Anno XXV : per continuare il dialogo


Miei Cari,
è terminato da pochi giorni l’anno 2010 e sono tanti i sentimenti che ci accompagnano, mentre ripercorriamo con la memoria del cuore il cammino fatto giorno per giorno.
Nella vita di ognuno di noi ci sono giorni pieni di vento e di rabbia, pieni di gioia, di dolore e di lacrime, ma poi ci sono giorni pieni di amore che ci danno il coraggio di andare avanti per tutti gli altri giorni.
Sono questi che dobbiamo custodire in modo speciale; perché danno luce e forza a tutto quello che facciamo e siamo, alle nostre relazioni e ai nostri affetti, ai nostri progetti e ai nostri fallimenti.
Sono il dono nascosto, il dono più bello che possiamo offrire al nostro Redentore che continua a venire tra noi.
Tutti -mi auguro- ci siamo messi in cammino verso Betlemme alla luce di una stella che, ora tremula ora forte, brilla nel nostro cuore come certezza di vita e verità. Come i magi soffermiamoci davanti al Bambino che è nato, portando l’oro dei nostri giorni felici, l’incenso dei nostri giorni di pace, la mirra dei nostri giorni più tristi.
Si è poi aperto il nuovo anno ed il cammino è rivolto alla speranza del domani che è sempre l’oggi di Dio presente nella storia dell’uomo. L’oggi di Dio è sempre nuovo, perché Egli fa nuove tutte le cose: rende nuovo il cuore di ognuno di noi. Il nerume che la società stancamente ci offre deve essere cancellato; il grido dei poveri ascoltato, la sete e la fame di giustizia sociale devono essere necessariamente soddisfatti. Scrive José Castillo nel suo libro “La follia di Dio”: «Lo specchio del comportamento etico non è la propria coscienza, ma il volto di coloro che vivono con me»; quindi che io mi comporti bene, non è in base alla mia coscienza che potrebbe essere condizionata dalla morale, dalla religione, ma in base al volto del fratello che ho accanto. Se questo esprime pace, speranza, gioia e felicità, perché il mio comportamento genera tutto ciò, allora è evidente che il mio comportamento è eticamente corretto, anche se la coscienza può rimproverarmi qualcosa; dice S. Giovanni: “Anche se il nostro cuore ci rimprovera qualcosa, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa”.
Il nuovo anno appartiene alla speranza dell’uomo per evitare che sia rinchiuso nel bunker della disperazione. L’uomo ha il diritto di fare la sua strada nel tempo evitando di inabissarsi nel buio senza ritorno: il suo cammino è nel nuovo anno che è espressione di vita, di gioia, di vera umanità. Chi può negarci questi valori? Entriamo quindi nel nuovo anno, 25° dell’umile nostro giornale parrocchiale per far luce ed essere luce per quanti vanno alla ricerca del Redentore che sempre bussa alla porta dei nostri cuori.
È il mio augurio per il 2011.

