S. GIUSEPPE : A DIO NON SI CHIEDE PERCHE’...

Miei Cari,
Si parla poco di S. Giuseppe; quasi mai. Anche il Vangelo è molto avaro sul suo conto e ne dà alcune scarse indicazioni sufficienti a sapere che è esistito e che ha svolto la sua missione di custode di Gesù e di sposo di Maria. Poche notizie, qualche piccola apparizione nel racconto destinato ad altri avvenimenti. Ci sono due momenti che forse sono i più indicativi e rivelano tutta la grandezza dell’uomo e tutto il mistero di Dio che si manifesta a Lui e a chi vuole vivere nella fede. (È il momento del dubbio sulla sua promessa sposa, quando il segno di un amore casto e fedele sembra rompersi nella realtà della maternità di Maria, e, più tardi, il non capire la risposta di Gesù quando viene ritrovato a Gerusalemme dopo tre giorni di ansiosa ricerca). S. Giuseppe ci invita ad essere molto attenti alle voci interiori; bisogna avere una lunga esperienza del silenzio, del vocabolario di Dio e del suo linguaggio per accorgersi e per capire l’annuncio che viene così inaspettato nel momento in cui sembra tutto crollare e distruggere i sogni nutriti per tanto tempo: è nell’interiorità e nell’umiltà, nella disponibilità e nell’apertura cordiale ai segni di Dio che si può imparare a distinguere le tracce vere da quelle false e seguire, nell’intrecciarsi confuso di linee contorte, l’indicazione precisa della volontà di Dio. (Conta di più la voce di Dio che S. Giuseppe sa capire e decifrare; conta la sua fede in Dio che mantiene le promesse, anche dinanzi alla parola stessa del suo Figlio Gesù che si meraviglia dell’angosciosa ricerca dei genitori: “Perché mi cercavate?”). Dio è sconvolgente: nemmeno l’autorità paterna e materna ha valore, nemmeno le leggi più sacrosante tengono ancora. A Dio non si chiede perché, ma soltanto la luce per guardare con i suoi occhi e pensare con la sua mente, per mettersi dalla sua parte o leggere finalmente nel senso giusto la nostra storia altrimenti incomprensibili. S. Giuseppe affida a noi una lezione di giustizia, di umiltà e obbedienza a Dio. In un tempo di corsa al successo, di ricerca affannosa di potere, di prestigio, di gloria, la figura di S. Giuseppe è un forte richiamo ai veri valori. Il suo silenzio, la sua fiducia illimitata, il suo aderire totale all'imprevedibile disegno di Dio, sono tracce eloquenti e ben visibili che oggi indicano all'uomo onesto e credente la lunga strada che conduce alla vita.

don Vincenzo

Papa Francesco: "IL CAMMINO NEOCATECUMENALE è un gran bene nella Chiesa"

