Il Santo, il Papa e il Vangelo

4 Ottobre Festa di San Francesco d’Assisi

Sono due personaggi che bene o male hanno largamente influito nella storia del cristianesimo. Uno si era innamorato della buona notizia portata da Gesù fino ad identificarsene. L’altro non ne è stato minimamente sfiorato. Uno è diventato santo, l’altro papa. Il papa è quello rimasto refrattario al Vangelo. Oggi il santo è più attuale che mai e il papa dimenticato. Infatti mentre il mite Giovanni, figlio di donna Pica e Bernardone di Assisi, conosciuto col nome di Francesco è presente col suo stile di vita e con i suoi insegnamenti, nessuno si ricorda del bellicoso conte Lotario, figlio dei conti di Segni, divenuto papa col nome di Innocenzo III. I due hanno vissuto nella medesima epoca e sono figli della mentalità e della cultura di quel tempo.
Entrambi hanno letto lo stesso Vangelo e hanno scelto di seguire Gesù. Ma i modi di manifestare questa sequela sono estremamente differenti. Se ancora oggi si prega e si canta con le parole di Francesco (“Laudato sii o mio Signore”), gli scritti di Lotario sono, per fortuna, dimenticati. Lotario scrisse, quando era ancora cardinale, “Il disprezzo del mondo”, libro che per circa sei secoli fu un best-seller e formò, o meglio deformò, la spiritualità cristiana.
Francesco scrisse solo poche ma incisive righe ancora valide. Lotario, confondendo il suo tetro pessimismo per sante ispirazioni, scrisse: “L’uomo viene concepito dal sangue putrefatto per l’ardore della libidine, e si può dire che già stanno accanto al suo cadavere i vermi funesti. Da vivo generò lombrichi e pidocchi, da morto genererà vermi e mosche; da vivo ha creato sterco e vomito, da morto produrrà putredine e fetore; da vivo ha ingrassato un unico uomo, da morto ingrasserà numerosissimi vermi... Felici quelli che muoiono prima di nascere e che prima di conoscere la vita hanno provato la morte... mentre viviamo continuamente moriamo e finiremo di essere morti allorquando finiremo di vivere, perché la vita mortale altro non è che una morte vivente...” (De cont. Mundi 3,4). Secondo Lotario, quando Gesù risuscita Lazzaro piange “non perché Lazzaro era morto, ma piuttosto perché lo richiamava dalla morte alle miserie della vita” (1,25). Se, per Lotario tutto è orribile e fonte di piagnistei, per Francesco tutto è bello, e fonte di benedizione: “Laudato si o mi Signore con tutte le tue creature... Tu sei santo, Signore Iddio unico, che fai cose stupende. Tu sei bellezza...”
Di fronte ai problemi dell’epoca hanno risposto con soluzioni differenti. Papa Innocenzo III è il papa più potente del medioevo, colui che porterà al massimo la concezione della regalità papale e lo stato della Chiesa alla sua massima estensione.
Proprio lui sogna la Chiesa che sta per crollare, ma questa sarà salvata da frate Francesco: “va, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina”. Il papa pensò di salvare la Chiesa bandendo la tragica quarta crociata contro i saraceni e indisse perfino un Concilio (Lateranense IV) per definire ben settanta maniere per fare la “guerra santa” ovvero ammazzare nel modo più efficace (e mai si uccide con tanto gusto come quando si scanna in nome di Dio). Francesco andò disarmato dal sultano e ne divenne amico. Innocenzo, uomo bellicoso e violento, diede inizio alla prima forma di Inquisizione (quella episcopale) e arrostì sul rogo quanti nella Chiesa non erano d’accordo con lui. Tetro in vita, fu macabra la sua fine. Morì mentre era pronto a salire a cavallo con la spada in pugno per combattere i nemici e il suo cadavere, abbandonato da tutti e ormai in avanzato stato di decomposizione, fu spogliato dai ladri nella cattedrale di Perugia.
Francesco, all’avvicinarsi della morte si fece spogliare e deporre nudo per terra e morì cantando un inno di lode, circondato dall’amore dei suoi frati.
Un unico Signore, un solo Vangelo, due risposte differenti, un solo santo.

p. A. M.

I CRISTIANI : GENTE DI AVVENTO

Miei Cari,
è ormai alle porte il tempo di Avvento: La riflessione si è fatta più insistente durante i giorni scorsi degli esercizi Spirituali che ho vissuto in Assisi.
Ancora dunque e sempre in attesa della manifestazione, per essere trovati irreprensibili nel giorno del Signore.
Il tempo di Avvento è nella natura dell’uomo, un tempo attuale: noi siamo gente di Avvento. I cristiani sono definiti «coloro che attendono amorosamente il ritorno del Signore». Il Signore è venuto, viene, verrà: Ma quando viene? E perché ritarda? Egli è sempre presente e assente insieme, Egli incombe ed è lontano.
Non è solo Lui che deve venire, siamo noi che dobbiamo andare a Lui continuamente. La Chiesa è questa umanità in cammino verso Dio, il paese dell’incarnazione perenne, paese dell’attesa e dell’avvento. La fede dovrà esser la continua tensione.
Senza questa tensione non esiste cristiano sulla terra, non esisterebbe Chiesa, questo segno sacramentale del Regno di Dio che deve sempre venire. L’Immacolata che tra poco festeggeremo ci ricorda proprio questo atteggiamento di attesa attraverso le orme indicate da Gesù, specialmente la preghiera, e quelle che derivano dall’unione a Lui, cioè l’esercizio delle virtù cristiane, che manifestano e consolidano l’unione medesima. Avvento dunque: tempo di concepimento di un Dio che ha sempre da nascere. Avvento: tempo di preparazione, tenerezza e speranza.
Disponiamo così, Miei Cari, il nostro cuore, il nostro impegno, la nostra speranza.
Cordialmente,

Don Vincenzo

Nomina dal Vaticano Mons. Girasoli, Nunzio apostolico


In data 30 ottobre il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Antigua, Barbuda, Bahamas, Dominica, Giamaica, Grenada, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, San Vincenzo
e Grenadine, Suriname, Repubblica Cooperativistica della Guyana e Delegato Apostolico
nelle Antille Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Nicola Girasoli, Arcivescovo titolare di Egnazia Appula, finora Nunzio Apostolico in Zambia e in Malawi. Esprimiamo ancora, come Comunità del SS. Redentore, la nostra gratitudine e il compiacimento per il servizio di alto profilo umano, pastorale e diplomatico che Mons. Girasoli sta svolgendo per la Chiesa universale.

CHI NON RIDE, NON VIVE!

Ridere fa bene alla salute

Chi non ride, non vive!
Che la gioia sia un valore carico di ogni ben di Dio è una verità sulla quale, oggi, nessuno discute più. “La gioia di vivere è la più grande potenza cosmica”, diceva Teilhard de Chardin (1881-1955), uno tra i più intelligenti e originali studiosi del nostro secolo. A sua volta il noto scrittore tedesco Johann Wolfang Goethe (1749-1832) era convinto che “la gioia e l’amore sono le ali per le più grandi imprese”.
Noi, da parte nostra, diciamo che il mondo non è di chi si alza presto: il mondo è di chi è felice di alzarsi!
Quando si ride, tutto il corpo è in festa.
La respirazione migliora, il fegato e gli organi digestivi producono succhi gastrici e saliva, le endorfine si innalzano di circa il 20 per cento nel sangue (le endorfine sono sostanze prodotte dal cervello che danno la sensazione di piacere, come, ad esempio, quando mangiamo cioccolato o quando guardiamo un bel quadro o vediamo vincere la squadra del cuore...).
Dopo tutte le ricerche in proposito, nessuno può più dire: “Il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi”, piuttosto deve dire: “Chi non ride, non vive!”.
Ne è convinto al 100 per cento il dottor Patch Adams nato nel 1945 a Washington. Al dottor Patch Adams va il merito di aver teorizzato e iniziato la “risoterapia”, cioè la cura medica basata sulla risata, sul sorriso. Da trent’anni Adams si presenta in ospedale vestito da pagliaccio e inventa qualche tipo di gioco nuovo pur di far sorridere i bambini che cura. Mentre li visita, scherza, come se fosse al circo...
All’inizio tutti lo prendevano in giro, oggi tutti gli battono le mani!
Finalmente si è capito che bisogna togliersi tanto di cappello davanti al “dottor sorriso”. Per questo la “risoterapia” viene praticata, ormai, in Svizzera, negli Stati Uniti, in Francia, in Canadà, in Italia, dove alcuni ospedali hanno allestito sale nelle quali si proiettano film comici, spettacoli di pagliacci, e si fanno ascoltare barzellette ai malati.
Ridere è segno di maturità. Non per nulla lo psicologo Gordon Willard Allport (1897-1967), tra i tanti indicatori di riuscita psichica di una persona, pone il senso dell’umorismo, la capacità di non avvelenare l’aria che gli altri devono respirare.
Riso come segno di maturità. Certo!
Perché punirci di esser vivi? Stiamo al mondo per poco tempo: è meglio farci su qualche risata. A questo punto si comprende ciò che un giorno ha detto Fryderyk Chopin (1810-1849): “Chi non ride mai, è un buffone!”.
Ridere è da buoni. Nella sua semplice saggezza Madre Teresa di Calcutta affermava: “Non capiremo mai abbastanza quanto bene è capace di fare un semplice sorriso”. Con la Beata di Calcutta concorda Roberto Benigni, il quale in un’intervista ha confidato: “Vorrei tanto essere un clown perché è l’espressione più alta del benefattore”.
Ridere è da liberi. Chi non sa sorridere è schiavo, anche se comanda!
Profondissima è l’osservazione del commediografo rumeno Eugène Ionesco(1912-1994): “Dove non c’è umorismo, c’è il campo di concentramento”.
Sulla stessa linea è Giacomo Leopardi: “Chi ha il coraggio di ridere è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire”.
Ridere è da civili. Per il filosofo Jacques Maritain (1882-1973): “Una civiltà senza umorismo prepara i propri funerali”. Un altro genio filosofico, Tommaso d’Aquino, considerava grande virtù la incunditas: la capacità di prendere in allegria ciò che accade.
Dunque, riassumendo: ridere è da saggi, da maturi, da buoni, da liberi, da civili.
Detto in una parola: ridere è da Uomo!
Da Uomo riuscito!

Giona D’Adan

PER SEMPRE O FINCHÉ DURA

Mi capita spesso di incontrare genitori della mia età, felicemente sposati, le cui figlie/i in età da marito/moglie scelgono di convivere.
“Adesso si usa così...”, “Eppure da noi hanno avuto un esempio diverso!”, “Cosa ci possiamo fare?”. La domanda, scettica, rassegnata, o accorata a seconda dei casi, rimbalza dai genitori ai parroci agli educatori, spesso agli stessi giovani.
Eppure, lo abbiamo detto nella prima puntata di questo nostro dialogo, il “per sempre” è una caratteristica inestirpabile del vero amore tra un uomo e una donna.
Del resto non lo ritroviamo solo nella formula del rito religioso del matrimonio(“Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre...”), ma ne rintracciamo un’eco anche nelle norme del Codice Civile (quando, a proposito di matrimonio, si parla di “obbligo reciproco alla fedeltà”, art. 143). Non c’è nessuno al mondo che non desideri essere definitivamente amato per poter, a sua volta, amare definitivamente. La misura con cui il Creatore ha “tarato” il cuore dell’uomo è infatti l’infinito. Di fronte a coloro che amiamo di più sentiamo come profondamente ingiusta la parola fine: “Ama chi dice all’altro: “Tu non puoi morire”” (Gabriel Marcel).
Ma se le cose stanno così, perché ci si sposa sempre di meno? E’ un problema di crescente individualismo, di maggior precarietà nelle relazioni affettive e di un preoccupante deficit di speranza. L’idea vincente, nelle nostre società avanzate, è quella di libertà come assenza di legami. Si preferiscono rapporti “corti” a rapporti “lunghi”, non solo in chiave temporale ma anche di coinvolgimento personale. Il modello mercantile del contratto è elevato a paradigma di ogni relazione. Così alla logica del dono si sostituisce quella del calcolo, del do ut des. “Solo gli uomini – osserva acutamente Chesterton – sono in grado di lanciare i loro cuori oltre tutti i calcoli, per conquistare ciò che il cuore desidera”. Ma il desiderio dell’uomo non può essere ingannato troppo a lungo impunemente: un’insospettata conferma ci è arrivata anche dal recente rapporto Censis. Se si vuole saziare la fame dell’uomo propinandogli in continuazione cibi stuzzicanti ma di scarso valore nutritivo, il suo desiderio languirà fino a spegnersi.
“Sarà - insistono i più disincantati – ma il mondo è cambiato. Nessuno accetta più di fare sacrifici”.
“Senza impegno” ci assicurano i venditori quando ci vogliono rifilare un prodotto. “Senza impegno” sembra essere diventata la massima aspirazione di molti giovani. Perché l’”impegno” mette paura.
Sentite cosa dice a questo proposito Chesterton: “L’uomo che prende un impegno definitivo prende un appuntamento con se stesso in qualche momento o luogo distante. Il pericolo è che egli stesso non riesca a mantenerlo. E nei tempi moderni questo terrore di se stessi, della propria debolezza e mutabilità, è cresciuto pericolosamente, ed è questa la base effettiva dell’obiezione ai voti di qualsiasi genere”.
Facciamo come la volpe della favola di Esopo: siccome non riusciva a raggiungere l’uva, ci rinunciò dicendo che era acerba. In questo modo noi, insieme con l’ampiezza del desiderio, riduciamo la nostra umanità.
Ma Gesù è venuto per salvarla. Cristo e la sua Chiesa fanno il tifo per la grandezza dell’uomo: per questo ci sono i sacramenti.
Quello del matrimonio si fonda sull’incrollabile certezza di cui parla san Paolo: “Colui che ha iniziato in voi quest’opera buona la porterà a compimento” (Filippesi 1,6).
Mentre vi scrivo queste cose ho in mente i volti concreti di tante spose e di tanti sposi fedeli che il mondo giudica “eroici”, ma che sono semplicemente docili alla grazia del sacramento. Certo questo mette in conto il perdono, un altro “ingrediente” dell’amore tanto decisivo quanto sconosciuto. Chi non sa perdonare non ama. Ne parleremo ancora e più diffusamente.