Cordialmente
Don Vincenzo

Libertà religiosa, porta della pace

"Libertà religiosa, via per la pace”. Questo il tema scelto da papa Benedetto XVI per la Giornata mondiale per la pace del 2011.
La giornata che, dal 1968, si celebra il primo giorno di ogni anno, metterà dunque l’accento sul tema attualissimo della libertà religiosa. Mentre nel mondo si registrano diverse forme di limitazione o negazione della libertà religiosa, fino alla persecuzione e alla violenza contro le minoranze, questa “libertà delle libertà” va difesa con coraggio, specie dall’agressione dei fondamentalisti. La religiosità del fondamentalismo è in realtà una manipolazione e una strumentalizzazione della verità religiosa.
Come insegna il Concilio Vaticano II, “ognuno ha il dovere e quindi il diritto di cercare la verità in materia religiosa”(Dichiarazione Dignitatis humanae, n. 3). Un diritto fondamentale dell’uomo, presupposto per lo sviluppo umano integrale (Caritas in veritate, n. 29) e condizione per la realizzazione del bene comune e l’affermazione della pace nel mondo. Come a detto Benedetto XVI all’assemblea generale delle Nazioni Unite, “i diritti umani debbono includere il diritto di libertà religiosa, compreso come espressione di una dimensione che è al tempo stesso individuale e comunitaria, una visione che manifesta l’unità della persona, pur distinguendo chiaramente fra la dimensione di cittadino e quella di credente” (New York, 18 aprile 2008).
Oggi sono molte le aree del mondo in cui persistono forme di negazione o di limitazione alla libertà religiosa. “E’ inconcepibile – afferma il Papa – che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi, la loro fede, per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti”.
L’uomo non può essere frammentato, perché ciò in cui crede ha un impatto decisivo sulla sua vita e sulla sua persona. Osserva infatti Benedetto XVI: “Il rifiuto di riconoscere il contributo alla società che è radicato nella dimensione religiosa e nella ricerca dell’Assoluto, per sua stessa natura espressione della comunione fra persone, privilegerebbe indubbiamente un approccio individualistico e frammenterebbe l’unità della persona”.

Aldo Maria Valli

Il Santo Protettore del 2011 per la nostra Comunità:

San Pier Giuliano Eymard

Nasce a La Mure d’Isère (diocesi di Grenoble) nel 1811. Dopo aver frequentato il seminario diocesano viene ordinato sacerdote nel 1834. Nel 1839 entra nella nascente congregazione dei Padri Maristi a Lione, dove ben presto diventa il principale collaboratore del fondatore, padre Colin. Il suo ministero lo porterà nel 1851 a vivere un’intensa esperienza spirituale di devozione al Santissimo Sacramento nel santuario lionese di Fourvière. Deciso a coltivare la devozione all’Eucaristia, nel 1856 fonda la Congregazione del Santissimo Sacramento, che riceverà subito l’approvazione del vescovo diocesano e in seguito (1863) quella di papa Pio IX. Accanto all’adorazione del Santissimo i sacerdoti della congregazione si occupano dei poveri dei quartieri periferici di Parigi e dei preti in difficoltà. Per questi
religiosi anche nella formazione dei laici e nell’iniziazione degli adulti l’Eucaristia è sempre al centro della predicazione.
Pietro Giuliano Eymard morirà nella terra natale nel 1868. Viene canonizzato nel 1962 e nel 1995 entra nel calendario romano come “Apostolo dell’Eucaristia”.

25 anni di “FERMENTO”

Il 25.mo anno di continua ed assidua pubblicazione di “Fermento” è un evento importante da ricordare e da celebrare. Il sottotitolo della mensile “per la comunione e la partecipazione nella Parrocchia SS. Redentore di Ruvo di Puglia” sintetizza la finalità di questo strumento divulgativo delle attività parrocchiali. “Fermento” da un quarto di secolo crea spazi di riflessione e di dialogo, affidando alla memoria storica il cumulo degli eventi che segnano la vita quotidiana della parrocchia e della nostra città di Ruvo.
“Fermento” è stato ideato e promosso dal parroco Mons. Vincenzo Pellegrini, con l’approvazione del Servo di Dio, don Tonino Bello, a quel tempo Vescovo di Ruvo, che benedisse il sorgere della Rivista.
Durante questi venticinque anni “Fermento” è stato il testimone silenzioso, ma vivo di tanti importanti momenti che si sono svolti nella Parrocchia. Tra questi mi piace ricordare, tra gli altri, il Sinodo Parrocchiale, la presenza della veneratissima statua della Madonna dei Martiri di Molfetta e le varie solenni celebrazioni giubilari per il Centenario della chiesa del Redentore. Gli articoli di apertura del Parroco, raccolti anche in due pregevoli volumi, orientano spiritualmente i fedeli della parrocchia ed anche coloro che a vario titolo ricevono “Fermento” e sono sparsi un po’ dappertutto.
Per me che fin dal mio Battesimo sono “nato” nella Parrocchia SS. Redentore e alla quale mi uniscono tanti ricordi della mia infanzia, “Fermento” mi riporta ogni mese alla cronologia degli eventi ruvesi: è come tornare ogni volta alle origini e specialmente attraverso la rubrica dell’agenda parrocchiale assaporo il profumo della fede e delle tradizioni liturgiche del nostro popolo.
Un grato ringraziamento a Mons. Vincenzo Pellegrini e “all’equipe” editoriale, tutti conosciamo i sacrifici e le difficoltà per mantenere una pubblicazione mensile che
ci accompagna da 25 anni.
Auguri a “Fermento” affinchè possa continuare nel “tempo e nello spazio di Dio” ad essere uno strumento di comunione e di crescita della comunità parrocchiale.