"Quanta solitudine, quanta sofferenza, quanta lontananza da Dio in tante periferie dell’Europa e dell’America e in tante città dell’Asia!”. Lo ha detto il Papa nell’udienza concessa al cammino neocatecumenale. “Io oggi confermo la vostra chiamata, sostengo la vostra missione e benedico il vostro carisma”, ha detto Jorge Mario Bergoglio, e sottolineando, in merito alla missio ad gentes dei neocatecumenali, che bisogna “passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria” per evitare che “le acque ristagnino nella Chiesa”. “Io oggi confermo la vostra chiamata. Lo faccio non perché lui Kiko mi ha pagato, ma perché voglio farlo”, ha detto, tra gli applausi, il Papa prima di benedire sacerdoti e famiglie in partenza per missioni di evangelizzazione. “Andrete in nome di Cristo in tutto il mondo a portare il suo Vangelo: Cristo vi preceda, vi accompagni e porti a compimento quella salvezza di cui siete portatori!”. Dopo aver ringraziato i fondatori del cammino, Kiko Arguello e Carmen Hernandez, presenti in prima fila insieme a Padre Mario Pezzi e accanto a quattro cardinali (Vallini, Filoni, Rouco Varela e Cordes), “per quanto, attraverso il Cammino, stanno facendo a beneficio della Chiesa”, “io dico sempre – ha scandito il Papa tra gli applausi – che il cammino neocatecumenale fa un grande bene nella Chiesa”. Le comunità missionarie, ha ricordato il Papa, “sono formate da un presbitero e da quattro o cinque famiglie, con i figli anche grandi, e costituiscono una missio ad gentes, con un mandato per evangelizzare i non cristiani: i non cristiani che mai hanno sentito parlare di Gesù Cristo e i tanti cristiani che hanno dimenticato chi era e chi è Gesù Cristo. Non-cristiani battezzati, ma ai quali la secolarizzazione, la mondanità e tante altre cose – ha sottolineato il Papa – hanno fatto dimenticare la fede. Svegliate quella fede”. Per il Papa, il mondo di oggi ha “estremo bisogno” del messaggio cristiano: “Quanta solitudine, quanta sofferenza, quanta lontananza da Dio in tante periferie dell’Europa e dell’America e in tante città dell’Asia! Quanto bisogno ha l’uomo di oggi, in ogni latitudine, di sentire che Dio lo ama e che l’amore è possibile! Queste comunità cristiane, grazie a voi famiglie missionarie, hanno il compito essenziale di rendere visibile questo messaggio, Cristo è risorto, Cristo vive, Cristo è vivo tra noi”. Il Cammino neocatecumenale, “un vero dono della Provvidenza alla Chiesa dei nostri tempi, come hanno già affermato i miei predecessori”, ha ribadito il Papa, citando in particolare Giovanni Paolo II, “poggia su quelle tre dimensioni della Chiesa che sono la parola, la liturgia e la comunità. Perciò l’ascolto obbediente e costante della parola di Dio; la celebrazione eucaristica in piccole comunità dopo i primi vespri della domenica - ha detto il Papa subito seguito dagli applausi - la celebrazione delle lodi in famiglia nel giorno di domenica con tutti i figli e la condivisione della propria fede con altri fratelli sono all’origine dei tanti doni che il Signore ha elargito a voi, così come le numerose vocazioni al presbiterato e alla vita consacrata”. Il Papa ha poi sottolineato: “In diverse occasioni ho insistito sulla necessità che la Chiesa ha di passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria. Quante volte nella Chiesa abbiamo Gesù dentro e non lo lasciamo uscire. Quante volte. Questa è la cosa più importante da fare se non vogliamo che le acque ristagnino nella Chiesa”. L’udienza è stata introdotta dai consueti canti dei neocatecumenali e da un articolato discorso di Kiko Arguello: “Spero di essere breve…”, ha premesso il fondatore del Cammino, che ha poi indicato al Papa i vari gruppi nazionali presenti nell’aula delle udienze. Tra gli australiani Kiko ha sottolineato che spuntava anche un canguro di gomma. Il Papa ha concluso l’udienza benedicendo le comunità con duecentocinquanta famiglie in partenza per la missione.