Angelo Scola
Arcivescovo di Milano

UNA NUOVA FASE?

Sic transit gloria mundi.
È quanto disse Silvio Berlusconi apprendendo dell’uccisione del leader libico Gheddafi, la cui fine, all’indegna della violenza estrema, non è di buon auspicio per la nuova Libia. Tutt’altro. Quando si uccide il proprio nemico, ci si pone sullo stesso piano delle violenze che ebbe a perpetrare. La legge del taglione sopravvive, quindi, e non è affatto una buona notizia. Tuttavia, anche per Berlusconi si chiude un’epoca costellata di episodi incresciosi e volgari che hanno condotto il Paese ad una sorta di isolamento europeo ed internazionale.
Potremmo dire che la stagione della politica “bunghista”, fatta di proclami, marketing elettorale, promesse mancate, donne scosciate, episodi incresciosi(come le corna nei vertici internazionali o le barzellette erotiche o certi commenti su capi di governo donne), si chiude nel peggiore dei modi. La maggioranza è venuta meno, molti “fedelissimi”, fiutata l’aria, hanno preso il largo. I riposizionamenti sullo scacchiere politico sono cominciati, con la transumanza di alcuni, come la Carlucci, forzista della prima ora, dal PDL all’U.D.C., che mi auguro non diventi la casa dei rifugiati o il refugium peccatorum o l’approdo dei malpancisti o una sorta di caritas per i senzatetto della politica. Il riciclaggio ed il trasformismo sono antichi mali della politica italiana. Tollerarli ancora oggi; ritenerli quasi naturali, sarebbe come sostenere l’impossibilità di inaugurare una nuova fase politica all’insegna della chiarezza, dell’onestà della trasparenza dei comportamenti. Sarebbe quindi auspicabile che si faccia piazza pulita di certi personaggi e si rottamino certi comportamenti che rendono l’idea del Parlamento come di un pantano o di una jungla. Caduto il re, i cortigiani, che avevano già pronte le valigie, se ne sono andati in cerca di casa, sperando che qualcuno li ricandidi e di tornare a riscaldare le agognate sedie della Camera o del Senato, lautamente – ed ingiustamente – troppo retribuite alla faccia di tanta gente che non sa cosa fare per dar da mangiare alla propria famiglia. E tanto accade in un Paese cattolico, sede della Santa Sede. È come dire che viviamo in terra di dei pagani: il denaro, il sesso, il potere, l’egoismo più sfrenato, la corsa agli idoli della mentalità consumistico-nichilista. E gli ideali? Materia eterea o per idealisti irriducibili. Non va affatto bene. Senza valori ed ideali, come si è visto, non si va da nessuna parte, c’è solo il baratro.
Senza giustizia e verità, uno Stato perde di credibilità e di fiducia.
La situazione economica e finanziaria del Paese è fuori controllo. Ma mentre l’attacco speculativo all’Italia si faceva più virulento, il nostro presidente del Consiglio, invece di adottare provvedimenti per la crescita, invece di far girare l’economia, faceva girare la cosiddetta “patonza”. Come soluzione non c’è male. Forse per sostenere la crescita pensava alla riapertura delle case chiuse dalla legge Merlin. Se penso che osò paragonarsi ad Alcide De Gasperi, un brivido mi corre lungo la schiena.
Ma quella stagione di estrema decadenza sembra ormai archiviata. Ora pare che arrivi Monti, un tecnico che dovrebbe risolvere i problemi accumulati dalla politica con un governo di larghe intese. Mi sembra una folle speranza.
Tuttavia, è senza dubbio la certificazione del fallimento di tutta una classe politica, specie di quella che ha governato il Paese, del declino irreversibile di un modo di essere incentrato sui disvalori etici.
La nuova fase non potrà quindi prescindere da un modo di essere diverso. Si tratta di ricollocare al centro della politica la persona umana, ma non una tantum o nei convegni o nelle omelie o nelle cerimonie pubbliche, ma nella realtà effettuale di ogni giorno. Se questo non dovesse accadere, saremo compagni di sventura non già della Grecia, ma di qualche paese africano.

Salvatore Bernocco

STORIA DI UN PEZZO DI PANE

Quando l’anziano dottore morì, arrivarono i suoi tre figli per sistemare l’eredità: i pesanti vecchi mobili, i preziosi quadri e i molti libri. In una finissima vetrinetta il padre aveva conservato i pezzi delle sua memoria: bicchieri delicati, antiche porcellane, pensieri di viaggio e tante altre cose ancora. Nel ripiano più basso, in fondo all’angolo, venne trovato un oggetto strano: sembrava una zolletta dura e grigia. Come venne portata alla luce, si bloccarono tutti: era un antichissimo pezzo di pane rinsecchito dal tempo.
Come era finito in mezzo a tutte quelle cose preziose? La donna che si occupava della casa raccontò: Negli anni della fame, alla fine della grande guerra, il dottore si era ammalato gravemente e per lo sfinimento le energie lo stavano lasciando.
Un suo collega medico aveva borbottato che sarebbe stato necessario procurare del cibo. Ma dove poterlo trovare in quel tempo?
Un amico del dottore portò un pezzo di pane sostanzioso cucinato in casa, che lui aveva ricevuto in dono. Nel tenerlo tra le mani, al dottore ammalato vennero le lacrime agli occhi.
E quando l’amico se ne fu andato, non volle mangiarlo, bensì donarlo alla famiglia della casa vicina, la cui figlia era ammalata.
“La giovane vita ha più bisogno di guarire, di questo vecchio uomo”, pensò il dottore.
La mamma della ragazza ammalata portò il pezzo di pane donatole dal dottore alla donna profuga di guerra che alloggiava in soffitta e che era totalmente una straniera nel paese. Questa donna straniera portò il pezzo di pane a sua figlia, che viveva nascosta con due bambini in uno scantinato per la paura di essere arrestata. La figlia si ricordò del dottore che aveva curato gratis i suoi due figli e che adesso giaceva ammalato e sfinito. Il dottore ricevette il pezzo di pane e subito lo riconobbe e si commosse moltissimo.
“Se questo pane c’è ancora, se gli uomini hanno saputo condividere tra di loro l’ultimo pezzo di pane, non mi devo preoccupare per la sorte di tutti noi”, disse il dottore.
“Questo pezzo di pane ha saziato molta gente, senza che venisse mangiato. E’ un pane santo!”.
Chi lo sa quante volte l’anziano dottore avrà più tardi guardato quel pezzo di pane, contemplandolo e ricevendo da esso forza e speranza specialmente nei giorni più duri e difficili!
I figli del dottore sentirono che in quel vecchio pezzo di pane il loro papà era come più vicino, più presente, che in tutti i costosi mobili e i tesori ammucchiati in quella casa.
Tennero quel pezzo di pane, quella vera preziosa eredità tra le mani come il mistero più pieno della forza della vita.
Lo condivisero come memoria del loro padre e dono di colui che una volta, per primo, lo aveva spezzato per amore.

Nel tempo e nello spazio di Dio

Anche quest’anno è stato molto partecipato il mese in onore della Madonna del Rosario recitato al mattino, alle 18,30 e alle 20,30, animato dal Gruppo Famiglie della parrocchia. Il parroco ha poi dato il Mandato ai catechisti, inaugurando così il nuovo anno. Si sono pertanto avuti gli incontri con i catechisti, con i genitori dei ragazzi, con i giovani e giovanissimi. Anche per gli uomini di A.C.I. c’è stata una riunione programmatica di inizio d’anno.
Hanno avuto inizio le lezioni quindicinali per gli “Amici della Parola” e il tema trattato è stato: “il Dio che non c’è”. Il Gruppo Famiglie ha anche avuto il suo primo incontro del mese; il parroco ha parlato sulle prospettive dell’Incontro mondiale che per le famiglie si terrà a Milano. Le Comunità Neo-Catecumenali hanno vissuto le convivenze di inizio anno, come pure sono state celebrate le liturgie penitenziali. L’adorazione mensile animata dal Gruppo Eucaristico e da quello di S.Pio hanno dato occasione di una verifica spirituale e di una impostazione adeguata al nuovo anno pastorale.

Luca

Alla scuola del Vangelo: piccoli e grandi


Miei Cari,
dopo un periodo di collaudato rodaggio ed essendomi sentito con i collaboratori ho annunciato la sera del 28 agosto scorso la nascita di un nuovo gruppo parrocchiale: quello degli “Amici della Parola”. Da tempo ormai -quindicinalmente- ci incontriamo infatti per approfondire argomenti presentati dai Vangeli e che arricchiscono non soltanto dal punto di vista culturale ma soprattutto spingono ad una reimpostazione del nostro cammino di fede.
Vorrei pertanto brevemente riandare alle motivazioni di fondo che ci hanno orientato a fare tale scelta partendo dal Vangelo di Giovanni che così afferma al capitolo 20, 30-31: “Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, Figlio di Dio”.
Il Vangelo è il cuore della vita cristiana.
È la buona novella.
Sta ad indicare il messaggio proclamato da Gesù e trasmesso da coloro che l’hanno conosciuto e frequentato. Sono testimonianze commoventi sulla vita, sulla condanna a morte e sulla risurrezione di Gesù. Non sono i Vangeli reportages ma testimonianze di fede.
Nessuno ha la pretesa di dire tutto su Gesù, ma trasmettono il modo in cui Cristo risuscitato sconvolge quelli che lo incontrano. Gli faceva compagnia nelle brevi passeggiate per i giardini vaticani, lungo i sentieri dei monti nelle brevi vacanze estive, nelle pause delle sue giornate laboriose.
Un giorno di ottobre del 1987 scese pellegrino al Santuario di Pompei e ricordò che davanti a quella dolcissima immagine amava sostare il medico santo Giuseppe Moscati, che soleva dire: “Ai piedi della Madonna mi sembra di diventare più piccolo, e Le dico le cose come sono”.
Il Papa commentava: “Vogliamo anche noi… aprire il nostro cuore alla Madonna e dirLe le cose come sono”. Il 25 ottobre 1987 il Papa apriva l’anno mariano e firmava la Lettera sul Rosario. Sono pagine appassionate di un uomo che tutta la sua vita consegnò alla Madonna.
Egli osserva che l’umile snodarsi delle avemarie si alterna a silenzi sapienzali, nei quali l’anima affonda lo sguardo nell’intimità di Dio e scopre il suo disegno salvifico, il volto del Figlio, la luce della redenzione.
Il rosario non si recita, ammoniva il beato Bartolo Longo. Papa Wojtyla lo ripeteva, lo sottolineava. Il rosario è meditazione, la ripetizione delle avemarie impone di passare dalla preghiera sussurrata alla preghiera meditata.
In semplicità. È semplice la struttura del rosario.
Il rosario, incalza papa Karol, è contemplazione. In effetti attraverso la preghiera alla Madonna e con l’alternarsi dei misteri si entra nel contatto con Dio, lo si ascolta, gli si parla, lo si contempla nella successione delle scene proposte di volta in volta.
In tutto questo meditare e contemplare, “le parole guidano l’immaginazione e l’animo a quel determinato episodio o momento della vita di Cristo”.
La vita di cristo, presentata mediante i diversi quadri visivi, fa del rosario il “vangelo dei poveri”, diceva Giovanni XXIII. È l’arma debole, ma un’arma che vince le potenze avverse.
Ogni mese è ricco di ricorrenze mariane. Maggio e ottobre sono quelli che la devozione popolare ha consacrato a Maria. In ottobre ci sono due giornate, il 7 e il 13, quest’ultima collegata alle apparizioni di Fatima.
L’approfondimento quindi del Vangelo è per incontrare Gesù ed entrare nell’intimità della sua Parola. Tale intensità si trasforma, libera da molte paure, tranquillizza, dinamizza, apre le vie della vita spirituale. Più si leggono i Vangeli e più si è sensibili alla Parola di Dio, più cresce il desiderio di approfondire e di rispondere con la propria vita a questo appello. Un grande padre della Chiesa diceva che il “premio della ricerca di Dio è la ricerca stessa”. Vivere secondo il Vangelo rende pienamente felici.
La nuova forma di accostarci al Vangelo aiuterà gli “Amici della Parola” a credere che ciò che viene vissuto nel testo evangelico può essere vissuto anche oggi, da ogni uomo, in qualsiasi cultura. Perché in fondo è esatto quanto afferma Théodore Monod: “Gesù ci dice una cosa unica che dovrebbe bastare a orientare tutta la nostra vita: Dio è amore”.
E per concludere con l’evangelistaGiovanni mi piace riportare quanto egli riferisce: “Questa è la vita eterna: conoscere Te, Padre, e Colui che hai mandato, il Cristo”.
Buon anno pastorale e buon cammino a tutti.

