Il mese di Giugno dedicato al S. Cuore

UN CUORE ASSETATO D’AMORE

Ha scritto il Papa Leone Magno che se vogliamo onorare il Redentore dobbiamo guardarlo‘“con gli occhi del cuore, in modo da riconoscere nella sua carne la nostra carne”.
La celebrazione della festa del Sacro Cuore ci colloca nella condizione privilegiata di poter guardare negli occhi Gesù e scoprire in questa luce la profondità del suo amore per noi, fino a sentire vibrare nell’anima il suo grido: “Ho sete”.
Prima di pronunciare: “tutto è compiuto” e “nelle tue mani, o Padre, affido il mio spirito”, Gesù consegna ai discepoli un desiderio, il testamento del suo passaggio tra noi.
Un giorno al pozzo di Sichem aveva chiesto alla donna samaritana: “Dammi da bere”. Allora Gesù era all’inizio della sua vita pubblica. Le folle sarebbero venute più tardi. Quando Gesù si affacciò alla vita pubblica scelse di privilegiare relazioni individuali con le persone. Aveva fatto così con i primi discepoli e a Sichem tende la mano ad una donna samaritana. Scoccava in quell’incontro la scintilla di un modo diverso di valutare le cose. Dopo quasi tre anni da quell’episodio, è inchiodato sulla croce; innalzato sul crinale che separa il tempo dall’eternità, non vuole da bere, ma grida al mondo: “Ho sete”.
Nei cenacoli della carità, fondati da Santa Teresa di Calcutta, nell’angolo riservato all’adorazione eucaristica, accanto al tabernacolo, sempre campeggia la scritta: “Ho sete”. In quel testamento di Gesù morente, Madre Teresa ha colto il fine di tutta la sua azione caritativa: “Appagare la sete di Gesù” non è altro che saziare la fame e la sete della gente con una Parola di speranza, di evangelica misericordia e con il dono del Pane della vita eterna.
La nostra vita di fede, infatti, non dovrebbe essere altro che: conoscere, amare, vivere, proclamare e testimoniare la Parola rivelata; tutto questo con i gesti di una carità che si fa compagnia. Fa parte infatti della missione affidata ad ogni battezzato provvedere ad ogni persona il necessario di “quell’acqua” sgorgata dal Cuore di Gesù, capace di diluire l’amaro delle sofferenze della vita.
In un momento in questa “grido” di Gesù sulla croce, Gianni Gennari scrive: “E allora sentire questa parola di Gesù - ‘Ho sete’ - diventa un compito: significa ricevere un comando, ricevere un impulso, ricevere una missione. Tutto lo scopo della nostra esistenza può divenire quello di dissetare il Signore (presente anche in ogni fratello). Questo significa diventare noi stessi, come Lui ci ha promesso, fonte da cui sgorga l’acqua zampillante sino alla vita eterna”.
Oggi tutti stiamo attraversando una stagione di aridità dello spirito. Gli orizzonti angusti delle esistenze umane stanno facendo crescere la sete d’amore e di benevolenza nelle persone. Tutti abbiamo un ardente bisogno di sentirci amati.
Gesù sotto la spinta dell’amore è arrivato sino al vertice del Calvario. In quel pellegrinare faticoso, nella sua anima risuonava costante l’eco delle parole del Padre: “Figlio mio, tu sei l’amato. In te mi sono compiaciuto”.
Gesù percorre le strade del suo tempo amando con un cuore di carne, sospinto dal vento dell’amore del Padre, mentre in lui risuonano le parole del salmo: “La mia anima ha sete del dio vivente, quando verrò e vedrò il volto di Dio?”.
Quella “sete” è una profezia sul senso del nostro vivere, un’offerta di Dio per farci vivere in pienezza. Chiediamo a Gesù di farci bruciare della sua “sete” e di saziarla con il suo Spirito che “rinnova la faccia della terra”.


M.C.