I. S.


2013 - 2015: Secondo Anniversario 
GRAZIE, SIGNORE, PER PAPA FRANCESCO 

Grazie, Signore, per il dono che ci hai fatto scegliendo per noi Papa Francesco.
Grazie per il suo modo di dirci le cose più importanti, con la più disarmante semplicità.
Grazie per averci fatto trovare in lui una guida, un maestro, ma ancor prima un testimone.
Grazie per i suoi “Buongiorno”, “Buon appetito”, “Perdono”, “Scusa”, “Per favore”…che ci insegnano quanto sia importante far rivivere i più quotidiani rapporti umani con un po’ di rispetto, di attenzione e di cortesia.
Grazie per il suo sorriso costante, per la sua gioia di incontrarci, per la sua umiltà e il suo spirito di servizio; per quella amabilità così vera e spontanea che tanto bene ci richiama la Tua misericordia.
Grazie per gli inviti a liberarci dalle pastoie dei formalismi e delle burocrazie, a conoscere la libertà nella verità e tornare ad essere noi più fratelli, e i Tuoi vescovi e sacerdoti meno funzionari e più pastori.
Grazie per quando chiede ai nostri giovani di rifiutare la logica del tornaconto e del potere, la tentazione dell’apatia e dell’indifferenza, e di tornare a sognare, a rischiare per i grandi ideali, a mettere Cristo al centro dei loro progetti.
Grazie per il suo esempio e i suoi inviti a familiarizzare con gli ultimi, i diversi, gli emarginati…. coloro con i quali Tuo Figlio Gesù più profondamente si identifica.
Grazie, Signore, per averci donato Papa Francesco, un Pastore secondo il Tuo Cuore.

F. I.

IL GREMBIULE DEL SERVIZIO

La C.A.S.A. ha dato rifugio e conforto non solo a giovani tossicodipendenti ma a tante altre persone “che fanno fatica a tenere il passo”: anziani abbandonati, alcolizzati e minori a rischio. Lo scorso 8 dicembre a Ruvo di Puglia sono stati festeggiati i 30 anni (8 dicembre 1984-2014)della nascita della “Comunità C.A.S.A. don Tonino Bello” (Comunità di Accoglienza, Solidarietà e Amicizia): una struttura di recupero per tossicodipendenti e persone disagiate che mons. Tonino Bello desiderò fortemente, all’inizio utilizzando sulla provinciale Ruvo-Terlizzi, e successivamente trasferendosi, il 5 luglio 1987, presso l’attuale sede, al Parco del Conte. L’anniversario è stato celebrato con una serie di iniziative che si sono succedute lungo tutto il mese di dicembre: dalla celebrazione della Santa Messa presieduta dal Vescovo mons. Luigi Martella, ad incontri di riflessione e spettacolo con la presenza tra gli altri di padre Alex Zanotelli (grande amico di don Tonino), don Renato Sacco (attuale coordinatore nazionale di Pax Christi) e don Luigi Ciotti (fondatore di Libera). “Accogliere” è stata la parola d’ordine che don Tonino – così vorrà sempre farsi chiamare, anche quando diventa nel 1982 vescovo di Molfetta, Ruvo e Giovinazzo – mette in primo piano nel suo compito di sacerdote tra la gente: vede