Cordialmente
Don Vincenzo

Cosa dicono sulla tomba del Beato Giovanni Paolo II?


Da 10 a 18 mila i pellegrini che ogni giorno visitavano la tomba di Giovanni Paolo II nelle Grotte Vaticane. Molte di più, ora che il Beato è sepolto nella Basilica di San Pietro. Quali pensieri esprimano le persone, nessuno può dirlo. Ma qualcuno ha letto i numerosi biglietti lasciati presso la tomba. A Isabella Lo Iacono, giornalista e docente, è stata offerta la possibilità di visionare gli oggetti, i messaggi, le lettere, le fotografie lasciate sulla tomba del Papa. La giornalista parla di uno straordinario fenomeno, che è poco definire devozionale, perché supera di molto il significato che in genere si dà a questo termine. La gente, infatti, cerca in Karol non tanto l’intercessore, quanto il confidente, colui col quale dialogare. Se vogliamo spiegare, diciamo che siamo tutti un po’ spaesati, credenti da una parte e miscredenti dall’altra. Ci riconosciamo nel dubbio, questo tarlo che insidia le certezze di chi guarda il cielo e indebolisce la disinvoltura di chi al cielo non solleva gli occhi. Nel dubbio e nell’affanno ci consegniamo a un uomo che è stato in tutto e per tutto uomo in mezzo agli uomini.
Karol ha voluto bussare alle case dei poveri e dei ricchi, al cuore dei cristiani e dei no cristiani. Oggi questa frastagliata umanità va da lui, gli restituisce la visita. È straordinario che i biglietti, le lettere lasciate sulla tomba riportino i propri recapiti, perfino il numero telefonico. Come se il Papa dovesse contattarli per una parola di conforto o per un consiglio su un problema.


D. V.

UN PARTITO DEI CATTOLICI?

Che la fase politica che stiamo attraversando sia delicata è cosa evidente. Che il governo italiano si stia dimostrando incapace di gestire una crisi economica di vasta portata è altresì evidente. Minato da scandali a sfondo sessuale, delegittimato da episodi di dubbissima moralità, il governo mostra la corda. La maggioranza fa fatica a trovare la quadra. A giorni alterni si sostiene che il governo Berlusconi non arriverà al 2013.
Molte le fronde interne, si pensi a quella capeggiata dall’ex ministro Scajola e da Pisanu. Il dissenso cresce sia all’interno del PDL che della Lega Nord. Anche a sinistra le cose non procedono come dovrebbero, cioè all’insegna dell’unità di intenti. Nel PD Veltroni fa opposizione a Bersani, Di Pietro sembra un giocatore di poker, fa partita a sé, mentre Vendola è impegnato a contendere il ruolo di candidato del centrosinistra a Bersani.
Insomma, il quadro della politica italiana non‘è idilliaco. Tutt’altro. Vi è una via di uscita dall’impasse? Alcuni pensano alla costituzione di un nuovo partito di cattolici, come se il cattolico abbia in sé, per grazia divina, qualità etiche e morali superiori. Così ovviamente non è. La storia della Repubblica italiana si è avvalsa dell’impegno di grandi figure del mondo cattolico, come De Gasperi, La Pira, Fanfani, Dossetti, Moro. Essi contribuirono alla costruzione dell’Italia democratica ed antifascista, ma non da soli. Da soli non si può nulla, anche qualora si fosse maggioranza. La Democrazia cristiana ha privilegiato la politica delle alleanze e della corresponsabilizzazione, e con Moro e Berlinguer si aprì una fase – prematuramente chiusa a seguito della uccisone di Moro – che andò sotto il nome di “solidarietà nazionale”. La D.C. non esiste più. Vani sono stati tutti i tentativi di riesumarla. Oggi, dopo gli appelli del cardinale Bagnasco, qualcuno pensa di dare alla luce un altro soggetto politico che raccolga i cattolici scontenti di destra e di sinistra, affinché si dia vita ad un partito di moderati equidistante tanto dal PDL quanto dal PD. A parte la considerazione che un terzo polo c’è (FLI,API, UDC), non vedo la ragione per cui i cattolici debbano coagularsi per affermare una diversità che, come ho già detto, mi sembra non sia nell’ordine dei fatti. Se si formasse un partito dei cattolici, si correrebbe il rischio di una radicalizzazione del confronto sulle questioni etiche, che invece richiede un approccio laico (non laicistico). Temo il travaso della religione nella politica, proprio perché si tratta di ambiti distinti e si muta in potere. Lo stesso Partito popolare italiano di Luigi Sturzo era aconfessionale. Il contributo dei cattolici alla vita politica delle comunità deve quindi, a mio avviso, essere autonomo e responsabile, né deve chiamare il causa la comunità dei credenti per le proprie autonome scelte e decisioni. Le crociate appartengono ad altri tempi. Oggi c’è bisogno di affermare i valori della famiglia, della vita, del lavoro, della solidarietà senza usare il linguaggio duro ed implacabile dei censori. Perché ci sono altre persone, uomini e donne, che hanno visioni diverse dalle nostre, e a nessuno è data la facoltà di conculcare la libertà degli altri per l’assurda pretesa di possedere tutta intera la verità. Lo Stato democratico è lo Stato di tutti, non di alcuni. La convivenza civile, la tolleranza, il rispetto delle altrui opinioni ne sono i cardini.

Salvatore Bernocco

Nel tempo e nello spazio di Dio

Non sono mancati incontri per puntualizzare meglio il programma pastorale dell’anno 2011-12, tenendo conto delle direttive e suggerimenti del nostro vescovo don Gino durante il Convegno Pastorale dove siamo stati introdotti dal vescovo di Foligno Mons. Gualtiero Sigismondi. Va annotata la crescente devozione a S. Pio da Pietrelcina, venerato nella nostra chiesa già da quando era “Servo di Dio”. Preparata da un triduo solenne e dalla veglia abbastanza partecipata del 22 settembre si è celebrata la festa con una partecipazione veramente eccezionale che si è conclusa con la messa pontificale presieduta dal nostro arcivescovo Mons. Girasoli, nunzio Apostolico. È seguita in Piazza Castello la festa esterna. Anche le Vincenziane e il coro della Gioventù Mariana si son dati appuntamento il giorno 27 per la festa di S. Vincenzo de Paoli. Durante la celebrazione il parroco ha presentato la figura del Santo come modello eccezionale di una Chiesa che andava alla deriva nel ‘500 e che salutarmente influenzò positivamente con il messaggio di carità ispirato e attuato da S. Vincenzo con la collaborazione di S. Luisa de Marillac. Anche il Gruppo Giovani si è messo a lavoro con varie iniziative e soprattutto per organizzare il lavoro formativo e una commedia che sarà recitata nel tempo natalizio. Si è riaperto poi dal primo Lunedì di settembre il Centro ascolto della Caritas parrocchiale e si pensa già a quanto sarà realizzato per il prossimo Avvento.
L’adorazione del primo Giovedì e quello della giornata del 22 sono stati i momenti più belli del mese che si è concluso con la prima lezione sui Vangeli per gli Amici della Parola. Tema: “il Dio che non c’è”.

Luca

Festa in onore di San Pio

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Programma:


“CAMMINARE INSIEME È DIFFICILE, MA È PIÙ BELLO”


Miei Cari,
credo sia opportuno, anzi provvidenziale, riandare al settembre di 25 anni or sono, quando iniziava la nuova esperienza che avremmo vissuta non più con la diocesi sorella di Bitonto ma con le Chiese di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi.
Il nuovo Pastore, il Servo di Dio don Tonino Bello nominato primo vescovo delle predette diocesi e poi (30 settembre ’82) Vescovo di Ruvo, avrebbe dato inizio all’unica diocesi di Molfetta - Ruvo - Giovinazzo - Terlizzi.
Uno sguardo retrospettivo, circa la nuova realtà?
Certo, 25 anni sono pochi per vedere i risultati del camminare insieme e proprio don Tonino affermava che è necessario “essere insieme per camminare” quasi rispiegando quanto aveva affemato nella sua lettera pastorale “Camminare insieme” e il Cardinale Pellegrino. E ancor meglio puntualizzava: “Per me e per voi, sarà un’avventura splendida, un’avventura di comunione impareggiabile, non solo sul piano della sequela di Cristo che accomuna tuttele Chiese della terra, ma anche sul piano delle tabelle di marcia, dei ritmi di percorso e delle corsie preferenziali che caratterizzeranno il nostro camminare insieme. Aiutiamoci a non deludere il Signore che non delude mai nessuno”.
Certamente ve ne è tanto lavoro da fare ancora per promuovere la pace, rigenerare l’entusiasmo, stimolare le iniziative, accrescere l’impegno, tener desta l’attenzione al bisogno dei poveri, collegare le espressioni più significative del lavoro pastorale in modo che non ci sia chi tira a destra e chi tira a sinistra, chi accelera e chi frena.
Mi sono soffermato spesso durante questi 25 anni su queste piste che don Tonino indicava all’inizio del cammino insieme delle quattro ex diocesi.
Il lavoro è tanto. Tanto hanno operato in tal senso i vescovi che si son succeduti nell’impresa: da Mons. Negro al nostro don Gino. L’auspicio è che non abbiamo a scoraggiarci e anche noi, come comunità parrocchiale, ci apriamo a questo respiro diocesano per una Chiesa più aperta, più libera, più autentica anche se i limiti sono tanti e a farci arrestare il più delle volte.
Forse dobbiamo andare di più verso coloro che non si trovano con i nostri progetti e nelle nostre speranze cristiane, ma sperimentano come noi la fatica di essere uomini. Ad essi dovremo poter dire che la nostra Chiesa si farà più attenta ai loro bisogni e alle loro richieste di significato.
Saranno questi gli impegni e le piste che ci faranno lavorare con più entusiasmo e dare gioia ai pastori cui siamo stati affidati.

