4 Ottobre: ricordando Carlo Carretto

LE “DUE VITE” DI FRATEL CARLO

Di Carlo Carretto (Alessandria, 2 aprile 1910 - Spello 4 ottobre 1988) mi tormentano ancora i suoi vivi e penetranti occhi che mi fulminarono in quel lontano incontro di Assisi, durante un raduno mondiale dei giovani francescani. Erano gli occhi di un contemplativo, di un uomo e di un credente che, dall’azione umana ed ecclesiale energica e profetica, passò al totale dono di sé. Quegli occhi con cui guardava e contemplava le stelle che brillavano nel luminoso cielo del Sahara, il deserto algerino dove per dieci anni visse e si formò alla scuola dei fratelli di Charles de Foucauld. Sì, fratel Carlo era appassionato di astri, di quelle stelle, riflettenti l’unica Luce dell’unica Stella (Cristo), che divennero guide per la sua esistenza e dei tanti giovani che sono saliti a Spello dove visse la “seconda parte” della sua vita, dopo la permanenza, faticosa e performativa, nell’eremo africano. In una lettera ai famigliari del giugno 1974, così spiega e sintetizza la scelta della vita religiosa e contemplativa: «Con me Dio usò una tattica diversa. Prima chiese la mia azione, poi chiese me. Nel primo (periodo) mi trovai a lavorare nella Chiesa come un crociato, sentivo di contare qualcosa e mi buttavo nell’azione con la passione di un innamorato. […] Ma lui, il Signore… mi attendeva al varco. Mi sentii dire da lui: “Carlo, non voglio più la tua azione, voglio te”. E mi trovai nel deserto, come in un secondo periodo della mia vita, a svuotarmi delle mie sicurezze e a liberarmi dagli idoli. E’ stata la più splendida avventura della mia vita, anche se la più rude e dolorosa. Dal deserto le cose si vedono meglio, con proporzioni più eterne. Il cosmo prende il posto del tuo paese natio e Dio diventa davvero un Assoluto. Anche la Chiesa si dilata alle dimensioni dell’universo e i lontani, cioè coloro che non sono ancora visibilmente cristiani, diventano vicini».

Un amore viscerale per la Chiesa 
Schiettezza, libertà interiore e radicalità evangelica lo portarono ad amare e correggere gli uomini di Chiesa e l’umanità con forza, fedeltà ed umiltà. Carlo Carretto, come Francesco d’Assisi, sognava una Chiesa che avesse gli stessi sogni di Dio, il sogno dell’amore, sempre, comunque. Combattuto tra amore alla “sua” Chiesa e sofferenze per le incomprensioni e le innegabili lontananze evangeliche di alcuni uomini di Chiesa, scriveva così, pregno di amore e dolore, sogni e speranze: «Quanto sei contestabile, Chiesa, eppure quanto ti amo! Quanto mi hai fatto soffrire, eppure quanto a te devo! Vorrei vederti distrutta, eppure ho bisogno della tua presenza. Mi hai dato tanti scandali, eppure mi hai fatto capire la santità! Nulla ho visto nel mondo di più oscurantista, più compromesso, più falso e nulla ho toccato di più puro, di più generoso, di più bello». La Chiesa, amata e contestata da fratel Carlo, è santa e peccatrice, umana ed errante. Ma è proprio questa “dualità” (la santità della Chiesa perché è di Cristo, ed il peccato della Chiesa perché fatta di uomini e peccatori) che lo ha fatto innamorare perdutamente di Dio. «Quante volte ho avuto voglia di sbatterti in faccia la porta della mia anima - diceva idealmente alla Chiesa - e quante volte ho pregato di poter morire tra le tue braccia sicure. No, non posso liberarmi di te, perché sono te, pur non essendo completamente te. E poi, dove andrei? A costruirne un’altra? Ma non potrò costruirla se non con gli stessi difetti, perché sono i miei che porto dentro. E se la costruirò sarà la mia chiesa, non più quella di Cristo. L’altro ieri un amico ha scritto una lettera ad un giornale: “Lascio la Chiesa perché, con la sua compromissione con i ricchi non è più credibile”. Mi fa pena! O è un sentimentale che non ha esperienza e lo scuso; o è un orgoglioso che crede di essere migliore degli altri. Nessuno di noi è credibile finché è su questa terra. San Francesco urlava: “Tu mi credi santo, e non sai che posso ancora avere dei figli con una prostituta, se Cristo non mi sostiene”. La credibilità non è degli uomini, è solo di Dio e del Cristo. Degli uomini è la debolezza e semmai la buona volontà di fare qualcosa di buono con l’aiuto della grazia che sgorga dalle vene invisibili della Chiesa visibile. Forse la Chiesa di ieri era migliore di quella di oggi? Forse la Chiesa di Gerusalemme era più credibile di quella di Roma?».