+ Nicola Girasoli
Arcivescovo Titolare di Egnazia Appula,
Nunzio Apostolico in Zambia e Malawi

Ha mantenuto gli impegni

Il senso dell’esperienza di comunicazione denominata “Fermento” era chiaro fin dagli inizi.
Dopo 25 anni, a evitare un anniversario puramente celebrativo, ci sarebbe da chiedersi se la testata ha mantenuto gli impegni.
Tre le parole-chiave, le “direttrici portanti” indicate nell’editoriale del gennaio
1986: comunione, partecipazione,comunità. Scaturite – si annotava allora – dallo
spirito del Concilio Vaticano II che ha ripensato la Chiesa come popolo di Dio, riscoperto la dignità del battezzato e precisato le modalità della sua missione nel mondo.
Nero su bianco fin dal primo numero: “Fermento, mensile di Comunione per la partecipazione nella nostra Comunità”.
Non solo, dunque, strumento di collegamento e modo “per entrare nelle case e nel cuore di ogni parrocchiano, soprattutto gli anziani e gli ammalati”, ma “mezzo – sia
pure modestissimo – di comunione, per riaccendere le speranze e alimentare con la sua intima forza di penetrazione chi stenta a fare inversione di marcia e tornare a Gerusalemme per incontrarsi col Risorto e non mai stancarsi di cercarlo” nel
contemporaneo.
Ci sarebbe da chiedersi, a distanza di 25 anni, se questi intenti sono stati rispettati.
Sarebbe un modo provocatorio ma salutare – perché attento al passato e orientato al futuro – per celebrare l’anniversario: Fermento ha mantenuto gli impegni?
Io credo di sì. Ho visto crescere, in questi anni, la comunità di riferimento. Ho verificato al suo interno la vivacità e la sensibilità per la ricerca religiosa. Non è mancato l’approccio critico alle espressioni della cultura contemporanea. Ho constatato la capacità di interrogarsi e di affinare strategie pastorali nel corso dell’esperienza Sinodale e nel Centenario. Anche per via dei ripetuti coinvolgimenti, posso attestare la progressiva apertura al territorio e alle dimensioni che fanno la Chiesa itinerante e luogo di carità: la missionarietà, il volontariato, la solidarietà, l’accoglienza dello straniero… Elementi che attestano complessivamente la fedeltà all’impegno assunto.
Mai gloriarsi, però: comunione, partecipazione e comunità sono parole troppo pesanti per consentire di crogiolarsi nell’appagamento. Nuove sfide si prospettano, come altrettante pietre di paragone.
Hanno nomi ugualmente impegnativi ed esigenti, anche questi radicati nelle scelte conciliari. Tanto per ripartire da tre, provo a suggerire: povertà, testimonianza, salvaguardia del creato. A cui potrei aggiungere: collegialità, educazione, promozione del laicato.