Cordialmente, Don Vincenzo

TORNIAMO AL PASSATO: SARÀ UN PROGRESSO

Grave ed urgente è stata definita dal Presidente dei Vescovi italiani, card. Bagnasco, la questione morale «non soltanto in politica ma in tutti gli altri ambiti del pubblico e del privato» (Gazzetta del 30 agosto). Per cui sono giustificate e condivisibili le sue esortazioni a quanti hanno responsabilità nella vita pubblica e nell’attività economica a proporre modelli culturali alternativi destinati a diventare dominanti e far cambiare gli stili di vita e ad invertire l’attuale tendenza al consumismo, all’edonismo e al lassismo che hanno prodotto quegli scandali assurdi che hanno riempito a distesa le cronache dei giornali e delle televisioni.
Invertire l’attuale tendenza significa porre al centro della vita gli ormai dimenticati valori del «dovere e del sacrificio». In verità Bagnasco non scopre nulla di nuovo; si tratta infatti di valori ampiamente collaudati già nel passato che sono stati alla base della crescita e dello sviluppo del nostro Paese a ridosso della seconda guerra mondiale. Chi appartiene alla generazione di quegli anni ricorderà che si lavorava di più, otto ore giornaliere ed oltre; in famiglia c’era chi cucinava e risparmiava sulla spesa; i figli non avevano la pretesa di trascorrere il sabato e la domenica nelle discoteche e nelle pizzerie fino alle ore piccole; la scuola era fatta di studio intenso e severo senza le pause delle vuote assemblee o le gite dispendiose quanto inutili. Si badava all’essenziale riconoscendo il sacrificio come un dovere, non come una imposizione. L’Italia di quegli anni è cresciuta per il coraggio degli imprenditori e per il senso di responsabilità dei lavoratori. Non è l’amarcord di un nostalgico del tempo che fu. Ma l’amara constatazione di un italiano di buon senso il quale si è riconosciuto nel pensiero del Presidente dei Vescovi e che, in un momento di crisi incalzante intende riscoprire l’importanza della «frugalità» come norma del proprio stile di vita. Occorre che ogni italiano scrupoloso e responsabile si decida a fare un passo indietro. Gli antichi dicevano che il miglior guadagno è il risparmio. C’è da eliminare il superfluo nelle famiglie, lo spreco nelle prebende e nel voluttuario nella pubblica amministrazione; c’è da recuperare l’entusiasmo produttivo scavando nei settori inesplorati; c’è da rimediare efficienza ed efficacia nel lavoro. Quanto ai giovani sarebbe opportuno che rinuncino al miraggio del posto fisso e che scommettano sul loro futuro orientandosi coraggiosamente nell’imprenditoria esplorando settori che abbiano prospettive di crescita: agricoltura, turismo, artigianato tipico, servizi alla persona, professionalità tecniche legate all’elettronica, alla meccanica, all’energetica, all’informatica alla domotica ecc… Per tutti, comunque, urge il ritorno all’osservanza di un rigoroso codice etico che abbia come ispirazione principale l’onestà.

Michele Giorgio

CAMPOSCUOLA 16 - 24 AGOSTO 2011 / Notizie

"Non importa quanto si dà, ma quanto amore si mette nel dare” (Madre Teresa di Calcutta): è stato questo lo spirito del Camposcuola 2011 che ha unito noi, gruppo giovani della Parrocchia “SS.Redentore”, per l’intera durata di questa magnifica esperienza.
Tutti, infatti, dal più piccolo al più grande, dal più pigro al più collaborativo, abbiamo contribuito alla buona riuscita dell’esperienza.
Dal 16 al 24 Agosto, il Villaggio Boncore (Torre Lapillo) ci ha visti protagonisti di svariate attività che ci hanno permesso di mettere le basi per la crescita di un gruppo i cui valori fondamentali sono il rispetto reciproco, la collaborazione, il confronto, la semplicità: il tutto all’insegna della preghiera e del divertimento. Svariati sono stati i momenti di riflessione che ci hanno accompagnato: la quotidiana recita delle lodi, la partecipazione alla messa domenicale e gli incontri di formazione tenuti dal nostro Parroco al fine di migliorare le nostre conoscenze del mondo della Parola. Le giornate sono state scandite dalle tante iniziative ricreative volte ad unire il gruppo attraverso il divertimento e la sana competizione: cruciverba, balli serali, karaoke, la caccia al tesoro e la gara di cucina sono solo una piccola parte dei giochi pomeridiani e serali svolti.
Grande partecipazione è stata mostrata da tutti noi anche nei momenti di aiuto in cucina: ogni giorno le squadre sono state impegnate ad apparecchiare, sparecchiare e rassettare la struttura, il tutto con allegria perché insieme è tutto più bello. Il Camposcuola è tanto ben riuscito anche grazie all’indispensabile presenza di Anna e Franco, Nicoletta e Biagio, Anita e Antonio (membri del “Gruppo Famiglia” della Parrocchia), Nicola e la signora Maria che si è occupata dei fornelli insieme all’immancabile Ninetta. Un ulteriore merito va al Parroco don Vincenzo, che permette ai giovani della Parrocchia di esprimere al meglio le loro doti e che, anche quest’anno, ha consentito la realizzazione del Camposcuola.
Tuttavia, questo è solo l’inizio di una lunga avventura che ci vedrà impegnati durante tutto l’anno in numerose attività fra le quali una rappresentazione teatrale e l’allestimento di un mercatino natalizio. L’elemento cardine è l’accoglienza; quindi aspettiamo l’arrivo di nuovi amici volenterosi a condividere la gioia di stare insieme nel nome del Signore!

il Gruppo Giovani “SS. Redentore”

Le giornate mondiali della Gioventù: “AMARE COME CRISTO”

Siate “radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfr Col 2,7). La Lettera da cui è tratto questo invito, è stata scritta da San Paolo per rispondere a un bisogno preciso dei cristiani della città di Colossi. Quella comunità, infatti, era minacciata dall’influsso di certe tendenze culturali dell’epoca, che distoglievano i fedeli dal Vangelo. Il nostro contesto culturale, cari giovani, ha numerose analogie con quello dei Colossesi di allora. Infatti, c’è una forte corrente di pensiero laicista che vuole emarginare Dio dalla vita delle persone e della società, prospettando e tentando di creare un “paradiso” senza di Lui. Ma l’esperienza insegna che il mondo senza Dio diventa un “inferno”: prevalgono gli egoismi, le divisioni nelle famiglie, l’odio tra le persone e tra i popoli, la mancanza di amore, di gioia e di speranza. Al contrario, là dove le persone e i popoli accolgono la presenza di Dio, lo adorano nella verità e ascoltano la sua voce, si costruisce concretamente la civiltà dell’amore, in cui ciascuno viene rispettato nella sua dignità, cresce la comunione, con i frutti che essa porta”.
È un passo del Messaggio del Santo Padre per la XXVI Giornata Mondiale della Gioventù 2011, tenutasi a Madrid. I destinatari della missiva papale sono tutti i battezzati, non soltanto le giovani generazioni, che necessitano di orientamenti saldi per costruire su solide basi il proprio futuro. Un futuro che appare incerto e assai precario, molto più di quanto lo sia stato in epoche passate. La precarietà investe l’economia, la politica, i rapporti di lavoro, i valori, il senso stesso dell’esistenza. La precarietà, il senso di precarietà, rende mutevole e fragile ogni sentimento, per cui non vi sono più valori fondanti, ma solo valori temporaneamente accolti, “usa e getta”. Non vi sono piattaforme, ma paludi e sabbie mobili. Il cielo si è eclissato a favore della terra, della polvere. La stessa cosificazione delle persone, ridotte ad ingranaggi di meccanismi infernali, è un derivato della precarizzazione dei valori, meglio nota come relativismo etico. Il denaro, il sesso, il potere sono gli idoli di sempre che tornano alla ribalta con maggiore vigore, sostenuti dal desiderio dell’uomo di conseguire la felicità e mantenerla al di fuori di Dio e della Sua legge-non legge: l’amore. L’amore non è per i potenti un potere, ma il paravento dietro cui compiere misfatti e dare libero sfogo ai loro vizi. Nelle tenebre, ovviamente, ed anche alla luce del sole, dilagante com’è l’attenersi a modelli negativi assurti a modalità normali ed accettate di condotta. Esempi se ne potrebbero portare tanti, a partire da quelli offerti da alcuni noti politici italiani che, invece di governare ed essere esempio di sobrietà e virtù, corrono dietro alle gonnelle e sono ricattabili. Una vergogna assoluta. I giovani sono la speranza del domani. Ma occorre che si forgino alla Verità che salva attraverso modalità di vita interiore che rifuggano da facili scorciatoie spiritualistiche. Oggi essere credenti implica un lavoro su di sé che è di triplice natura: culturale, psicologico e spirituale.
Queste tre dimensioni vanno armonizzate e fatte fermentare insieme. È compito della Chiesa e dei pastori educarsi per educare. Non è più sufficiente offrire un Cristo smunto ed un cristianesimo consolatorio. Non lo è mai stato.
È il tempo di dare una svolta significativa di senso e di credibilità attraverso l’esempio e lo studio.
Questa nostra società non si salverà, le nostre comunità saranno ricettacoli di egoismi sempre più radicati e di lotte fratricide se se non si giungerà alla comprensione che il potere più forte al mondo è l’amore alla maniera del Cristo. Giovani della 2a Comunità Neo-Catecumenale della Parrocchia, partecipanti alle giornate mondiali della Gioventù.


Salvatore Bernocco

Nel tempo e nello spazio di Dio

Luglio e Agosto: due mesi altrettanto colmi di impegni a livello spirituale e comunitario.
D’altronde non è lecito apporre il cartello “Chiuso per ferie” sulle porte della parrocchia.
E tra i vari momenti vi fu l’adorazione eucaristica animata dai vari gruppi, nel primo giovedì per i 60 anni di sacerdozio del Papa e il 23 ricordando P.Pio. Momenti liturgici particolari furono quelli per la festa di S. Maria Goretti e per S. Anna venerata in parrocchia, cui seguì la festa esterna come ogni anno. Anche per l’Assunta ci ritrovammo in preghiera e per la festa di S. Rocco. Gli amici e devoti si impegnarono per il triduo e la solenne processione di S. Rocco il giorno 16. Preparato poi nei minimi dettagli da Vincenzo, Rita e Angelica il riuscitissimo Campo Scuola a Boncore di Nardò che ebbe inizio dal 16 al 24 agosto. 41 i partecipanti. Volendo poi ricordare il 28 agosto dell’83, data di inizio del cammino fatto insieme col parroco don Vincenzo ci riunimmo intorno a lui nell’Eucarestia, per un momento di verifica e per introdurci ormai nel nuovo anno pastorale. Una bella notizia dopo 2 anni di esperienza il parroco ha annunziato la nascita di un nuovo gruppo parrocchiale: gli “Amici della PAROLA”.
Sono quelle persone che ogni quindici giorni si riuniranno per l’approfondimento di determinati settori del Vangelo, il venerdì a ricominciare dal giorno 30 settembre.
Si è in ultimo tenuta un’Assemblea straordinaria per i confratelli di S. Rocco per approvare diversi punti all’ordine del giorno.

Luca

PARABOLE: PER CAPIRE E FAR PARLARE LUI


Miei Cari,
anche alcune pagine del Vangelo di queste domeniche estive ci immettono nei riposanti
scenari che invitano alla contemplazione del creato e ad andare oltre, verso il Creatore: “Gesù, dice il Vangelo di Matteo, uscì di casa e si sedette sulla riva al mare”,(Mt.13,1..) e senza ostacolarti l’immersione nel creato, parla “in parabole” alle folle assetate della sua parola.
Un aiuto a capire meglio, senza i vincoli del dogma, del “così è”, punto e basta”!
Perché questo raccontare?
Perché forse l’insegnamento può diventare un parlare arido, astratto, fuori dalla
vita, fuori dalla casa e fuori dal mare.
La parabola perché non “definisce”, non dice tutto, ma è un discorso aperto non dice: così è, e basta. Forse ci siamo troppo legati ad una interpretazione del
Vangelo, immobile da millenni, ci va benissimo e non scalfisce uno solo dei problemi
dell’umanità. Una lettura e una esegesi fisse e immutabili che non hanno il coraggio di scavare o di aprire le finestre al vento e che soffia dove vuole e parla con la bocca di chi vuole.
Una morale-nonostante la svolta del Concilio Vaticano II - ancora dipendente dalla norma.
Credo che la Chiesa debba ritornare a parlare in parabole. Il vecchio catechismo ci insegnò che “Dio è l’essere perfettissimo”. Lui, in parabole ci ha detto che Dio è Padre che attende il figlio scapestrato, che lo abbraccia, non lo fa andare oltre con le sue confessioni, che sa benissimo che il figlio non ha bisogno del «padre», ma del «pane» che gli manca e nonostante tutto lo reintegra pienamente nel suo amore. La parabola: insomma un discorso aperto e che non sai dove ti porta, mentre sei immerso nella contemplazione del mare...
Miei cari, cerchiamo di guardare così il creato e ringraziamo Dio che non è «complicato» come a volte siamo noi quando sgridazziamo canti e preghiere per fare «zittire Lui»: Quel religioso silenzio davanti al mare...