Il sogno della fragilità 
Il sogno di Carlo Carretto si è imbattuto nell’amore del Padre che ama la fragilità, la debolezza, l’infedeltà della sua creatura. Ciò che deve farci amare la Chiesa e l’uomo è il perdono di Dio e la quotidiana risurrezione che lo Spirito Santo opera nella storia e negli uomini nonostante il peccato. Scriveva, ancora, il contemplativo del Subasio: «Quando ero giovane non capivo perché Gesù, nonostante il rinnegamento di Pietro, lo volle capo, suo successore, primo papa. Ora non mi stupisco più e comprendo sempre meglio che aver fondato la Chiesa sulla tomba di un traditore, di un uomo che si spaventa per le chiacchiere di una serva, era un avvertimento continuo per mantenere ognuno di noi nell’umiltà e nella coscienza della propria fragilità. No, non vado fuori di questa Chiesa fondata su una pietra così debole, perché ne fonderei un’altra su una pietra ancora più debole che sono io». La forza che vince la fragilità umana è la stessa di Cristo, ribadiva Carretto, una forza di sostegno e di trasformazione interiore: «Ma - continuava - c’è ancora un’altra cosa che forse è la più bella. Lo Spirito santo che è l’Amore, è capace di vederci santi, immacolati, belli, anche se vestiti da mascalzoni e adulteri. Il perdono di Dio, quando ci tocca, fa diventare trasparente Zaccheo il pubblicano, e immacolata la Maddalena, la peccatrice. È come se il male non avesse potuto toccare la profondità metafisica dell’uomo. È come se l’Amore avesse impedito di lasciare imputridire l’anima lontana dall’amore. “Io ho buttato i tuoi peccati dietro le mie spalle” dice Dio a ciascuno di noi, e continua: “Ti ho amato di un amore eterno, per questo ti ho riservato la mia bontà. Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata, vergine Israele” (Ger 31,3-4). Ecco, ci chiama “Vergini” anche quando siamo di ritorno dall’ennesima prostituzione nel corpo e nello spirito e nel cuore. In questo Dio è veramente Dio, cioè l’unico capace di fare le “cose nuove”. Perché non m’importa che Lui faccia i cieli e la terra nuovi, e più necessario che faccia “nuovi” i nostri cuori. E questo è il lavoro di Cristo. E questo è il lavoro divino della Chiesa. Volete voi impedire questo “far nuovi i cuori”, scacciando qualcuno dall’assemblea del popolo di Dio? O volete, voi, cercando altro luogo più sicuro, mettervi in pericolo di perdervi lo Spirito?». Il segreto di questo profeta, moderno e scomodo, è svelato dalle parole del suo amico Leonello Radi: «L’attività principale di Carlo Carretto erano le otto ore di preghiera al giorno. L’ho trasportato non so quante volte con il mio maggiolino rosso. Durante il viaggio si conversava e, soprattutto, si pregava».

Francesco Armenti