AL SEPOLCRO NON INCONTRERAI IL RISORTO

Miei Cari,
la gioia della Pasqua pervade l’animo di ciascuno di noi, nonostante le difficoltà del momento che stiamo vivendo. Il mai dimenticato ed amato Don Tonino di cui ricorderemo il giorno 20 aprile, l’anniversario del suo pio transito, ci sussurra ancora di guardare le gemme che stanno spuntando più che le foglie morte che in autunno sono ai piedi degli alberi. È Pasqua! Se Maria Maddalena si fosse recata al sepolcro un giorno prima -scrive con arguzia un teologo contemporaneo- avremmo celebrato la Pasqua un giorno prima. Non si è recata al sepolcro subito dopo la sepoltura perché è ancora condizionata dall’osservanza della legge, il riposo del sabato.
L’osservanza di essa ha impedito di sperimentare subito la potenza della vita che c’era in Gesù, una vita capace di superare la morte. L’osservanza del sabato ritarda l’esperienza della nuova creazione inaugurata da Gesù. L’espressione “il primo giorno della settimana” richiama infatti il primo giorno della creazione, quella che non conosce la morte, né la fine. Il recarsi al sepolcro quando era ancora buio: le tenebre sono immagine dell’incomprensione della Comunità che ancora non ha compreso Gesù che si è definito “luce del mondo”, il suo messaggio, la sua verità. Corre dai discepoli Pietro e l’altro discepolo (che non ci è lecito battezzare col nome di Giovanni, ma colui che ha fatto l’esperienza dell’amore di Gesù, al contrario di Pietro che ha rifiutato di farsi lavare i piedi e quindi non ha voluto accettare l’amore che Gesù ha espresso nel servizio) si recano al sepolcro. L’unico posto dove non dovevano andare. Nel Vangelo di Luca viene espresso chiaramente dagli uomini che frenano le donne che vanno al sepolcro, “perché cercate tra i morti colui che è vivo?” Pietro e l’altro discepolo vanno in cerca del Signore nell’unico posto dove Lui non c’è, nel luogo cioè della morte.
Se si piange la persona come morta, cioè se ci si rivolge al sepolcro, non la si può sperimentare viva e vivificante nella propria esistenza.
I discepoli non avevano compreso la Scrittura, che cioè Egli doveva risorgere dai morti; la preoccupazione dell’evangelista Giovanni è che si possa credere alla risurrezione di Gesù solo vedendo i segni della sua vittoria sulla morte.
Ma, miei Cari, la risurrezione di Gesù non è un privilegio concesso a qualche personaggio duemila anni fa, ma una possibilità per tutti i credenti.
L’accoglienza del Vangelo, la radicalizzazione di questo messaggio nella vita di ciascuno di noi, la nostra trasformazione ci permettono di avere una vita di una qualità tale che ci fa poi sperimentare il Risorto nella nostra esistenza. Non si crede che Gesù è risorto perché c’è un sepolcro vuoto, ma soltanto se lo si incontra vivo e vivificante nella nostra vita, pur sempre ricordando che la nostra risurrezione non si fonda solo su quella di Gesù, ma anche sulla sua Incarnazione. Perché, con l’eternità entrata nel tempo e l’infinito nello spazio (di Maria), anche il nostro tempo ha aggiunto sapore di eterno e il nostro limite si è rivestito di illimitato.
È il mio auspicio, il mio augurio.

Don Vincenzo