Buone vacanze, Don Vincenzo

MADRID 2011: LA GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ

RADICATI E FONDATI IN CRISTO!
C’è un momento, da giovani, in cui ognuno di noi si domanda: Che senso ha la mia vita, quale scopo, quale direzione
dovrei darle? Cristo, che si è fatto uomo per noi, ci svela il segreto dell’esistenza e ci rivela nostra identità. Alcuni passaggi
del messaggio del Papa ai giovani in vista della Giornata Mondiale della Gioventù, ci aiuta in questa scoperta!


Vorrei che tutti i giovani, sia coloro che condividono la nostra fede in Gesù Cristo, sia quanti esitano, sono dubbiosi o non credono in Lui, potessero vivere questa esperienza, che può essere decisiva per la vita: l’esperienza del Signore Gesù risorto e vivo e del suo amore per ciascuno di noi.


Alle sorgenti delle vostre più grandi aspirazioni
E’ parte dell’essere giovane desiderare qualcosa di più della quotidianità regolare di un impiego sicuro e sentire l’anelito per ciò che è realmente grande. Si tratta solo di un sogno vuoto che svanisce quando si diventa adulti? No, l’uomo è veramente creato per ciò che è grande, per l’infinito. Qualsiasi altra cosa è insufficiente.
[Ö]Per questo motivo, cari amici, vi invito a intensificare il vostro cammino di fede in Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Voi siete il futuro della società e della Chiesa! Come scriveva l’apostolo Paolo ai cristiani della città di Colossi, è vitale avere delle radici, delle basi solide! E questo è particolarmente vero oggi, quando molti non hanno punti di riferimento stabili per costruire la loro vita, diventando così profondamente insicuri. Il relativismo diffuso, secondo il quale tutto si equivale e non esiste alcuna verità, né alcun punto di riferimento assoluto, non genera la vera libertà, ma instabilità, smarrimento, conformismo alle mode del momento. Voi giovani avete il diritto di ricevere dalle generazioni che vi precedono punti fermi per fare le vostre scelte e costruire la vostra vita, come una
giovane pianta ha bisogno di un solido sostegno finché crescono le radici per diventare, poi, un albero robusto capace di portare frutto.

Sorretti dalla fede della Chiesa, per essere testimoni
La nostra fede personale in Cristo, nata dal dialogo con Lui, è legata alla fede della Chiesa: non siamo credenti isolati, ma, mediante il Battesimo, siamo membri di questa grande famiglia, ed è la fede professata dalla Chiesa che dona sicurezza alla nostra fede personale.
Il Credo che proclamiamo nella Messa domenicale ci protegge proprio dal pericolo di credere in un Dio che non è quello che Gesù ci ha rivelato: “Ogni credente è come un anello nella grande catena dei credenti. Io non posso credere senza essere sorretto dalla fede degli altri, e, con la mia fede, contribuisco a sostenere la fede degli altri “(CCC, 166). Ringraziamo sempre il Signore per il dono della Chiesa; essa ci fa progredire con sicurezza nella fede, che ci da la vera vita.
Cristo non è un bene solo per noi stessi, è il bene più prezioso che abbiamo da condividere con gli altri.
Nell’era della globalizzazione, siate testimoni della speranza cristiana nel mondo intero: sono molti coloro che desiderano ricevere questa speranza!

Verso la Giornata Mondiale di Madrid
Cari amici, vi rinnovo l’invito a venire alla Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid. Con gioia profonda, attendo ciascuno di voi personalmente: Cristo vuole rendervi saldi nella fede mediante la Chiesa.
Cari giovani, la Chiesa conta su di boi! Ha bisogno della vostra fede viva, della vostra carità creativa e del dinamismo della vostra speranza.
La vostra presenza rinnova la Chiesa, la ringiovanisce e le dona nuovo slancio. Per questo le Giornate Mondiali della Gioventù sono una grazia non solo per voi, ma per tutto il popolo di Dio.
La Vergine Maria accompagni questo cammino di preparazione.
Interceda per ciascuno e ciascuna di voi, affinché nella prossima Giornata Mondiale possiate crescere nella fede e nell’amore”.


L.S.

L’ASSUNTA, IL RICHIAMO DEL CIELO

Piace ripensare, nel pieno dell’estate, ad uno dei motivi suggeriti dalla celebrazione della Pasqua di Maria: l’Assunta l’esaltazione più autentica della persona umana e della sua dignità. In Maria, primizia della gloria futura che attende tutti i credenti al compimento del Regno di Dio, contempliamo anche il pieno trionfo della corporeità umana: quella corporeità tante volte malintesa e svilita anche oggi, e soprattutto in questi giorni.
L’apparire, a scapito della dimensione interiore, belli, forti, attraenti, e magari pieni di soldi e di successo è un classico ideale mondano che si accompagna sovente al dissipato andazzo vacanziero.
La questione è che, come diceva Chesterton, l’uomo, consapevole dei propri limiti, può riuscire a mantenersi a certi gradi nel fare il bene, sforzandosi sempre, passo dopo passo per migliorarsi. Ma non ci si mantiene a certi livelli “nel male”.
E lo smarrimento morale, (alludiamo qui alla morale naturale, non necessariamente alla morale cristiana) tipico della società materialistica e consumistica, tende irreversibilmente a portare verso il basso. La via del degrado non ha limiti. Oggi come ieri. La storia in tal senso si ripete.
E poiché gli uomini hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balia d’una intelligenza depravata sicché commettono ciò che è indegno, colmi sono di ogni sorta d’ingiustizia, di malvagità di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi di malignità, diffamatori maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa (Rm 1, 22-32).
Abbiamo innanzi ai nostri occhi un quadro drammatico, tanto più inquietante dal momento che nello sguardo d’insieme, ci sembra di aver riscontrato la verosimiglianza di diversi particolari con altrettante situazioni e realtà ben note.
Basti pensare alla presente crisi sociale, e civile, che ad esempio riguarda la famiglia naturale e monogamica sempre più messa in crisi dalla logica delle unioni di fatto, e insidiata perfino da rivendicazioni rumorose di movimenti omosessuali, strumentali per lo più ad ottenere figli in adozione.
Ci sentiremmo proiettati così in un passato oscuro, e apparentemente senza speranza. Possibile che non sia cambiato nulla? Ebbene la speranza ce la porta anzitutto Maria Immacolata la cui testimonianza splendente riempie il mondo della novità del Regno divino che suo Figlio Gesù ci ha procurato: incarnandosi, vivendo tra noi, morendo sulla croce e risorgendo gloriosamente.
Il canto del Magnificat ci proietta in una situazione di giustizia e di grazia già conseguita, malgrado il cammino della storia umana non sia ancora compiuto; tale condizione interiore è peraltro un dono immancabile per quanti vivono il loro battesimo con spirito di figli e non di servi. Dio ci ama. Ama gli umili, i poveri, i deboli; non dobbiamo quindi temere: il peccato, le logiche oppressive e brutali del mondo sono già sconfitte dall’Amore di Dio per l’uomo.
Accogliendo Dio, e quindi “spalancando le porte a Cristo” senza paura - Maria ce lo insegna.

AMORE PURO ?

Il 25 giugno scorso il governatore dello stato di New York, Andrew Cuomo, avallava la decisione del Senato dello stato di rendere legali i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Cuomo disse: “Questo voto oggi manda un messaggio al paese. Questa è la strada da seguire, il momento di farlo è adesso, e si può fare; non è più un sogno o un’aspirazione. Penso che vedremo sviluppi rapidi”.
Quattro senatori repubblicani hanno votato a favore della legge, rendendosi decisivi per la sua approvazione. Uno di loro, Mark J. Grisanti, ha spiegato: “Chiedo scusa a coloro che si sentano offesi. Ma non posso negare a un essere umano, a un contribuente, a un lavoratore, alla gente del mio collegio e di questo stato, lo stato di New York, e a coloro che lo rendono grande, gli stessi diritti che ho assieme a mia moglie”. Qualche giorno prima, il 23 giugno, il noto oncologo Umberto Veronesi asseriva che “l’omosessualità è una scelta consapevole e più evoluta. Quello omosessuale è l’amore puro”. Puro perché non finalizzato alla procreazione. Quando ho letto questa dichiarazione - che non è sostenibile sotto nessun profilo, né razionale né etico né morale - mi sono tornate alla mente le parole di un giovane omosessuale, il quale sosteneva che gli eterosessuali fossero i veri “diversi”.
Bontà sua.
La logica ed il buon senso sembrano essere andati a farsi benedire. Cosa ci sia di puro in una relazione omosessuale rispetto ad una eterosessuale non è dato di comprendere. Se la purezza dovesse essere legata alla procreazione, sarebbe irrazionale affermarne l’impurità, giacché grazie alla relazione uomo-donna la specie umana non si è ancora estinta, malgrado i tanti tentativi di clonazione e pseudo-scientifici per superare la dualità maschio-femmina e fare di tutta l’erba un fascio, con notevoli implicazioni sui piani psicologico, etico e scientifico.
Non c’è dubbio che l’omosessualità sia una tendenza. Ma che sia la “tendenza” del futuro o la chiave di volta verso la purezza dell’amore, francamente ci sembra una affermazione bizzarra, quasi un colpo di sole. E non v’è neppure dubbio che l’omosessualità, in sé, non sia da considerarsi sic et simpliciter un peccato contro natura, purché sia vissuta castamente, così come è richiesto agli eterosessuali, anche nel rapporto di coppia e matrimoniale, che resta la piattaforma su cui si sviluppa l’unione insuperabile fra uomo e donna, il concetto di famiglia, naturalmente aperto alla procreazione ed alla diversità.
Certo, si pone la questione democratica e civile di riconoscere alcuni diritti ad altre unioni, purché non si mettano sullo stesso piano e non si dia la medesima rilevanza a queste “unioni altre” rispetto al matrimonio fra un uomo ed una donna, civile o religioso. Il futuro dell’umanità è nelle mani delle unioni familiari, come anche la stabilità sociale. Le altre unioni o forme di affettività non vi equivalgono perché intrinsecamente e naturalmente sterili e chiuse alla diversità, come del resto testimoniano le tendenze agli uteri in affitto o alle adozioni alle coppie gay.

Salvatore Bernocco

Nel Tempo e nello spazio di Dio

Abbastanza denso di impegni e appuntamenti il mese di Giugno soprattutto in vista della conclusione dell’anno pastorale, della Messa di Prima Comunione (26 Giugno) e della Verifica, prima fra tutti il Convegno pastorale del 16 e 20 a Molfetta dove i nostri del Consiglio Pastorale hanno partecipato attivamente.
Si sono tenuti gli incontri a tutti i livelli (Consiglio pastorale per esaminare il questionario inviato dal centro diocesano, riunione dei catechisti e della pastorale giovanile fu l’organizzazione dell’Oratorio estivo che avrà inizi nei primi di Luglio e poi gli incontri con i genitori dei fanciulli di 1° comunione). I momenti eucaristici poi, soprattutto quello del 1° Giovedì del Mese ha avuto una intenzione particolare per il Papa che ha celebrato il suo 60° sacerdozio. Il giorno 21 poi un particolare pensiero abbiamo avuto nella preghiera per il Vescovo Don Gino di cui ricorreva la sua festa onomastica.
Il ritiro spirituale per i fanciulli di 1° Comunione avvenne presso il Santuario di
Calentano e momenti di fraternità si svolsero presso la villa Jazzo de Cesare per i
catechisti parrocchiali.
Tutti ci predisponemmo alla conclusione del mese al S. Cuore e alla processione eucaristica dell’Ottavario.
Tutto si concluse il 1° Luglio, venerdì e festa del S. Cuore.