Renato Brucoli

Un dialogo continuo

Con lodevole iniziativa 25 anni fa la comunità parrocchiale del SS.Redentore si è dotata di un foglio di collegamento e di riflessione che puntualmente è arrivato nelle case di tutti i parrocchiani, permettendo un dialogo tra il parroco e i fedeli, tra la vita della parrocchia e quella del quartiere. L’intento è posto in esergo citando l’apostolo Paolo: “Non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta?” (1 Cor. 5, 6). Ecco l’attesa posta in questo foglio, farne un po’ di lievito che possa fermentare tutta la comunità. E in questi 25 anni certamente la comunità è cresciuta, ed è cresciuta anche grazie alla comunicazione.
Del resto la modernità ha fatto della comunicazione un tratto fondamentale del suo essere.
Oggi siamo immersi nella comunicazione globale, l’uomo si è dato mezzi potenti di
comunicazione e di informazione, ma proprio perché questa influenza decisamente la
nostra vita, il nostro modo di pensare e il nostro modo di essere e di vivere, si fa più stringente la necessità di far udire una parola chiara ed efficace ispirata al Vangelo. Nel villaggio globale è necessario che la voce della comunità parrocchiale si coniughi con quella della Diocesi e della Chiesa italiana, è per questo che i cristiani oltre ad essere informati sulla vita parrocchiale devono aprirsi sempre di più all’informazione ecclesiale più ampia, per maturare un’opinione non distorta e sempre più aperta alla verità. Auguri a‘“Fermento” affinchè possa continuare ad essere voce sul territorio parrocchiale. Ma qui voglio esprimere l’augurio a tutti quelli che materialmente lo pensano e lo fanno, conoscendo la fatica silenziosa che pongono nel redigere questo foglio.

Domenico Amato

Insieme da cinque lustri

Cinque lustri, ben venticinque anni di riflessioni teologiche e pastorali, di interventi in materia di religione, di politica, di società, con un occhio particolare alla nostra città, Ruvo di Puglia, alla quale sento di dover augurare tempi migliori, un nuovo inizio in coincidenza con il nuovo anno.
Venticinque anni di collaborazioni qualificate, di articoli che hanno fatto riflettere e aperto i cuori alla speranza, di esortazioni ed appunti scritti da uomini prestigiosi ed amici del calibro di Mons. Antonio Bello, Servo di Dio, Mons. Loris Capovilla, i Vescovi che si sono succeduti negli anni, Mons. Negro e Mons. Luigi Martella, l’editore Renato Brucoli, e molti altri.
L’elenco sarebbe lungo. Ma il principale collaboratore ed artefice di “Fermento” è Don Vincenzo Pellegrini, nostro parroco, che con le sue lettere cordiali apre i numeri di “Fermento” ed accompagna il lettore nelle sue pagine, appena quattro, ma tutte consistenti e stimolanti.
Esso non è un giornale o un periodico di vacuità e vanità, ma un mezzo di coesione
spirituale e di collegamento delle anime fra di loro. È elemento di unità e favorisce la partecipazione nel momento in cui giunge nelle case degli ammalati e dei loro familiari, fra le mani di chi necessita di una parola di conforto e di speranza. Non sono mancati in questi anni gli spunti positivamente critici nei riguardi di certe realtà locali in cui pareva assente l’elemento della ricerca del bene comune.
“Fermento” ha stigmatizzato comportamenti immorali ed incoerenti, ha denunciato fatti ed episodi in distonia con l’etica cristiana, usando sempre il metro della misericordia e con tatto ed eleganza, senza mai scadere nel turpiloquio e nel criticismo esasperato. È una caratteristica del nostro periodico: educare evitando di cadere nel moralismo di comodo ed in quel perbenismo di facciata che nuocciono alla fede e che semmai sono funzionali all’ingrassamento della religione, intesa come sistema di regole, norme e prescrizioni farisaiche che uccidono lo spirito piuttosto che vivificarlo. La vera religione, il vero rapporto con Dio fa a meno dell’apparenza e si fonda sulla verità dell’amore, sulla concretezza del gesto di carità e sull’efficacia della parola, vissuta e comunicata con mansuetudine e rispetto.
“Fermento” ha veicolato queste idee in tutti questi anni, distinguendosi per la qualità degli interventi e facendo, con molta umiltà, da cassa di risonanza qualificata alle esortazioni della Chiesa, agli insegnamenti del Papa e dei Vescovi.
“Fermento” è quindi stimolo di crescita spirituale, morale e culturale, strumento di comunione e partecipazione da un significativo arco di tempo. Se questo cammino è stato possibile, lo si deve ai suoi collaboratori. Penso, in questo momento, a chi mi ha preceduto, a Margherita Miraglino, come a tutti coloro che si sono prodigati e si prodigano per diffonderne il messaggio.
Il mio primo articolo per “Fermento” risale al lontano aprile del 1988. Scrissi di Aldo Moro, invitato a farlo da Don Vincenzo. Una collaborazione occasionale è divenuta una prassi che mi sta a cuore, un appuntamento con la Comunità a cui non posso far mancare il mio modesto contributo di idee e di impegno.
Alla collaborazione con Don Vincenzo e a “Fermento” devo molto. Scrivendo di cose spirituali sono cresciuto nella fede e sono stato “costretto” a leggere di più, ad informarmi di più per essere all’altezza della missione di divulgare la Buona Notizia attraverso la buona stampa. Leggendo gli articoli di “Fermento”, mi si sono aperti percorsi di maturità umana e cristiana.
“Fermento” raggiunge amiche ed amici che vivono in Italia e all’estero.
A tutti costoro, a quanti ci leggono, ai collaboratori di ieri e di oggi, a quanti si adoperano per diffonderne i contenuti, va il mio sincero ringraziamento ed il mio affetto, nella speranza di percorrere insieme ancora un bel tratto di strada.