le tante difficoltà dei poveri, degli extracomunitari, dei disadattati, dei tanti “scartati” e non esita ad indossare “il grembiule del servizio”. Per chi è senza un tetto, don Tonino non indugia ad aprire le porte della sua residenza di Vescovo; non teme di schierarsi accanto agli operai delle acciaierie che rischiano di perdere il posto di lavoro; fraternizza con le persone appartenenti ad altre religioni; alza la voce contro ogni forma di violenza e in favore della pace. Fedele e coerente fino in fondo con il messaggio evangelico, si trova ad affrontare difficoltà ed incomprensioni e a creare imbarazzo perfino in certi ambienti curiali, diventando un “vescovo scomodo”. La stessa scelta di aprire una struttura per i tossicodipendenti e le persone ai margini della società è stata vissuta da don Tonino con molta tenacia e impegno, mosso da quel sogno di poter dare ad ogni giovane – soprattutto a quelli che vagano incerti alla ricerca di sé stessi – “un’ala di riserva” per riprendere a volare in alto. “Non è un paradosso – scriveva don Tonino Bello pochi mesi prima dell’inaugurazione della C.A.S.A.: dalla droga ci potrà liberare solo una “overdose” di preghiera. E’ solo voler affermare che, senza un supplemento d’anima, anche le strutture più articolate sono destinate a fallire (…). La casa che sorge, pertanto, più che alla nostra borsa fa appello alla nostra vita. Più che le nostre tasche, vuole scomodare il nostro spirito. Più che sulla generosità di pochi, conta sulla conversione di tutti. Perché… siamo un po’ tutti “alle dipendenze” di qualcosa: dei soldi, dei vizi, dell’egoismo, dei mille vitelli d’oro che ci siamo costruiti nel deserto della vita. (….) Solo se nelle vene del nostro impegno inietteremo fiale abbondanti di preghiera, che non è mai rinuncia ma è sempre protesta e ansia di libertà, la droga, che è assurda tragedia per dimissione, verrà finalmente sconfitta. E non sarà lontano il giorno in cui, invece della inaugurazione, celebreremo la chiusura della Casa. Accompagneremo al cancello l’ultimo drogato restituito alla speranza. E gli diremo in coro che vivere è bello”. La C.A.S.A. in questi 30 anni ha dato rifugio e conforto non solo a giovani tossicodipendenti ma a tante altre persone “che fanno fatica a tenere il passo”: anziani abbandonati, alcolizzati e minori a rischio. Tra mille vicissitudini, problemi anche economici ed entusiasmi, la Comunità “C.A.S.A. Don Tonino Bello” è una grande realtà, riconosciuta a livello nazionale. Essa rappresenta una scelta coraggiosa che è servita a strappare dalla sofferenza e dal fallimento tante vite grazie all’impegno personale di don Tonino, agli sforzi della Diocesi e soprattutto a una lunga lista di persone dedite nel tempo a garantire continuità di presenza ed operosità, in collaborazione con le istituzioni sociali locali.