Luca

Quaresima: risaliamo verso Gerusalemme

Miei Cari,
sul punto di introdurci nel cammino quaresimale col rito delle Ceneri, mi è venuto di pensare: un rito vuoto di significato o un momento forte per decisioni coraggiose e coerenti?
La quaresima infatti è sempre sinonimo, nel linguaggio cristiano, di «conversione» nel preciso senso di «ritorno» a Dio, alla sua Parola, al suo progetto sull’uomo e sulla sua storia; conversione è l’imperativo di oggi quando ormai è visibile e tragicamente concreto il fallimento di ogni tentativo di salvezza umana al di fuori o contro il messaggio evangelico, quando anche un cristianesimo scolorito e mescolato a tutte le esperienze e diluito nei compromessi quotidiani ha perso ogni credibilità.
Conversione diventa la parola d’ordine che scuote i cristiani assonnati e diventa metro di giudizio di comportamenti e di scelte concrete e quotidiane. Conversione è il valore della quaresima, è decisione coraggiosa e leale, impegno costante, verificato quotidianamente, perenne tensione di verità e coerenza, accettazione attenta della Parola di Dio come nuova strada di salvezza. Conversione esige una trasformazione totale dell’uomo, delle sue vedute e dei suoi gusti. Un primo passo è quello di mettersi sulla disposizione d’animo di volersi convertire; capire che non si può continuare a vivere in modo opaco e impersonale una fede che si annida soltanto in affermazioni di principio subito esaurite; capire che questo nostro cristianesimo che non suscita più nessuna meraviglia - come afferma il card. Tettamanzi- in nessuno e nemmeno in noi, è una maschera di cristianesimo, una contraffazione, un tradimento.
Tornare al Vangelo (di qui il pressante invito alle lezioni sul Vangelo che quindicinalmente si tengono la sera del Venerdì) così come Gesù lo ha vissuto e insegnato all’umanità: questo è il compito urgente che nessuno di noi può sostituire e che solo il cristiano è in grado di assolvere. Questo è il senso di una quaresima, cioè di un cammino verso Gerusalemme e la risurrezione.
Se tali sono i nostri convincimenti accostiamoci a ricevere le ceneri: “convertiamoci e crediamo al Vangelo”.
Buon cammino quaresimale.

Don Vincenzo


Un traguardo significativo per la Diocesi e per Mons. Luigi Martella: dieci anni di episcopato. Un decennio ricco di iniziative e di impegno, attraversato dal filo rosso della inculturazione della fede, che è l’autentica emergenza religiosa di questi nostri tempi, in cui molti si fanno un dio su misura o aderiscono a nessun dio.
Il Dio dei cristiani è stato soppiantato dagli idoli di sempre, da illusioni e chimere, e così è stato compito di Mons. Luigi Martella sostenere progetti formativi ed educativi. Egli si è contraddistinto per spiccata propensione alla carità evangelica, ripercorrendo le orme del Servo di Dio Don Tonino Bello, suo predecessore. Mons. Martella è stato molto attento al territorio.
La sua visita pastorale del 2006 lo ha portato anche nella nostra Comunità parrocchiale, di cui ha ben interpretato le potenzialità ed i bisogni. A Mons. Martella vanno i nostri sinceri e filiali auguri di ogni bene, con l’augurio che i legami fra noi e lui si rinsaldino sempre di più alla luce della Buona Notizia.
Il Consiglio Pastorale Parrocchiale

Al nostro Mons. GIRASOLI
Nunzio Apostolico in Zambia,
l’augurio per i suoi 30 anni di sacerdozio,
5 di episcopato e 25 di missione
presso le varie nunziature

8 marzo: il lungo cammino delle donne

8 marzo: il lungo cammino delle donne.
Le donne hanno conquistato diritti un tempo impensati. Spesso restano sulla carta: la variabile maternità, la conduzione della casa sono tra gli ostacoli più frequenti.
Dopo gli anni della rivoluzione femminile, l’euforia è calata, e ne sono segnali inquietanti i casi di donne che rifiutano i loro nati e spengono a volte anche la propria vita.
I diritti restano impediti dalla maternità, ostacolata dalla scarsa flessibilità nell’orario di lavoro, dalla difficoltà di conciliare carriera e famiglia.
Manca una vera politica della famiglia.
Nei sondaggi emerge che gli unici lavori dove la donna(solo però se giovanissima e carina) ha più opportunità anche in termini di guadagno sono quelli di modella, letterina, velina.
Brutto segno. Si falsifica l’immagine femminile, complici la televisione, la pubblicità, la stampa con l’ossessiva proposta della donna-oggetto, carina e ammiccante.
La falsificazione non riguarda soltanto il denudamento dei corpi. Il problema è lo sfruttamento continuo dell’immagine femminile in moltissimi campi, 24 ore su 24. In questo tempo-mercato i venditori, a tutti i livelli, cercano la donna come appoggio al prodotto da piazzare, più che come oggetto sessuale.
Accostano sempre un corpo femminile all’auto, alla birra, al profumo. E’ un codice falso. Tutto questo si riflette sui piccoli, sui bambinioggetto che presto imparano a vedere come oggetto le donne. Una rozza educazione sentimentale avuta attraverso telefilm e soap (innamoramenti facili, tradimenti a catena) crea modelli di comportamento sbagliati e per giunta illusori.
Un po’ come vedere – osserva il giornalista Pietro Gargano – la guerra in tv: fredda, distante, il sangue come macchie di colore.
Un ragazzino è portato lontano dal vero orrore, così come nel rapporto con la donna si ferma all’apparenza nemica della verità. Tv e certa stampa come fabbrica di donne falsificate, lontane dalla realtà? Sì, il cammino delle donne è ancora lungo.

ACCADDE CENT’ANNI FA
La Festa della Donna risale al 1911 quando, nell’incendio di
una fabbrica di New York, trovarono la morte 146 operaie.
Le lavoratrici; tra cui molte italiane emigrate, erano stipate in
stanzoni soffocanti senza sistemi di sicurezza. La tragedia
scatenò un putiferio, migliaia di operai sfilarono dietro il
funerale. I responsabili furono assolti e se la cavarono con
una manciata di dollari!

UN’ANTICA PRATICA RINNOVATA DAL CRISTIANESIMO

Il digiuno, affinchè la carne non prenda il sopravvento, può costituire un atto di religione e di culto. Fu praticato, prima del cristianesimo, tra i popoli orientali, i Romani, i Greci, gli Egiziani. Perché e quando digiunavano?
Gli antichi lo facevano per paura che i demoni acquistassero potere sull’uomo mentre questi mangia. Il digiuno era poi considerato come mezzo per prepararsi all’incontro con la divinità e riceverne oracoli e forze magiche. Si digiunava anche per scacciare i demoni maligni, e questa era forse la finalità del digiuno funebre. Ad Atene, in occasione della festa in onore di Demetra, era prescritto che le donne digiunassero per un giorno sedute a terra.La pratica del digiuno era diffusa presso gli antichi ebrei. C’era il digiuno funebre per la morte del defunto, c’era quello che preparava alla rivelazione divina. Ad esempio, Mosè digiuna 40 giorni e 40 notti prima di ricevere dal Signore i dieci comandamenti sul Sinai (Esodo 34,28).
Tuttavia, nell’A.T., il digiuno era per lo più espressione dell’umiliarsi dell’uomo di fronte a Dio, a scopo propiziatorio. In tempo di crisi tutto il popolo digiuna per allontanare da sé la calamità (Giudici 20,26). In particolari circostanze si fecero digiunare anche le bestie (Giona 3,5-8). Il digiuno era strettamente connesso con la preghiera, soprattutto se questa era penitenziale.
In ambito cristiano l’esempio fondamentale è quello di Gesù, che digiuna nel deserto 40 giorni e 40 notti (Matteo 4,2), e il digiuno è associato alla preghiera (Matteo 6,16-18).
Ben presto da pratica privata il digiuno diventò rito comunitario, come la preghiera: nella Didachè (fine del I secolo) si prescrive di digiunare mercoledì e venerdì. Inoltre si digiuna in ricorrenze significative: prima del battesimo, durante la quaresima, nella settimana santa.
Il tema del digiuno fu trasferito in senso spirituale soprattutto come segno di astinenza dal male. Nel cammino quaresimale è esercizio che libera volontariamente dai bisogni della vita terrena per riscoprire la necessità della vita che viene dal cielo.: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Lo leggiamo in Matteo 4,4, in Luca 4,4 e la liturgia ce lo proclama all’antifona di comunione della I Domenica di Quaresima.
Da alcuni anni ha preso piede il digiuno solidale, come privazione per soccorrere i poveri. Pratica saggia, mentre si parla di modificare i propri stili di vita per gli affamati della terra.

IL CONTRIBUTO DELLA CHIESA CATTOLICA ALL’UNITA’ D’ITALIA


Una breve riflessione che esuli dalla storia e si proietti nel futuro, volta a delineare il ruolo della Chiesa cattolica nell’Italia dei nostri giorni, un Paese fortemente segnato da una crisi di carattere morale, politico ed economico. Anche la cultura - spesso asservita ai potenti di turno – ne risente, per cui assume connotazioni ora laiciste ora oltranziste a seconda degli interessi sottostanti, mentre dovrebbe – il più possibile oggettivamente – indagare quale funzione e ruolo sociali ha svolto e può svolgere la Chiesa cattolica per contribuire – con tutti gli uomini di buona volontà – al superamento della crisi. Si badi bene che una crisi non è mai fine a se stessa, nel senso che non si esaurisce in sé, ma può essere – a certe
condizioni – il punto di inizio di un nuovo umanesimo e di un cristianesimo più vicino agli uomini ed alle donne di questo tempo, senza rinnegare la Tradizione ma rileggendola alla luce della misericordia di Dio e sotto gli stimoli potenti delle nuove esigenze di libertà che vanno affermando, spesso confusamente e disordinatamente. Una nuova stagione si è aperta grazie alla crisi, ed è come se un modo di essere persona – intriso di individualismo, secolarismo, relativismo etico – stia mostrando la corda, stia ormai tramontando e ne stia sorgendo uno nuovo, fondato sui valori eterni di pace, tolleranza, amore. Questo è un primo contributo che la Chiesa cattolica può dare alla società italiana: educare all’amore; far comprendere che l’amore è tale se si concretizza nel servizio al prossimo che soffre; nell’impedire che prenda il sopravvento una cultura della frammentazione del Paese fra aree ricche ed aree destinate al declino ed all’abbandono, perché l’Italia è una ed indivisibile pur nella propria estrema varietà. La cultura cattolica è il filo rosso che accomuna Nord e Sud, e sarebbe insensato – oltre che idiota – spingere
perché il federalismo fiscale in realtà non celi il disegno di una separazione delle sorti, sancisca una frattura che nessuno vuole, se non certa politica miope ed ignorante.
Lo Stato unitario avversò la Chiesa cattolica, ma oggi quello stesso Stato non può fare a meno di essa, della sua presenza, della figura responsabile, autorevole e pacificante del Santo Padre, dell’impegno disinteressato dei tanti sacerdoti, uomini di fede, religiosi e religiose che lavorano perché si affermi il primato della dignità della persona umana sull’economia, sulla politica, sul potere. Anzi, il potere è veramente tale se si converte in servizio, atteso che il potere è una pia illusione se non è utile agli altri. Resta solo da fare molta attenzione a non farsi tentare da pulsioni neotemporali. Il potere temporale dei Papi è finito da tempo, quello spirituale è destinato a durare.

Salvatore Bernocco


VERSO LA NOTTE TRICOLORE
In occasione delle manifestazioni indette dal Comune di Ruvo di Puglia - Assessorato alla Cultura Turismo e Pubblica Istruzione - per il 150° ANNIVERSARIO UNITA’ D’ITALIA, mercoledì 16 marzo, alle ore 20,00, nella nostra Parrocchia si terrà il concerto per Coro e Fiati
W V.E.R.D.I.
La nostra storia insieme
1861 - 2011

Con la Corale polifonica “M.Cantatore” e la Corale “V. G. Millico”
Maestro del coro: Angelo Anselmi
Ensamble di fiati “Giuseppe Verdi”
Direttore: Rino Campanale

Nel tempo e nello spazio di Dio

Ci introdusse in febbraio la bellissima celebrazione della Presentazione del Signore il cui significato ci fu ampiamente illustrato dal parroco, come anche il significato della luce. Ebbe inizio lo stesso giorno la novena alla Madonna di Lourdes che tanta devozione riscuote in città dai devoti che, per la maggior parte, si recano ogni anno a Lourdes. Il giorno 11, dopo la celebrazione presieduta dal Nunzio Apostolico Mons. Girasoli, seguì la processione «aux flambeaux» in piazza Castello: tantissimi partecipanti. Ci recammo per la celebrazione di S. Biagio in cattedrale, mentre ripresero regolarmente gli incontri di catechesi e le lezioni sul Vangelo che stiamo approfondendo con la guida del parroco. L’adorazione del 2° giovedì del mese e quella animata dal Gruppo di Preghiera di P. Pio diedero maggiormente vigore all’azione pastorale della comunità. Buona fu pure la partecipazione alla Settimana Biblica dal 13 al 17 febbraio; molto utile il ritorno alle tematiche delle Costituzioni conciliari. Ci ritrovammo infine in preghiera per la scomparsa di Maria Caputi, già ministra straordinaria della Comunione e catechista parrocchiale.