Salvatore Bernocco

“Non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente” 2 Cor. 3,3

Partecipo con gioia al coro di auguri e volentieri faccio giungere le mie felicitazioni alla redazione di “Fermento” per il traguardo dei 25 anni! La tentazione è quella di cedere ai ricordi e al racconto delle emozioni della mia adolescenza quando il giornale parrocchiale nasceva per volontà dell’allora neo-parroco don Vincenzo ma forse non è il caso e non c’è il tempo.
D’altronde le nostre celebrazioni anniversarie rischiano spesso di farci accomodare sui divani del già fatto senza riuscire ad indicare un oltre; sono miopi di futuro.
Certamente l’anniversario di Fermento è l’anniversario della tenacia di un parroco che nonostante le mille difficoltà di una piccola parrocchia del centro, in un piccolo paese dell’entroterra, ha continuato a diffondere per venticinque anni il seme di una buona parola nel cuore dei suoi fedeli. Di questo va dato atto al nostro
don Vincenzo. Chi si è mai cimentato nell’avventura di un giornale parrocchiale sa bene quant’è difficile continuare e quanto invece è insidiosa la tentazione di lasciar perdere… Invece da questi venticinque anni di ininterrotta fedeltà all’impegno di raccontare la comunità e riflettere sulla storia della parrocchia e del paese emerge tutta la tenacia e l’amore per la propria comunità di un prete. Il “resoconto ordinato” di una bella notizia incarnata nel nostro territorio da tanti anni; la storia della Chiesa‘(universale e locale) rivissuta nella nostra piccola comunità.
Emerge altresì un dato pro-vocatorio per il contesto attuale: in un mondo dove ci si prende e ci si molla con una grande facilità, in cui gli impegni (anche quelli più solenni) vengono puntualmente disattesi, in cui la parola data dura il tempo di un respiro qui c’è invece forte riproposizione di valori che sembrano ormai insignificanti: la costanza e la fedeltà. Se penso alla fatica nel reperimento degli articoli, all’impaginazione del materiale, alla diffusione capillare nel territorio parrocchiale, alle spese di stampa e a tante altre difficoltà puntualmente superate allora credo che la comunità tutta dovrebbe un “Grazie” grande a don Vincenzo per questo esempio di fedeltà e di zelo pastorale. Fermento è diventato in questi anni il bigliettino da visita della nostra parrocchia e un’eredità importante per chi ne farà parte in quelli futuri (parroci e fedeli)!
Il mio augurio oltre che un compiacimento per quanto fatto fin’ora vuol essere, come dicevo all’inizio, anche una provocazione a riflettere. Il fatto di aver prodotto un giornale parrocchiale e di essere rimasti fedeli all’opera iniziata può rischiare di far diventare questa l’iniziativa ostinata di un bravo parroco che crede al valore della buona stampa ma che deve farlo senza perdere il passo della comunità, dando voce a tutte le componenti della comunità: anche a quelle che dovessero graffiare, provocare o stonare nel coro. Nelle comunità come nelle famiglie si sa c’è sempre il
brontolone, lo scontento, il polemico e anche questi il padre ama e ascolta! In caso contrario Fermento rischierebbe di diventare un treno che nella sua corsa perde man mano le carrozze! Rischierebbe di diventare, come tanta carta stampata oggi in Italia, un giornale-specchio in cui ci si compiace narcisisticamente delle proprie realizzazioni. L’augurio più bello e allo stesso tempo più profetico che mi sento di rivolgere al nostro Fermento è allora quello di passare dal giornale di carta al giornale di carne. Lo dico con le parole di San Paolo ai Corinti: “Voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori” (2 Cor. 3,3).
Non pesanti pietre o montagne di carta ma il calore del cuore; inchiostro invisibile quello dello Spirito ma efficace! Proprio come il fermento nella pasta, non credete?