TEMPO LIBERO O TEMPO VUOTO?

I bambini sanno come occupare il loro tempo libero, ammesso e non concesso che ne abbiano ancora e che non sia rigidamente programmato da madri e padri: giocare. Si concentrano sul gioco e non fanno altro, in particolare non sono abitati da pensieri molesti e spesso funesti, quelli che invece turbinano nelle menti degli adulti. Il gioco è spazio concesso alla fantasia, all’immaginazione. Nel gioco il bambino è presente con tutto sé stesso e non si cura d’altro. Non così vanno le cose per gli adulti, il cui minimo comune denominatore è lo stress (distress), uno stato di disagio che può comportare conseguenze anche molto gravi. Lo stress più pericoloso è quello psichico, generato da un’attività cerebrale ipertensiva alla cui base vi sono ansietà ed un eccesso di pensieri disfunzionali, cioè che non ci aiutano a vivere meglio le nostre giornate normalmente troppo occupate e decentrate. Ecco, l’assenza di tempo libero è o assenza di desiderio di avere uno spazio da dedicare a sé o incremento dell’attività, cioè del negotium, termine latino che indica l’occuparsi dei propri affari perché non sarebbe tollerabile disporre di tempo libero. Contrapposto al negotium vi è l’otium, cioè un’occupazione principalmente votata alla ricerca intellettuale. Accanto alla ricerca intellettuale mettiamoci la dimensione spirituale, la cura della sfera psicologica e di quella fisica, perché siamo un unicum che o cresce tutto o appassisce tutto. Uno squilibrio in un ambito per fatto osmotico si trasferirebbe nelle altre sfere, determinando condizioni favorenti l’alienazione, un sentimento d’essere altro dal vero sé e di vivere una vita dimezzata, insignificante, inutile, dolorosa. Il termine otium oggi vuol dire altro. Per ozio intendiamo l’assenza di attività, più precisamente, secondo il vocabolario Treccani, «in genere, astensione dalle occupazioni utili, per un periodo più o meno lungo o anche abitualmente, per indole pigra, indolente. In particolare, in teologia morale, tendenza alla pigrizia e alla omissione dei propri doveri, la cui gravità è in relazione a ciò che per ozio viene trascurato». Ora, quando disponiamo di tempo libero dobbiamo fare in modo che sia tempo di grazia e di crescita, tempo di autentico riposo dello e nello spirito. Non tempo ozioso, padre dei vizi. Non tempo vuoto che si allarga a dismisura dinanzi ai programmi televisivi, alle chat, ai social network, speso a girarsi i pollici sulla poltrona di casa. Il vuoto esistenziale si fa più vuoto ed acuto se non viene colmato da attività esistenzialmente utili, quali una buona lettura, una sana meditazione, l’attività fisica, la preghiera del cuore. La meditazione rasserena la mente, ordinariamente caotica e rigida, come sostiene Marco Guzzi, che ci offre sul sito web di Darsi Pace una pratica volta a fluidificare la mente, a rilassarla in vista della sana attività intellettuale o spirituale. Una mente caotica ed agitata difficilmente riuscirà a compiere un’azione risanante, che è lo scopo cui dobbiamo tendere durante il tempo libero, che – mi ripeto – deve essere tempo di grazia in quanto tempo rivolto alla guarigione/conversione/liberazione del cuore e alla pienezza di vita, in cui scopriamo la bellezza, la bontà e l’azione guaritrice della Parola. «Abbiate fede – diceva San Leopoldo Mandic -, Dio è medico e medicina». E ancora, secondo il medico svizzero Paracelso: «Non sono né il diavolo né il medico a guarire, ma solo Dio attraverso la medicina». Sprechiamo molto tempo a fare cose del tutto inutili o superflue o anche dannose, fra cui vi inserisco l’accumulazione dei beni, dimentichi delle parole del Cristo: «Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde l’anima sua?» (Mt 16,26). Non comportiamoci alla maniera di quel possidente che non poté godere della sua ricchezza. Stolto, lo definisce il Signore, cioè scemo, stupido: «Stolto,questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?». Vi colgo un invito anche a godere dei beni che si hanno, a non avere il braccino corto, ma a vivere giorno dopo giorno con ciò che si possiede. Scemo è chi si comporta alla stessa stregua di quel possidente. La Quaresima dovrebbe essere un tempo preparatorio alla gioia, esso stesso gioioso. Per l’appunto, un tempo di grazia senza malinconie, fustigazioni, vissuti al cospetto di un Dio che risana e vuole la gioia, non la sofferenza. Quaranta giorni da dedicare alla cura di sé, all’etica ed all’estetica, che non guasta mai, giacché, a mio avviso, l’esterno non va mai trascurato. Esterno ed interno si richiamano a vicenda, essendo l’uomo un’unità composita che – come ho scritto in precedenza – deve curarsi e crescere integralmente.

 Salvatore Bernocco


Nel tempo e nello spazio di Dio

Il mese ebbe inizio con la celebrazione della Presentazione del Signore, la benedizione e la processione con le candele. Non mancò il parroco di sottolineare il segno liturgico dell’Incontro del Signore con la sua Comunità. Ebbe anche inizio la novena in onore della Madonna di Lourdes molto frequentata fino al giorno della festa e alla processione aux flambeaux con fedeli e ammalati; il parroco illustrò il messaggio del Papa per la 23^ giornata dell’ammalato. Durante il mese il parroco ebbe modo di introdurci ai temi quaresimali, sia ai genitori dei fanciulli di catechismo, agli stessi adulti e ai membri della comunità. Fummo così introdotti nella celebrazione delle Ceneri e avviati al cammino quaresimale. La liturgia fu animata, nel canto, dalle comunità Neo-Catecumenali. Il tutto era stato preceduto da momenti di festa per il carnevale nella sede dell’oratorio. Come ogni mese non mancò la catechesi per i confratelli e le associate della Madonna del Buon Consiglio. Come pure - come ogni mese - l’adorazione del primo giovedì e quella del 23 animata dal Gruppo di Padre Pio. Nell'ultimo giovedì ha avuto termine il percorso di fede per i fidanzati.

Luca