Luca

Anno XXV : per continuare il dialogo


Miei Cari,
è terminato da pochi giorni l’anno 2010 e sono tanti i sentimenti che ci accompagnano, mentre ripercorriamo con la memoria del cuore il cammino fatto giorno per giorno.
Nella vita di ognuno di noi ci sono giorni pieni di vento e di rabbia, pieni di gioia, di dolore e di lacrime, ma poi ci sono giorni pieni di amore che ci danno il coraggio di andare avanti per tutti gli altri giorni.
Sono questi che dobbiamo custodire in modo speciale; perché danno luce e forza a tutto quello che facciamo e siamo, alle nostre relazioni e ai nostri affetti, ai nostri progetti e ai nostri fallimenti.
Sono il dono nascosto, il dono più bello che possiamo offrire al nostro Redentore che continua a venire tra noi.
Tutti -mi auguro- ci siamo messi in cammino verso Betlemme alla luce di una stella che, ora tremula ora forte, brilla nel nostro cuore come certezza di vita e verità. Come i magi soffermiamoci davanti al Bambino che è nato, portando l’oro dei nostri giorni felici, l’incenso dei nostri giorni di pace, la mirra dei nostri giorni più tristi.
Si è poi aperto il nuovo anno ed il cammino è rivolto alla speranza del domani che è sempre l’oggi di Dio presente nella storia dell’uomo. L’oggi di Dio è sempre nuovo, perché Egli fa nuove tutte le cose: rende nuovo il cuore di ognuno di noi. Il nerume che la società stancamente ci offre deve essere cancellato; il grido dei poveri ascoltato, la sete e la fame di giustizia sociale devono essere necessariamente soddisfatti. Scrive José Castillo nel suo libro “La follia di Dio”: «Lo specchio del comportamento etico non è la propria coscienza, ma il volto di coloro che vivono con me»; quindi che io mi comporti bene, non è in base alla mia coscienza che potrebbe essere condizionata dalla morale, dalla religione, ma in base al volto del fratello che ho accanto. Se questo esprime pace, speranza, gioia e felicità, perché il mio comportamento genera tutto ciò, allora è evidente che il mio comportamento è eticamente corretto, anche se la coscienza può rimproverarmi qualcosa; dice S. Giovanni: “Anche se il nostro cuore ci rimprovera qualcosa, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa”.
Il nuovo anno appartiene alla speranza dell’uomo per evitare che sia rinchiuso nel bunker della disperazione. L’uomo ha il diritto di fare la sua strada nel tempo evitando di inabissarsi nel buio senza ritorno: il suo cammino è nel nuovo anno che è espressione di vita, di gioia, di vera umanità. Chi può negarci questi valori? Entriamo quindi nel nuovo anno, 25° dell’umile nostro giornale parrocchiale per far luce ed essere luce per quanti vanno alla ricerca del Redentore che sempre bussa alla porta dei nostri cuori.
È il mio augurio per il 2011.

Cordialmente
Don Vincenzo

Libertà religiosa, porta della pace

"Libertà religiosa, via per la pace”. Questo il tema scelto da papa Benedetto XVI per la Giornata mondiale per la pace del 2011.
La giornata che, dal 1968, si celebra il primo giorno di ogni anno, metterà dunque l’accento sul tema attualissimo della libertà religiosa. Mentre nel mondo si registrano diverse forme di limitazione o negazione della libertà religiosa, fino alla persecuzione e alla violenza contro le minoranze, questa “libertà delle libertà” va difesa con coraggio, specie dall’agressione dei fondamentalisti. La religiosità del fondamentalismo è in realtà una manipolazione e una strumentalizzazione della verità religiosa.
Come insegna il Concilio Vaticano II, “ognuno ha il dovere e quindi il diritto di cercare la verità in materia religiosa”(Dichiarazione Dignitatis humanae, n. 3). Un diritto fondamentale dell’uomo, presupposto per lo sviluppo umano integrale (Caritas in veritate, n. 29) e condizione per la realizzazione del bene comune e l’affermazione della pace nel mondo. Come a detto Benedetto XVI all’assemblea generale delle Nazioni Unite, “i diritti umani debbono includere il diritto di libertà religiosa, compreso come espressione di una dimensione che è al tempo stesso individuale e comunitaria, una visione che manifesta l’unità della persona, pur distinguendo chiaramente fra la dimensione di cittadino e quella di credente” (New York, 18 aprile 2008).
Oggi sono molte le aree del mondo in cui persistono forme di negazione o di limitazione alla libertà religiosa. “E’ inconcepibile – afferma il Papa – che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi, la loro fede, per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti”.
L’uomo non può essere frammentato, perché ciò in cui crede ha un impatto decisivo sulla sua vita e sulla sua persona. Osserva infatti Benedetto XVI: “Il rifiuto di riconoscere il contributo alla società che è radicato nella dimensione religiosa e nella ricerca dell’Assoluto, per sua stessa natura espressione della comunione fra persone, privilegerebbe indubbiamente un approccio individualistico e frammenterebbe l’unità della persona”.

Aldo Maria Valli

Il Santo Protettore del 2011 per la nostra Comunità:

San Pier Giuliano Eymard

Nasce a La Mure d’Isère (diocesi di Grenoble) nel 1811. Dopo aver frequentato il seminario diocesano viene ordinato sacerdote nel 1834. Nel 1839 entra nella nascente congregazione dei Padri Maristi a Lione, dove ben presto diventa il principale collaboratore del fondatore, padre Colin. Il suo ministero lo porterà nel 1851 a vivere un’intensa esperienza spirituale di devozione al Santissimo Sacramento nel santuario lionese di Fourvière. Deciso a coltivare la devozione all’Eucaristia, nel 1856 fonda la Congregazione del Santissimo Sacramento, che riceverà subito l’approvazione del vescovo diocesano e in seguito (1863) quella di papa Pio IX. Accanto all’adorazione del Santissimo i sacerdoti della congregazione si occupano dei poveri dei quartieri periferici di Parigi e dei preti in difficoltà. Per questi
religiosi anche nella formazione dei laici e nell’iniziazione degli adulti l’Eucaristia è sempre al centro della predicazione.
Pietro Giuliano Eymard morirà nella terra natale nel 1868. Viene canonizzato nel 1962 e nel 1995 entra nel calendario romano come “Apostolo dell’Eucaristia”.

25 anni di “FERMENTO”

Il 25.mo anno di continua ed assidua pubblicazione di “Fermento” è un evento importante da ricordare e da celebrare. Il sottotitolo della mensile “per la comunione e la partecipazione nella Parrocchia SS. Redentore di Ruvo di Puglia” sintetizza la finalità di questo strumento divulgativo delle attività parrocchiali. “Fermento” da un quarto di secolo crea spazi di riflessione e di dialogo, affidando alla memoria storica il cumulo degli eventi che segnano la vita quotidiana della parrocchia e della nostra città di Ruvo.
“Fermento” è stato ideato e promosso dal parroco Mons. Vincenzo Pellegrini, con l’approvazione del Servo di Dio, don Tonino Bello, a quel tempo Vescovo di Ruvo, che benedisse il sorgere della Rivista.
Durante questi venticinque anni “Fermento” è stato il testimone silenzioso, ma vivo di tanti importanti momenti che si sono svolti nella Parrocchia. Tra questi mi piace ricordare, tra gli altri, il Sinodo Parrocchiale, la presenza della veneratissima statua della Madonna dei Martiri di Molfetta e le varie solenni celebrazioni giubilari per il Centenario della chiesa del Redentore. Gli articoli di apertura del Parroco, raccolti anche in due pregevoli volumi, orientano spiritualmente i fedeli della parrocchia ed anche coloro che a vario titolo ricevono “Fermento” e sono sparsi un po’ dappertutto.
Per me che fin dal mio Battesimo sono “nato” nella Parrocchia SS. Redentore e alla quale mi uniscono tanti ricordi della mia infanzia, “Fermento” mi riporta ogni mese alla cronologia degli eventi ruvesi: è come tornare ogni volta alle origini e specialmente attraverso la rubrica dell’agenda parrocchiale assaporo il profumo della fede e delle tradizioni liturgiche del nostro popolo.
Un grato ringraziamento a Mons. Vincenzo Pellegrini e “all’equipe” editoriale, tutti conosciamo i sacrifici e le difficoltà per mantenere una pubblicazione mensile che
ci accompagna da 25 anni.
Auguri a “Fermento” affinchè possa continuare nel “tempo e nello spazio di Dio” ad essere uno strumento di comunione e di crescita della comunità parrocchiale.

+ Nicola Girasoli
Arcivescovo Titolare di Egnazia Appula,
Nunzio Apostolico in Zambia e Malawi

Ha mantenuto gli impegni

Il senso dell’esperienza di comunicazione denominata “Fermento” era chiaro fin dagli inizi.
Dopo 25 anni, a evitare un anniversario puramente celebrativo, ci sarebbe da chiedersi se la testata ha mantenuto gli impegni.
Tre le parole-chiave, le “direttrici portanti” indicate nell’editoriale del gennaio
1986: comunione, partecipazione,comunità. Scaturite – si annotava allora – dallo
spirito del Concilio Vaticano II che ha ripensato la Chiesa come popolo di Dio, riscoperto la dignità del battezzato e precisato le modalità della sua missione nel mondo.
Nero su bianco fin dal primo numero: “Fermento, mensile di Comunione per la partecipazione nella nostra Comunità”.
Non solo, dunque, strumento di collegamento e modo “per entrare nelle case e nel cuore di ogni parrocchiano, soprattutto gli anziani e gli ammalati”, ma “mezzo – sia
pure modestissimo – di comunione, per riaccendere le speranze e alimentare con la sua intima forza di penetrazione chi stenta a fare inversione di marcia e tornare a Gerusalemme per incontrarsi col Risorto e non mai stancarsi di cercarlo” nel
contemporaneo.
Ci sarebbe da chiedersi, a distanza di 25 anni, se questi intenti sono stati rispettati.
Sarebbe un modo provocatorio ma salutare – perché attento al passato e orientato al futuro – per celebrare l’anniversario: Fermento ha mantenuto gli impegni?
Io credo di sì. Ho visto crescere, in questi anni, la comunità di riferimento. Ho verificato al suo interno la vivacità e la sensibilità per la ricerca religiosa. Non è mancato l’approccio critico alle espressioni della cultura contemporanea. Ho constatato la capacità di interrogarsi e di affinare strategie pastorali nel corso dell’esperienza Sinodale e nel Centenario. Anche per via dei ripetuti coinvolgimenti, posso attestare la progressiva apertura al territorio e alle dimensioni che fanno la Chiesa itinerante e luogo di carità: la missionarietà, il volontariato, la solidarietà, l’accoglienza dello straniero… Elementi che attestano complessivamente la fedeltà all’impegno assunto.
Mai gloriarsi, però: comunione, partecipazione e comunità sono parole troppo pesanti per consentire di crogiolarsi nell’appagamento. Nuove sfide si prospettano, come altrettante pietre di paragone.
Hanno nomi ugualmente impegnativi ed esigenti, anche questi radicati nelle scelte conciliari. Tanto per ripartire da tre, provo a suggerire: povertà, testimonianza, salvaguardia del creato. A cui potrei aggiungere: collegialità, educazione, promozione del laicato.

Renato Brucoli

Un dialogo continuo

Con lodevole iniziativa 25 anni fa la comunità parrocchiale del SS.Redentore si è dotata di un foglio di collegamento e di riflessione che puntualmente è arrivato nelle case di tutti i parrocchiani, permettendo un dialogo tra il parroco e i fedeli, tra la vita della parrocchia e quella del quartiere. L’intento è posto in esergo citando l’apostolo Paolo: “Non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta?” (1 Cor. 5, 6). Ecco l’attesa posta in questo foglio, farne un po’ di lievito che possa fermentare tutta la comunità. E in questi 25 anni certamente la comunità è cresciuta, ed è cresciuta anche grazie alla comunicazione.
Del resto la modernità ha fatto della comunicazione un tratto fondamentale del suo essere.
Oggi siamo immersi nella comunicazione globale, l’uomo si è dato mezzi potenti di
comunicazione e di informazione, ma proprio perché questa influenza decisamente la
nostra vita, il nostro modo di pensare e il nostro modo di essere e di vivere, si fa più stringente la necessità di far udire una parola chiara ed efficace ispirata al Vangelo. Nel villaggio globale è necessario che la voce della comunità parrocchiale si coniughi con quella della Diocesi e della Chiesa italiana, è per questo che i cristiani oltre ad essere informati sulla vita parrocchiale devono aprirsi sempre di più all’informazione ecclesiale più ampia, per maturare un’opinione non distorta e sempre più aperta alla verità. Auguri a‘“Fermento” affinchè possa continuare ad essere voce sul territorio parrocchiale. Ma qui voglio esprimere l’augurio a tutti quelli che materialmente lo pensano e lo fanno, conoscendo la fatica silenziosa che pongono nel redigere questo foglio.