Angelo Mazzone

Perdonare senza misura

La prima parola della quinta domanda inizia con una preposizione, un prefisso: “ri-metti”. Due lettere sole che significano: di nuovo, ancora, da capo, un’altra volta, senza stancarti. Indicano il cammino che riprende, nonostante tutto. Due lettere sole, “ri”, che sono le più tipiche del cristianesimo e creano un’infinità di nuove parole proprie del vocabolario cristiano: riconciliazione, ri-surrezione, redenzione, ri-generazione, rinnovamento, ri-nascita. La stessa parola re-ligione.
E’ un prefisso che genera futuro in tutte le notti del presente; che ha la sua origine nella instancabile fedeltà di Dio, si fonda sulla sua fiducia incrollabile nell’uomo. Questo minimo prefisso annuncia che il percorso non si arresta, che l’amore non si arrende, non capitola, non disarma: nuovi inizi sono sempre possibili, per grazia.
Non c’è nulla e nessuno di definitivamente perduto. Vivere è l’infinità pazienza di ricominciare.
Il verbo originale che nel Vangelo esprime l’atto del perdonare è il greco afìemi, che indica il mettere spontaneamente in libertà una persona o qualcosa di cui si può
disporre. La sua radice è composta da un verbo di moto, indica il ripartire, l’andare da un luogo all’altro, è il salpare della nave, la freccia che scocca, la carovana che si mette in moto, l’aquila che si lancia in volo, è liberare verso il futuro.
Il significato è molto bello: Dio non è colui che, pur sentendosi offeso, perdona, colui che non tiene conto dell’offesa, che fa come se nulla fosse successo. Dio perdona come un liberatore, non come uno smemorato. Dio ti lancia in avanti, ti fa salpare verso albe intatte, offre possibilità nuove, è un supplemento di energia. Il perdono evangelico concerne il futuro, più che il passato. Così il sacramento della
Riconciliazione è rivolto non tanto ai peccati passati, quanto alla strada che si apre davanti, non si riduce a un colpo di spugna per ieri, ma vuole essere energia per domani. Come faceva l’uomo di Galilea? Alla donna colta in adulterio dice. “Vai e d’ora in avanti non peccare più”. Ciò che conta è d’ora in avanti. A lui interessa il futuro della persona, che è terra vergine capace di infinite primavere. Nell’adultera lui vede la donna ancora capace di amare bene.
Per Gesù il bene possibile d’ora in avanti conta di più del male di ieri. L’uomo non coincide con il suo peccato, ma con le sue più alte possibilità. Non è a immagine del peccato, ma a immagine di Dio. Tu sei più di ciò che hai realizzato, tu sei ciò che puoi diventare.
Gesù non banalizza la colpa, non dice: “Tanto lo fanno tutti”. Ma il superamento del male avviene riaprendo il futuro, ridonando innocenza, il superamento dell’inverno è con la primavera che semina germogli. Nessuno rimane innocente tutta la vita, ma a tutti l’innocenza è ridonata.
L’innocenza non si conserva, si riconquista. Gesù scommette sul futuro della persona. E dice a ciascuno: tu non sei i tuoi peccati, la tua vita non equivale ai tuoi fallimenti, l’uomo non coincide con i suoi sbagli, ma con i suoi ideali. Il bene possibile vale di più del male reale. Più ancora che a temere la zizzania, ci insegna a credere nel buon grano che germoglia nel cuore. A questo stile dobbiamo attingere per colorare di divino i nostri gesti.
Ciò che fa problema tuttavia non è il perdono da parte di Dio, garantito da tutto il Vangelo. Ciò che fa problema è il nostro perdono. “Quante volte Signore, dovrò perdonare a mio fratello? Fino a sette volte?”. Il limite tradizionale, per il pio ebreo, era di perdonare tre volte; i migliori rabbini avevano innalzato questo limite a sette volte. Pietro con questa domanda già si colloca tra i più bravi, i migliori. E Gesù spiazza la sua sicurezza: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”. La misura del perdono è perdonare senza misura.

