanti del suo repertorio, ma è l’unico suo annuncio. È il solo brano che essa è abilitata ad interpretare”.
Ciò può sembrare esagerato, ma non lo è se l’apostolo Paolo afferma che “Cristo è la nostra Pace” ed esorta i cristiani a “propagare il vangelo della pace” (Ef. 6,15). Ciò vale altresì per la Parrocchia che è il luogo dove la Comunità si concretizza e realizza: la Chiesa “qui e adesso”, come una cellula del grande organismo che è il Corpo Mistico di Cristo che vuole continuare la sua presenza e la sua opera nel mondo.
Proverò brevemente a raccogliere alcuni aspetti che qualificano il suo ruolo di educatrice alla pace.
Il primo lo vedo nella sua irrinunciabile vocazione a farsi carico di tutti coloro che vivono nell’ambito del territorio in cui essa è collocata.
Opportunamente un parroco diceva: “non mi darò pace finché uno solo dei miei parrocchiani non conosca il Vangelo”.
Fu questa la prima idea a dar vita a “Fermento” 24 anni or sono.
Un secondo aspetto, credo nasca dalla Comunione che è componente essenziale della comunità. Alle scandalose divisioni e contrapposizioni, Gesù rimane la nostra pace, perché ha abbattuto il muro di divisioni facendo dei due un popolo solo sulla sua croce, e questo ci è dato di sperimentare nella Chiesa, pur diversi l’uno dall’altro ma tutti uniti nella carità, perché è per la misericordia di Dio che siamo stati salvati e non c’è nessun motivo che giustifichi separazioni e divisioni.
Il modello della nostra parrocchia -più volte ce lo siamo detti- resta quello della “convivialità” di Gesù che vive per tre anni con i suoi discepoli, tanto diversi l’uno dall’altro e non sempre pronti a comprenderlo e a seguirlo e li chiama e li tratta da amici.
Lapidaria è poi l’affermazione del Card. Martini: “La Chiesa, e quindi la parrocchia, è una comunità alternativa che non esclude nessuno ed è aperta a tutti, a differenza di altre forme di società o aggregazioni”.
La beatitudine evangelica: “beati gli operatori di pace”, vale per ognuno di noi personalmente, ma vale altrettanto e ancora di più per la comunità cristiana.
Proviamo a dare inizio al nuovo Anno 2010, misurandoci con questi pensieri.
Buon anno a tutti.

Don Vincenzo