Domenico Amato

Insieme da cinque lustri

Cinque lustri, ben venticinque anni di riflessioni teologiche e pastorali, di interventi in materia di religione, di politica, di società, con un occhio particolare alla nostra città, Ruvo di Puglia, alla quale sento di dover augurare tempi migliori, un nuovo inizio in coincidenza con il nuovo anno.
Venticinque anni di collaborazioni qualificate, di articoli che hanno fatto riflettere e aperto i cuori alla speranza, di esortazioni ed appunti scritti da uomini prestigiosi ed amici del calibro di Mons. Antonio Bello, Servo di Dio, Mons. Loris Capovilla, i Vescovi che si sono succeduti negli anni, Mons. Negro e Mons. Luigi Martella, l’editore Renato Brucoli, e molti altri.
L’elenco sarebbe lungo. Ma il principale collaboratore ed artefice di “Fermento” è Don Vincenzo Pellegrini, nostro parroco, che con le sue lettere cordiali apre i numeri di “Fermento” ed accompagna il lettore nelle sue pagine, appena quattro, ma tutte consistenti e stimolanti.
Esso non è un giornale o un periodico di vacuità e vanità, ma un mezzo di coesione
spirituale e di collegamento delle anime fra di loro. È elemento di unità e favorisce la partecipazione nel momento in cui giunge nelle case degli ammalati e dei loro familiari, fra le mani di chi necessita di una parola di conforto e di speranza. Non sono mancati in questi anni gli spunti positivamente critici nei riguardi di certe realtà locali in cui pareva assente l’elemento della ricerca del bene comune.
“Fermento” ha stigmatizzato comportamenti immorali ed incoerenti, ha denunciato fatti ed episodi in distonia con l’etica cristiana, usando sempre il metro della misericordia e con tatto ed eleganza, senza mai scadere nel turpiloquio e nel criticismo esasperato. È una caratteristica del nostro periodico: educare evitando di cadere nel moralismo di comodo ed in quel perbenismo di facciata che nuocciono alla fede e che semmai sono funzionali all’ingrassamento della religione, intesa come sistema di regole, norme e prescrizioni farisaiche che uccidono lo spirito piuttosto che vivificarlo. La vera religione, il vero rapporto con Dio fa a meno dell’apparenza e si fonda sulla verità dell’amore, sulla concretezza del gesto di carità e sull’efficacia della parola, vissuta e comunicata con mansuetudine e rispetto.
“Fermento” ha veicolato queste idee in tutti questi anni, distinguendosi per la qualità degli interventi e facendo, con molta umiltà, da cassa di risonanza qualificata alle esortazioni della Chiesa, agli insegnamenti del Papa e dei Vescovi.
“Fermento” è quindi stimolo di crescita spirituale, morale e culturale, strumento di comunione e partecipazione da un significativo arco di tempo. Se questo cammino è stato possibile, lo si deve ai suoi collaboratori. Penso, in questo momento, a chi mi ha preceduto, a Margherita Miraglino, come a tutti coloro che si sono prodigati e si prodigano per diffonderne il messaggio.
Il mio primo articolo per “Fermento” risale al lontano aprile del 1988. Scrissi di Aldo Moro, invitato a farlo da Don Vincenzo. Una collaborazione occasionale è divenuta una prassi che mi sta a cuore, un appuntamento con la Comunità a cui non posso far mancare il mio modesto contributo di idee e di impegno.
Alla collaborazione con Don Vincenzo e a “Fermento” devo molto. Scrivendo di cose spirituali sono cresciuto nella fede e sono stato “costretto” a leggere di più, ad informarmi di più per essere all’altezza della missione di divulgare la Buona Notizia attraverso la buona stampa. Leggendo gli articoli di “Fermento”, mi si sono aperti percorsi di maturità umana e cristiana.
“Fermento” raggiunge amiche ed amici che vivono in Italia e all’estero.
A tutti costoro, a quanti ci leggono, ai collaboratori di ieri e di oggi, a quanti si adoperano per diffonderne i contenuti, va il mio sincero ringraziamento ed il mio affetto, nella speranza di percorrere insieme ancora un bel tratto di strada.

Salvatore Bernocco

“Non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente” 2 Cor. 3,3

Partecipo con gioia al coro di auguri e volentieri faccio giungere le mie felicitazioni alla redazione di “Fermento” per il traguardo dei 25 anni! La tentazione è quella di cedere ai ricordi e al racconto delle emozioni della mia adolescenza quando il giornale parrocchiale nasceva per volontà dell’allora neo-parroco don Vincenzo ma forse non è il caso e non c’è il tempo.
D’altronde le nostre celebrazioni anniversarie rischiano spesso di farci accomodare sui divani del già fatto senza riuscire ad indicare un oltre; sono miopi di futuro.
Certamente l’anniversario di Fermento è l’anniversario della tenacia di un parroco che nonostante le mille difficoltà di una piccola parrocchia del centro, in un piccolo paese dell’entroterra, ha continuato a diffondere per venticinque anni il seme di una buona parola nel cuore dei suoi fedeli. Di questo va dato atto al nostro
don Vincenzo. Chi si è mai cimentato nell’avventura di un giornale parrocchiale sa bene quant’è difficile continuare e quanto invece è insidiosa la tentazione di lasciar perdere… Invece da questi venticinque anni di ininterrotta fedeltà all’impegno di raccontare la comunità e riflettere sulla storia della parrocchia e del paese emerge tutta la tenacia e l’amore per la propria comunità di un prete. Il “resoconto ordinato” di una bella notizia incarnata nel nostro territorio da tanti anni; la storia della Chiesa‘(universale e locale) rivissuta nella nostra piccola comunità.
Emerge altresì un dato pro-vocatorio per il contesto attuale: in un mondo dove ci si prende e ci si molla con una grande facilità, in cui gli impegni (anche quelli più solenni) vengono puntualmente disattesi, in cui la parola data dura il tempo di un respiro qui c’è invece forte riproposizione di valori che sembrano ormai insignificanti: la costanza e la fedeltà. Se penso alla fatica nel reperimento degli articoli, all’impaginazione del materiale, alla diffusione capillare nel territorio parrocchiale, alle spese di stampa e a tante altre difficoltà puntualmente superate allora credo che la comunità tutta dovrebbe un “Grazie” grande a don Vincenzo per questo esempio di fedeltà e di zelo pastorale. Fermento è diventato in questi anni il bigliettino da visita della nostra parrocchia e un’eredità importante per chi ne farà parte in quelli futuri (parroci e fedeli)!
Il mio augurio oltre che un compiacimento per quanto fatto fin’ora vuol essere, come dicevo all’inizio, anche una provocazione a riflettere. Il fatto di aver prodotto un giornale parrocchiale e di essere rimasti fedeli all’opera iniziata può rischiare di far diventare questa l’iniziativa ostinata di un bravo parroco che crede al valore della buona stampa ma che deve farlo senza perdere il passo della comunità, dando voce a tutte le componenti della comunità: anche a quelle che dovessero graffiare, provocare o stonare nel coro. Nelle comunità come nelle famiglie si sa c’è sempre il
brontolone, lo scontento, il polemico e anche questi il padre ama e ascolta! In caso contrario Fermento rischierebbe di diventare un treno che nella sua corsa perde man mano le carrozze! Rischierebbe di diventare, come tanta carta stampata oggi in Italia, un giornale-specchio in cui ci si compiace narcisisticamente delle proprie realizzazioni. L’augurio più bello e allo stesso tempo più profetico che mi sento di rivolgere al nostro Fermento è allora quello di passare dal giornale di carta al giornale di carne. Lo dico con le parole di San Paolo ai Corinti: “Voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori” (2 Cor. 3,3).
Non pesanti pietre o montagne di carta ma il calore del cuore; inchiostro invisibile quello dello Spirito ma efficace! Proprio come il fermento nella pasta, non credete?

Angelo Mazzone

Perdonare senza misura

La prima parola della quinta domanda inizia con una preposizione, un prefisso: “ri-metti”. Due lettere sole che significano: di nuovo, ancora, da capo, un’altra volta, senza stancarti. Indicano il cammino che riprende, nonostante tutto. Due lettere sole, “ri”, che sono le più tipiche del cristianesimo e creano un’infinità di nuove parole proprie del vocabolario cristiano: riconciliazione, ri-surrezione, redenzione, ri-generazione, rinnovamento, ri-nascita. La stessa parola re-ligione.
E’ un prefisso che genera futuro in tutte le notti del presente; che ha la sua origine nella instancabile fedeltà di Dio, si fonda sulla sua fiducia incrollabile nell’uomo. Questo minimo prefisso annuncia che il percorso non si arresta, che l’amore non si arrende, non capitola, non disarma: nuovi inizi sono sempre possibili, per grazia.
Non c’è nulla e nessuno di definitivamente perduto. Vivere è l’infinità pazienza di ricominciare.
Il verbo originale che nel Vangelo esprime l’atto del perdonare è il greco afìemi, che indica il mettere spontaneamente in libertà una persona o qualcosa di cui si può
disporre. La sua radice è composta da un verbo di moto, indica il ripartire, l’andare da un luogo all’altro, è il salpare della nave, la freccia che scocca, la carovana che si mette in moto, l’aquila che si lancia in volo, è liberare verso il futuro.
Il significato è molto bello: Dio non è colui che, pur sentendosi offeso, perdona, colui che non tiene conto dell’offesa, che fa come se nulla fosse successo. Dio perdona come un liberatore, non come uno smemorato. Dio ti lancia in avanti, ti fa salpare verso albe intatte, offre possibilità nuove, è un supplemento di energia. Il perdono evangelico concerne il futuro, più che il passato. Così il sacramento della
Riconciliazione è rivolto non tanto ai peccati passati, quanto alla strada che si apre davanti, non si riduce a un colpo di spugna per ieri, ma vuole essere energia per domani. Come faceva l’uomo di Galilea? Alla donna colta in adulterio dice. “Vai e d’ora in avanti non peccare più”. Ciò che conta è d’ora in avanti. A lui interessa il futuro della persona, che è terra vergine capace di infinite primavere. Nell’adultera lui vede la donna ancora capace di amare bene.
Per Gesù il bene possibile d’ora in avanti conta di più del male di ieri. L’uomo non coincide con il suo peccato, ma con le sue più alte possibilità. Non è a immagine del peccato, ma a immagine di Dio. Tu sei più di ciò che hai realizzato, tu sei ciò che puoi diventare.
Gesù non banalizza la colpa, non dice: “Tanto lo fanno tutti”. Ma il superamento del male avviene riaprendo il futuro, ridonando innocenza, il superamento dell’inverno è con la primavera che semina germogli. Nessuno rimane innocente tutta la vita, ma a tutti l’innocenza è ridonata.
L’innocenza non si conserva, si riconquista. Gesù scommette sul futuro della persona. E dice a ciascuno: tu non sei i tuoi peccati, la tua vita non equivale ai tuoi fallimenti, l’uomo non coincide con i suoi sbagli, ma con i suoi ideali. Il bene possibile vale di più del male reale. Più ancora che a temere la zizzania, ci insegna a credere nel buon grano che germoglia nel cuore. A questo stile dobbiamo attingere per colorare di divino i nostri gesti.
Ciò che fa problema tuttavia non è il perdono da parte di Dio, garantito da tutto il Vangelo. Ciò che fa problema è il nostro perdono. “Quante volte Signore, dovrò perdonare a mio fratello? Fino a sette volte?”. Il limite tradizionale, per il pio ebreo, era di perdonare tre volte; i migliori rabbini avevano innalzato questo limite a sette volte. Pietro con questa domanda già si colloca tra i più bravi, i migliori. E Gesù spiazza la sua sicurezza: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”. La misura del perdono è perdonare senza misura.

P. Ermes Ronchi