P. Ermes Ronchi

Nel Mese

Introdotte con la novena dell’Immacolata, ebbero inizio dal 4 dicembre le solenni
Quarantore che registrarono la presenza di gran parte della comunità che il vescovo don Gino incontrò per l’eucarestia del 6 dicembre, 60° anniversario della Dedicazione della nostra chiesa parrocchiale. Ci incontrammo poi per la messa di ringraziamento nell’anniversario sacerdotale del parroco don Vincenzo (7 dicembre) e molto partecipate furono le celebrazioni del giorno dell’Immacolata. Insieme gli incontri di catechesi ad ogni livello, ci fu anche l’allestimento del presepe da parte dei membri del Gruppo famiglia. Anche la novena del Natale fu abbastanza partecipata, come anche la Messa della Vigilia tradizionalmente celebrata alle 5,30 del 24.
La notte di Natale fra i tanti partecipanti vi fu la presenza del sindaco ing. Michele Stragapede che resse l’ombrello d’onore alla statuetta di Gesù Bambino portato processionalmente al presepe allestito in Piazza Castello.
Eseguita dal coro parrocchiale in questo periodo è stata la Messa pastorale del Maestro Michele Cantatore, ormai entrata a far parte del repertorio natalizio della nostra città. Bene organizzata fu poi la festa della Santa Famiglia in ogni suo dettaglio. Il parroco non mancò di esortare ancora le numerose famiglie presenti a
ispirarsi continuamente alla Famiglia di Nazareth per superare difficoltà e incomprensioni ed essere sempre all’altezza della stupenda missione educativa ai figli che il Signore ha dato loro in affidamento.
Molto belle le serate ricreative presso le sale parrocchiali organizzate dai vari membri del Gruppo famiglia. Molto successo ha riscosso poi il Presepe Vivente che i confratelli di S. Rocco e non solo, hanno realizzato nel nostro centro storico. Molta l’affluenza. Il 31 dicembre l’intera comunità si ritrovò per l’Eucarestia e il canto del Te Deum preceduto dalla Preghiera di fine d’anno composta da Don Tonino.

Luca